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IO PENSO (SIERO)POSITIVO - PARLA IL 30ENNE CHE HA CONTAGIATO 6 DONNE CON L’HIV: “É COME GIOCARE CON LA ROULETTE RUSSA MA NON VOLEVO TRASMETTERE IL VIRUS. NON SONO UN MOSTRO. LE RAGAZZE CI STAVANO, IO NON LE HO COSTRETTE” - DAL 2006 TRIPLICATA LA QUOTA DI SIEROPOSITIVI INCONSAPEVOLI

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1. SIEROPOSITIVO CONTAGIÒ 6 DONNE LO SFOGO: NON SONO UN MOSTRO

Ilario Lombardo per “la Stampa”

 

Si guarda intorno Valentino T., nella piccola stanza di Regina Coeli dove è rinchiuso da una settimana. Guarda i suoi compagni di cella con gli occhi spaesati e disperati di chi è piombato in un luogo oscuro e deve tirarsi fuori da solo con una corda che è sempre più esile.
 

Valentino è malato di Hiv. Lo sapeva e non lo ha mai detto alle sue tante partner. Almeno sei, secondo le indagini della procura di Roma coordinate dal pm Francesco Scavo e partite dopo la denuncia di una delle donne nell' ottobre 2014.
 

Tre giorni fa il suo avvocato, Giuseppe Minutoli, è andato a trovarlo in carcere, dove ieri il gip ha confermato che rimarrà almeno fino al riesame. La prima cosa che ha chiesto Valentino è stata di vedere la sua compagna, con cui convive da un anno, forse la sua ultima vittima, forse no perché consapevole di quella malattia inguaribile che il suo uomo si portava dentro e ha scoperto di avere nel 2006. A lei ha raccontato il suo sconforto, la paura di essere considerato un mostro.

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Il nome pubblicato sui giornali è il suo, non uno di fantasia che di solito si usa per coprire vittime e autori di reati che hanno una implicazione così radicalmente intima. Qui parliamo di sesso, e di una malattia che era considerata la Peste del nuovo millennio.

 

E non ci vuole molto a intuire che il nome che ora circola ovunque di questo ragioniere di 30 anni, impiegato in uno studio amministrativo, serve anche come segnale di allarme per richiamare possibili altre donne infettate da rapporti che Valentino non voleva protetti, perché il profilattico, come raccontava lui stesso alle ragazze, «proprio non lo tollerava».
 

In Procura usano prudenza ma ammettono «che altre donne potrebbero essere state contagiate senza saperlo». Ma la plausibilità diventa quasi certezza a sentire altre fonti investigative: «È verosimile, perché ha avuto altri rapporti e molto probabilmente ha continuato ad averli non protetti».
 

Gli inquirenti devono ricostruire quasi nove anni di promiscuità, relazioni nate attraverso una rete di semplici contatti estesa poi anche alle chat dove Valentino conosceva le sue partner. In questo scenario il risvolto sociale è inquietante, perché le persone contagiate a loro volta potrebbero aver avuto rapporti con altri.
 

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Un anno fa, durante il primo interrogatorio, Valentino ha ammesso di sapere di essere sieropositivo, ma di averlo scoperto solo da poco. Non gli credono e lo inchiodano. Il medico dell' Istituto Spallanzani dove si era recato a fare il test nel 2006 conferma che era risultato positivo nel maggio di quell' anno. Lo sapeva da allora. Ma forse anche da prima, perché il virus si trasmette da madre a figlio e la madre, ex tossicodipendente, ne era affetta. Orfano di entrambi i genitori sin da bambino, Valentino è stato cresciuto da una nonna, e poi dagli zii, gli stessi che hanno contattato l' avvocato.
 

Eppure la consapevolezza non lo dissuade dal continuare a fare sesso senza profilattico.
«Una foga bulimica - scrive il gip - pervicace e compulsiva».

 

Nel 2007 frequenta una minorenne, di 14 anni. Saprà di essere malata di Aids anni dopo. Il passaparola e l' aiuto delle ragazze contattate dagli inquirenti una dopo l' altra trasformano gli indizi in prove. Nella precarietà di rapporti che si sfilacciano dopo pochi mesi, Valentino conosce molte donne. Si fidanza, si lascia. È infedele, le partner lo sanno. Gli piacciono i festini, raccontano. Alcune sono amiche di amiche. Tutte risultano positive.

