ROMA VIOLENTA – “PRENDI IL FERRO E GLI SPACCHI LA FACCIA”, COSÌ PARLA LA MALA – IL PIANO DI BANDA DELLA MAGLIANA E ‘NDRANGHETA PER SEQUESTRARE FANELLA, IL CASSIERE DI MOKBEL CHE INVECE FU UCCISO

Angela Camuso per “Il Fatto Quotidiano

   

GENNARO MOKBEL GENNARO MOKBEL

Dobbiamo andare a prendere i panni a casa che vi spiego tutte le cose che poi dobbiamo andare a Testaccio a pigliare il ferro... Oh... quando lo si deve mettere in macchina io lo tengo da un lato e chi dall’altro, poi tu mi apri lo sportello... io gli abbasso la testa con la mano... Arrivato per una certa via... gli spacchi la faccia, poi gli metti il cappuccio”.

   

Manovalanza della ‘ndrangheta, in trasferta nella capitale e il braccio armato della rediviva banda della Magliana radicata ancor oggi nel quartiere romano di Te-staccio, già roccaforte della vecchia gang del fu Renatino De Pedis.

   

Eversione nera e uomini delle istituzioni

 

GENNARO MOKBEL GENNARO MOKBEL

Ecco il fulcro delle indagini sul clamoroso omicidio di Silvio Fanella, il tesoriere di Gennaro Mokbel ucciso il 3 luglio in via della Camilluccia. Proprio quel Mokbel che negli anni 80 faceva per la banda della Magliana il ‘gorilla’ e che poi sembrava sparito dalla circolazione, salvo ricomparire sulla scena nella sua nuova veste di “imprenditore” legato a triplo filo con l’eversione nera, uomini delle istituzioni e delle grandi aziende, tanto da essere stato uno dei principali protagonisti dell’inchiesta Fastweb, storia di immensi capitali sporchi in cui è rimasto coinvolto tra gli altri l’ex senatore di Forza Italia Nicola Di Girolamo: eletto all’estero, secondo le indagini, con i voti, appunto, della ‘ndrangheta.

Renatino de Pedis Renatino de Pedis

 

Come emerso pochi giorni dopo il delitto, Fanella sarebbe stato ucciso a seguito di un tentativo di sequestro finito male: due anni prima, non a caso, Fanella doveva essere rapito da un gruppo di lucani legati al clan dei Cassotta, sodalizio mafioso potentino che negli ultimi tempi si sarebbe evoluto entrando in affari con i calabresi di Roccella Jonica.

 

Bisognava “spaccare la faccia a Fanella” per costringerlo a svelare dove avesse nascosto il tesoro di Mokbel, cioè una cifra superiore a dieci milioni di euro. E a organizzare quell’impresa, fallita perché casualmente la vittima era uscita di casa in macchina, sarebbero stati secondo quanto emerge dalle intercettazioni due alti ufficiali della guardia di Finanza “legati alla ‘ndrangheta” insieme al romano Roberto Macori, alias Robertone, uno dei pupilli di Gennaro Mokbel.

 

Nicola Di Girolamo  Nicola Di Girolamo

A Robertone Mokbel si rivolgeva “per qualsiasi esigenza logistica del gruppo criminale”. Mokbel la mente e Macori il braccio. Ma a fianco di Macori, in quell’occasione, si scopre ora che c’era pure il romano Giampietro Agus, anche lui coinvolto nell’inchiesta Fastweb ma soprattutto considerato membro del clan Fasciani di Ostia, emissari sul litorale della cosca mafiosa dei Cuntrera Caruana e da sempre legati alla banda della Magliana. E dire che lo stesso defunto Fanella era considerato “amico” del boss Fasciani.

 

Il coinvolgimento di Agus nel tentativo di sequestro emerge però chiaramente alla lettura delle carte depositate in questi giorni al tribunale del Riesame chiamato a decidere sulla messa in libertà di uno dei banditi lucani che partecipò a quell’impresa, Aniello Barbetta, difeso dall’avvocato Davide De Caprio.

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Le riunioni al bar nel centro della Capitale

   Un’informativa di oltre cento pagine, zeppa di intercettazioni che raccontano, in presa diretta, tutte le fasi preparatorie di quell’agguato. Così si scopre che i lucani, chiamati da Macori a Roma per fare il “servizio”, hanno alloggiato a Testaccio e sempre a Testaccio si sono procurati “il ferro”, cioè la pistola.

 

Nello stesso quartiere si sono riuniti, dentro un bar di via Marmorata. La procura di Roma da tempo indaga sulle attività della mala capitolina proprio seguendo le mosse di pregiudicati storici che ancora la fanno da padroni in quel quartiere e quest’informativa sul sequestro Fanella apre uno scorcio interessante.

 

VIA DELLA CAMILLUCCIA DOPO L OMICIDIO DI FANELLAVIA DELLA CAMILLUCCIA DOPO L OMICIDIO DI FANELLA

Anche perché a Testaccio gli eredi di De Pedis gestirebbero tuttora diversi esercizi commerciali . “Questo Roberto che lavoro fa?” chiede un bandito lucano, Giovanni Plastino, al suo complice parlando di Macori. “Il truff... tiene, tiene il bar... la... il negozio” . “Ma il bar è proprio suo?”, “Sta in società con un altro... sta sotto i politici compare... ma quello tiene i milioni di euro compare. Tiene i conti in Svizzera... ha i soldi con la pala... tiene da recuperare questa decina di milioni di euro e più”.

  

 Il vanto in cella a Rebibbia: ”Ho un tesoro”

OMICIDIO DI SILVIO FANELLA A VIA DELLA CAMILLUCCIAOMICIDIO DI SILVIO FANELLA A VIA DELLA CAMILLUCCIA

   Dall’informativa emerge che è stato lo stesso Fanella ad attirare su di sé la propria sventura: “Questo qui si vantava in carcere... i soldi sotto terra”, spiega Plastino. Dalle nuove carte depositate si scopre che pure la camorra era stata incaricata di scovare il tesoro che teneva nascosto Fanella. Una circostanza, questa, che ridimensiona il ruolo di Roberto Macori e prospetta la presenza di un mandante ben più in alto nelle gerarchie della mafia imprenditoriale capitolina: sia in riferimento al primo fallito sequestro di due anni fa che al secondo blitz, finito nel sangue.

 

“Questi qua, i finanzieri stanno fino a domenica e ti stai pure tu, compare... ti faccio dare i soldi che ti dovevano dare... a me mi dà centomila euro in mano... e siccome se lo vogliono fare pure e i napoletani e se non ci siamo noi compare questi qua se lo fanno chi... hai capito compare? Se lo fanno i finanzieri... si fregano tutto loro”, diceva ancora Plastino a Barbetta spiegando appunto al suo complice che era necessario trattenersi a Roma fino alla fine della settimana, altrimenti i finanzieri avrebbero potuto compiere autonomamente “il lavoro”.

SILVIO FANELLASILVIO FANELLA

   

Gli inquirenti, partendo proprio dai contatti della “cellula romana” che reclutò i lucani per il sequestro di Fanella, potrebbero ora ricostruire non soltanto i retroscena dell’omicidio della Camiluccia. C’è la concreta possibilità di mettere mano dentro la fangosa mala capitolina dei nostri giorni, come ieri invischiata in alleanze estemporanee, subdola, dove i patti si fanno per concludere gli affari. Dove oggi pranzi con l’amico che domani mandi ad ammazzare.

 

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