FUNERALINO - POLITICI E GRANDI FIRME DEL GIORNALISMO, COMPAGNI DI LAVORO E DI VIAGGIO, AMICI E NEMICI, SI SONO RITROVATI PER COMMEMORARE LA GRANDE MIRIAM MAFAI - SCALFARI, NAPOLITANO, ROSI BINDI, GIFUNI, VELTRONI, EZIO MAURO, FERRARA, REICHLIN, ETC: ECCO, SEMBRAVA DI ASSISTERE AL “GRANDE FREDDO” DELLA SINISTRA ITALIANA, SCONFITTA DA VELLEITARISMO E SPOCCHIA, CHE ASSISTE IN GINOCCHIO AL POTERE DEL MONTISMO….

Foto di Luciano Di Bacco per Dagospia
Francesco Persili per Dagospia

Il riformismo che avrebbe potuto essere (e non è stato). È la foto di gruppo di quelli che ci hanno provato tra opportunità sfumate e transizioni incompiute, il fermo immagine della famiglia allargata di una sinistra gravata dalle cicatrici e dalla fatica (del Travaglio) in cui le biografie personali si intrecciano con il ricordo comune di chi ha saputo mettere insieme libertà intellettuale e senso di appartenenza vivendo «ad occhi aperti».

Politici e grandi firme del giornalismo italiano, compagni di lavoro e di viaggio, si sono ritrovati nella sede della Casa editrice Laterza ai Parioli per commemorare Miriam Mafai la militante comunista, la femminista, la giornalista «mai incline alla monogamia professionale e alla pedanteria», la compagna del partigiano Nullo (al secolo Giancarlo Pajetta), insomma, «la ragazza rossa», come si ostina a definirla la pubblicistica più pigra, tanto che il figlio Luciano Scalia chiede di non chiamarla più così anche perché «le catalogazioni nette e le chiusure ideologiche» non facevano parte del suo modo di guardare persone e fatti.

Tutti aspettano l'arrivo del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ad iniziare dal Padre Fondatore, Eugenio Scalfari. L'uomo che non credeva in Dio, figuriamoci alla procura di Palermo, si appassiona per chi sa, come la Mafai, ascoltare e comprendere le ragioni degli altri (purché non siano del "Fatto").

Scalfari, infatti, guida il partito del Colle e dei riformisti garantisti contro le furie dei radicali anticasta sulla questione relativa all'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia al centro di un conflitto di attribuzione con la procura di Palermo, e, intanto, prepara il terreno - come notano gli osservatori più maliziosi - per l'eventuale nomina a senatore a vita (con buona pace di Beppe Grillo, che continua a considerare l'istituto una nomina feudale, e di Marco Travaglio che, invece, ha issato la bandiera Montanelli per dire che «il giornalismo deve tenere il potere ad una distanza di sicurezza»).

In mezzo alle pose pensose, alle cravatte di stoffa e a diversi altri estetismi di sinistra, spunta Alfredo Reichlin, l'intellettuale partigiano di stretta formazione togliattiana, oggi stella polare dei giovani del Pd.

L'amico di una vita di Miriam Mafai ha in mano un libro («Il racconto del capo. Berlusconi e Sarkozy») di Sofia Ventura - la politologa fustigatrice del velinismo in politica, un tempo vicina alla fondazione Farefuturo e a Gianfranco Fini, nel frattempo folgorata sulla via rottamatrice di Matteo Renzi - e si prende tutto il tempo per scambiare qualche battuta con l'editorialista del Corriere della Sera, Paolo Franchi, il girondino mite (tranne quando si tratta della Roma) per stare ad un'icastica definizione de Il Foglio di Giuliano Ferrara.

C'è anche l'Elefantino che dall'archivio dei ricordi seleziona l'articolo di Mafai sul ritrovamento del corpo di Aldo Moro soffermandosi sul dettaglio del bordo di raso della coperta che avvolgeva il corpo dello statista ucciso. L'importanza dei dettagli, già.

Tra il baciamano ad una Giovanna Melandri, molto charmante, che fa il suo ingresso scortata dal consigliere comunale Paolo Masini, e un cenno di intesa ad un sorridente Walter Veltroni, Ferrara prova a lasciarsi alle spalle le polemiche con la Rai (e Mazza) e il destino della striscia Qui Radio Londra. Intanto passano anche Giulio Anselmi, presidente Fieg, Ezio Mauro, direttore di Repubblica e quello dell'Espresso, Bruno Manfellotto.

C'è chi attende Emma Bonino, che è a New York ma ha voluto esserci lo stesso con un messaggio in cui apprezza «lo spirito critico» di quella che chiama la sua «amica maggiore». Memorie e aneddoti si rincorrono, il presidente Napolitano ascolta le cronache familiari del figlio Luciano che raccontano (anche) di appassionate discussioni sui diritti civili fra Miriam Mafai e Paola Concia, seduta in platea poco distante, nemmeno a farlo apposta, dalla pasionaria del secolo scorso, Rosy Bindi, presidente del Pd e sua rivale sul tema dei matrimoni gay.

Parlare di una «sana curiosità nei confronti del pensiero dell'altro», come fa il neolibertario Walter Veltroni, che dall'isola sessantottina del suo romanzo si tuffa nel mare aperto della ricerca e del dubbio, sarebbe un assist (che però negli interventi nessuno raccoglie) per ricordare come il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti - nel giorno del giudizio della Cassazione che rende definitiva la condanna - rischia di andare in galera per un reato di opinione.

Si entra nella prospettiva della libertà di critica e nella questione omerica dell'obiettività che Scalfari risolve con la formula che ha fatto di un «vascello pirata», un giornale-comunità (o un giornale-partito, secondo i critici più puntuti): «dire al lettore chi siamo e da quale punto di vista noi guardiamo i fatti».

Il Fondatore sottolinea come la polifonia all'interno di un giornale sia sempre una ricchezza (anche quando sfocia in una accesa polemica in punta di penna e di diritto come quella che lo ha visto opposto al costituzionalista Gustavo Zagrebelsky sulla vicenda della trattativa Stato-mafia?) e nell'esplorare le ragioni del suo lungo innamoramento con Rep. fa risaltare di Mafai ancora una volta lo sguardo allegro, l'intelligenza dell'ironia e quella capacità di parlare a tutti che resta l'approdo non ancora realizzato di quella sinistra «riformista perché rivoluzionaria, rivoluzionaria perché riformista». Quella sinistra che aveva sognato Miriam Mafai, la sinistra che avrebbe potuto essere, e non è stata.

 

 

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