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Una continua a stare con lui nonostante sappia, nonostante sia stata lei a convincerlo a fare il test. Restano amici anche dopo, accomunati da un virus che nel frattempo si sta diffondendo in diversi corpi.

 

Ma avverte un' amica che ha avuto una storia con lui. Lo stesso fanno le altre. Finché una di loro lo denuncia. Valentino le aveva mostrato un referto falso. Due invece scopriranno di avere la patologia soltanto dopo essere state chiamate dagli investigatori. Una è incinta.

 

2. PIÙ DI SETTE MALATI SU DIECI NON SANNO DI AVER CONTRATTO IL VIRUS

Valentina Arcovio per “la Stampa”

 

Per quanto possa essere deprecabile che una persona affetta da Hiv decida deliberatamente di contagiare altre persone a loro insaputa, come nel caso del 30enne romano finito in manette qualche giorno fa, non sono i singoli «untori seriali» i responsabili della diffusione dell' Hiv in Italia e nel mondo.
Anzi, in molti casi questi fantomatici untori si sono poi rivelati solo protagonisti di vecchie leggende metropolitane.

 

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La principale causa della diffusione dell' Hiv e dell' aumento dei malati di Aids è invece la scarsa prevenzione. Secondo i dati del Centro operativo Aids dell' Istituto superiore di sanità, diffusi in occasione della Giornata mondiale per la lotta all' Aids, che si è celebrata l' 1 dicembre, la trasmissione del virus avviene nell' 84% dei casi a causa di rapporti sessuali non protetti, sia tra gli eterosessuali che tra gli omosessuali.

 

Tuttavia, l' incidenza dei contagi è rimasta invariata, almeno nel nostro paese. In Italia, infatti, 3.695 persone hanno scoperto di essere sieropositive nel 2014 con un' incidenza pari a 6,1 casi ogni 100 mila residenti.

 

Un trend in linea con i precedenti anni, che colloca il nostro paese al 12° posto nell' Unione Europea. Invece, il dato allarmante è la percentuale di persone che alla fine si ammala di Aids ignorando di essere sieropositive. Nel 2015 ben il 71,5% delle diagnosi di Aids ha riguardato persone inconsapevoli di essere Hiv positivi, una percentuale nettamente superiore al 20,5% registrata nel 2006.

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Nel 2014, in Italia sono stati diagnosticati 858 nuovi casi di Aids, pari a un' incidenza di 1,4 nuovi casi per 100 mila residenti. Ma poco meno di un quarto dei malati conclamati ha eseguito una terapia antiretrovirale prima della diagnosi di Aids, a dimostrazione che sono ancora troppo poche le persone che si sottopongono al test. Dallo studio

 

«Questionaids», condotto dalla Lega italiana per la lotta contro l' Aids e dal Dipartimento di Psicologia dell' Università di Bologna, è emerso che il 36% della popolazione generale non ha mai fatto il test. Colpa forse di un calo d' attenzione, molti ignorano che il virus dell' Hiv rappresenta ancora una minaccia, specialmente per i giovani adulti.

 

Il virus colpisce prevalentemente gli uomini (79,6% dei casi), mentre continua a diminuire l' incidenza delle nuove diagnosi nelle donne. L' età media per i primi è di 39 anni, per le donne di 36 anni. La fascia di età più colpita è quella tra i 25 e i 29 anni (15,6 nuovi casi ogni 100.000 residenti). Ma l' Hiv non è una minaccia solo nel nostro paese. Lo scorso anno, sono stati registrati 142 mila nuove infezioni nei 53 Paesi della regione europea dell' Oms, di cui circa 30 mila nella sola Ue, il numero più alto mai visto da quando è iniziato il conteggio.

 

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In Africa, invece, l' Aids è diventata la prima causa di morte tra gli adolescenti. Sono in aumento, segnala un rapporto Oms-Ecdc, le nuove infezioni dovute a rapporti omosessuali, che erano il 30% nel 2005, mentre ora sono il 42%. Le infezioni dovute a rapporti eterosessuali sono invece il 32%.

