IL NOSTRO CARO ANGELO – PROCESSATO 6 VOLTE E SEMPRE ASSOLTO CON FORMULA PIENA: SOLO MARIO CAPANNA E IL CAINANO NON HANNO MAI ABBANDONATO RIZZOLI

Mattia Feltri per "la Stampa"

Angelo Rizzoli è morto al Gemelli di Roma poco dopo le 23 di mercoledì, mentre la moglie Melania gli teneva la mano e la testa. È morto innocente e incensurato, ma non ce l'ha fatta: voleva morire a processi chiusi. Che non un'ombra lo oscurasse. Si porta con sé l'accusa di bancarotta fraudolenta per cui finì in carcerazione preventiva lo scorso febbraio, il giorno di San Valentino. Andarono a prenderlo a casa all'alba, come usa.

Era in cura per la sclerosi multipla di cui soffriva sin dai diciotto anni, era affetto da ipertensione, aveva problemi al cuore, ai reni, un braccio semiparalizzato, cieco all'occhio sinistro, e siccome la gamba destra era inservibile si muoveva col bastone. In carcere glielo tolsero. Non era in grado di andare in bagno da solo. Una perizia medica stabilì che le sue condizioni erano compatibili con la detenzione. Altre dissero l'opposto. Nel frattempo era stato trasferito in ospedale, al Sandro Pertini, in reparto protetto. Quando ebbe i domiciliari, sapeva che il suo tempo stava per chiudersi.

Angelone, come lo chiamavano per la robustezza, era nato a Como nel novembre del 1943. Suo nonno - Angelo anche lui - era un trovatello cresciuto ai Martinitt di Milano, ed era diventato il più importante editore d'Italia. I periodici, i libri. La grande idea della Bur, i classici tascabili a due soldi di cui si stamparono quasi tremila titoli. La cultura per tutte le tasche. Il cinema con le produzioni dei film di Federico Fellini, di Vittorio De Sica, di Roberto Rossellini.

Il Milan di Gianni Rivera e Juan Alberto Schiaffino. Angelo jr è un ragazzo che il Sessantotto lo lambisce soltanto. Ha la fama del giovanotto gaudente, in barca a Ischia, le decappottabili, le ragazze. A ventotto anni, morto il nonno, entra nel consiglio di amministrazione della Rizzoli per volere del padre Andrea.

Nel 1974 i Rizzoli si comprano il Corriere della Sera. E nel 1978, a trentacinque anni, Angelo è presidente del gruppo. I debiti sono molti e si moltiplicano. Angelo cerca credito e trova i soccorritori sbagliati. Forse per ingenuità, forse per cavarsela facilmente, forse per disperazione, ma si appoggia al Banco Ambrosiano di Roberto Calvi.

Con Angelo ci sono un vecchio collaboratore del padre, Umberto Ortolani, e poi Bruno Tassan Din, tutti piduisti. Lo stesso Angelo conosce Licio Gelli e si iscrive, tessera 532. Il manipolo si prende 150 miliardi di lire, li deposita in Irlanda e Sudamerica e Angelo nemmeno se ne accorge. Scoppia lo scandalo P2. Senza fiato, il Corriere va in amministrazione controllata e Angelo conosce il primo arresto. È il 1983: bancarotta.

Tredici mesi in cella, di cui tre in isolamento. Quando esce, il padre Andrea è morto di disperazione. La sorellina Isabella, diciottenne, indagata e impaurita, s'è ammazzata buttandosi dalla finestra. La prima moglie, l'attrice da poster Eleonora Giorgi, l'ha lasciato. Non ha più nulla. Le sue quote della Rizzoli sono state cedute per nove miliardi a Gemina (cioè Fiat e Mediobanca), Montedison e a una finanziaria che fa capo ad Angelo Bazoli.

«Il solo patrimonio attivo, senza valore di testata, era di almeno 270 miliardi», disse Angelo a Stefano Lorenzetto nel 2010. Bazoli sostiene che senza quella cordata la Rizzoli sarebbe morta. Di certo c'è che Angelo sarà assolto in sei processi su sei. «Uno dopo l'altro, sempre con formula piena e con la medesima motivazione: il reato non sussiste». Lo diceva con orgoglio, a ogni intervista. Fino allo scorso febbraio.

Due persone sole non lo abbandonano. Due persone che sono di due galassie diverse e lontanissime: Silvio Berlusconi e Mario Capanna. «Quando sono stato arrestato, l'unico che è venuto a trovarmi in carcere è stato Capanna». Si erano conosciuti negli anni della contestazione, quando Angelo aveva provato a tirare Mario fuori di galera. «Sono venuto a restituirti il favore», gli disse l'ex rivoluzionario. E poi Berlusconi.

«Lui non è un pescecane, non è cinico, è generoso, crede nell'amicizia». Berlusconi lo chiama e gli dice di smetterla di piangersi addosso, di cominciare a produrre film per la tv e che lui glieli avrebbe acquistati tutti. «E così è sempre stato, infatti». Fugge da Milano, che gli è ostile. A Roma si risposa con un giovane medico che gli manda Bettino Craxi: è Melania De Nichilo. Avrà altri due figli: il primo (Andrea come il padre) glielo aveva dato la Giorgi. Melania gli dà Arrigo e Alberto. Melania, soprattutto, gli dà una nuova vita.

Lui fa causa civile: spera di essere risarcito della sottrazione del gruppo del nonno, ma viene respinto. «Ci riproverò dice». Arriva invece il nuovo arresto. E' una fucilata. «Questa ennesima vicenda giudiziaria ha spezzato il cuore a mio marito», dice Melania. È morto senza potersi difendere, stavolta. Era ricoverato nell'unità coronarica. C'erano anche i figli, che presto, appena possibile, torneranno all'estero, dove studiano lontano da questo paese cupo.

 

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