 

Sul fronte delle terapie, quest' anno c' è stata una grossa novità. La Commissione Europea ha infatti approvato, in questi giorni, l' autorizzazione all' immissione in commercio di un farmaco per il regime in singola compressa da assumere una volta al giorno per il trattamento dell' infezione da Hiv. Una vera svolta che contribuirà a migliorare l' aderenza alle terapie.

 

3. «CON LE MIE PARTNER E L’HIV GIOCAVO ALLA ROULETTE RUSSA»
Ilaria Sacchettoni per il “Corriere della Sera”

 

 «Non volevo fare del male è stata una leggerezza»: Valentino T., 30 anni, definisce così il suo comportamento. Per il pubblico ministero, invece, si tratta di «lesioni personali gravissime e insanabili» nei confronti di sei donne (ma c’è ragione di credere che siano di più) e gli contesta l’aggravante dei cosiddetti «futili motivi».

 

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Perché sapendo di essere sieropositivo il ragazzo chiedeva alla partner di rinunciare al preservativo: migliorava la performance , massimizzava il piacere. Il resto era una lotteria, come lui stesso adesso ammette. 
 

Nemico del condom, amico delle chat, il giovane arrestato due giorni fa adescava su Facebook, Chatta e WhatsApp. Di quando in quando proponeva: «Facciamo sesso a tre?». In tante gli dicevano di sì. Il difensore che oggi lo assiste, l’avvocato Giuseppe Minutolo, usa la parola «superficialità» per spiegare l’incomprensibile. Per tentare di definire la bolla in cui vivono loro, gli adolescenti. «Le ragazze ci stavano, qualcuna mi rispondeva sì al primo invio. Non ho mai forzato nessuna, a loro andava di farlo così» dichiara dal carcere di Regina Coeli. 
 

Orfano da quando aveva sette anni, cresciuto con uno zio quasi coetaneo, diplomato in ragioneria in un istituto di periferia a Roma. Contabile per una piccola azienda, per nove anni ha giocato con la vita delle persone: dal 2006 al 2009. Un ceppo del virus Hiv gli impone tuttora massicce terapie retrovirali, analisi e verifiche con relativi effetti collaterali. Non è la peste degli anni Ottanta ma, giura, «qualcosa con cui puoi convivere». E azzarda: «É come avere a che fare con la roulette russa». A volte va male, spesso no.

Il Truvada usato per la prevenzione HIV Il Truvada usato per la prevenzione HIV

«Ho vissuto con la maggior parte di queste donne, eravamo innamorati, facevamo colazione in cucina al mattino: perché avrei dovuto fargli del male?» chiede con gli occhi sgranati, spaventato dal carcere ma senza capire, convinto che alla roulette russa si possa anche scampare. Perché rischiare però? Di fronte a questa domanda è sempre rimasto in silenzio. 
 

Nel suo caso la patologia, sostiene l’avvocato, era in fase regressiva «al punto da rendere il contagio improbabile». È la sua linea difensiva. Il legale produrrà una consulenza sul cosiddetto «effetto bandierina», cioè un periodo in cui il virus è più debole e la sua capacità di contagio si riduce. «Ecco perché il mio cliente ha ritenuto di poter gestire la malattia e gli effetti sulle partner».

 

Ma il vero asso nella manica di Valentino è la sua attuale compagna. Trent’anni anche lei, uno stipendio, amici dello stesso giro delle vittime. Innamorata, leale ma soprattutto negativa al test. «É la dimostrazione — sostiene il difensore - che il mio cliente non è un mostro. Certo, è un ragazzo che non ha avuto un’educazione sentimentale o affettiva, ma altro non c’è». 
 

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L’uomo che infettava le donne ripete: «Ho commesso una leggerezza. Credevo non sarebbe successo». Una delle ragazze, quando ha saputo, è andata da lui a casa dello zio per gridargli tutta la sua rabbia. Lui ha cercato di calmarla, non si è nascosto, non ha protestato, non si è difeso. Quasi fosse la vita di un altro. Qualche volta i suoi rapporti erano tre in contemporanea, «a nessuna sentiva di far mancare qualcosa». L’avvocato ha fatto richiesta dei domiciliari. Il carcere, dice «mi terrorizza». «Sono l’unico Valentino arrestato, sanno la storia della sieropositività». Mercoledì il compagno di cella gli ha detto: «Se mi infetti, ti spezzo». 

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