
“PALERMO SI STA PARANZIZZANDO” - ROBERTO SAVIANO SPIEGA IL FENOMENO DEI NUOVI GANGSTER ALLA GAETANO MARANZANO, IL 28ENNE CHE HA SPARATO IN TESTA A PAOLO TAORMINA: “PALERMO, PER LUNGO TEMPO, NON HA PERMESSO A NESSUNO DI AGIRE RISPONDENDO SOLO A SE STESSO. ORA 'COSA NOSTRA' NON AFFILIA PIÙ. QUESTE PERSONE SONO LA FRANTUMAGLIA A CUI DELEGA IL NARCOTRAFFICO LOCALE. LA DIFFERENZA È SOSTANZIALE: DIVENTARE MAFIOSO SIGNIFICA ENTRARE IN UNA DINAMICA GERARCHICA. ESSERE GANGSTER VUOL DIRE RISPONDERE SOLO A SE STESSI…”
Estratto dell’articolo di Roberto Saviano per il “Corriere della Sera”
Palermo si sta «paranzizzando»: un neologismo che descrive la trasformazione del crimine in paranze, gruppi di giovani, giovanissimi, che si uniscono per vincoli di amicizia, parentela e, soprattutto, di territorio, e iniziano a delinquere.
Non si pongono obiettivi precisi: cercano l’affermazione di sé attraverso la spavalderia, la diffusione della paura, il farsi rispettare incutendo timore. Tutto questo per l’ambizione di poter ricevere incarichi, la gestione di piazze di spaccio, il controllo estorsivo. Il sogno è quello di poter fondare una famiglia, di poter essere affiliati, se i libri mastri di un clan si riaprono per tornare ad affiliare. Nell’attesa, provano a essere qualcuno: e qualcuno significa diventare un gangster.
Ma come si diventa gangster nel nostro tempo, in Italia, in una terra dove Cosa Nostra affilia con il contagocce, dove le organizzazioni criminali non hanno più l’ossessione del controllo territoriale ma la missione del dominio economico, sempre più slegato da un ordine sociale?
Si parte dall’aspetto: dal sembrare gangster. […] Gaetano Maranzano, il 28enne che ha sparato in testa a Paolo Taormina l’11 ottobre, è un archetipo del criminale di paranza: barba lunga […] borsello a tracolla con ben visibile il logo della marca; scarpe mai al di sotto del valore di mille euro; collane d’oro con simboli di pistole o AK-47.
Al primo sguardo non incutono paura ma ridicolo. Si muovono persino in modo maldestro, costantemente impegnati a proclamare di essere duri, di decidere quando farti attraversare la strada, quando chiudere un locale, solo quando loro vogliono andar via. Decidono loro come e dove puoi parcheggiare, se puoi guardarli negli occhi o no. I loro comportamenti e i loro abiti sembrano un’imitazione scadente di un cantante trap o di un mafia movie.
Ma il ridicolo si muta facilmente in dramma quando sparano, ammazzano. Maranzano ha dichiarato che Paolo aveva importunato sua moglie (sembra che le avesse solo messo like a una foto) e che, quella notte, al locale, si era sentito minacciato di fare una cattiva figura. Ecco le sue parole: «Siccome lui era in difetto con me, mi guardava male, nel suo cervello mi voleva sfidare».
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Maranzano è figlio di una famiglia criminale in ascesa nello Zen, assolta nel processo che li vedeva imputati come uomini d’onore, ma il padre, Vincenzo «Gnu Gnu» Maranzano, è stato condannato per tentato omicidio di un membro della famiglia rivale, i Colombo. Cosa Nostra non li affilia: sono la frantumaglia a cui delega il narcotraffico locale, da cui pesca se porta risultati importanti. Le paranze palermitane spesso provengono da famiglie con precedenti penali, ma non sempre. Tutti però provengono da quartieri difficili, dove il lavoro è solo in nero e dove è impensabile credere che l’impegno possa essere un mezzo per superare la miseria e ottenere dignità.
Paranza è il nome dato a Napoli ai gruppi di ragazzini che controllano pezzi di territorio, ma il modello è ormai internazionale: dal Cairo a Manila, da Marsiglia a Palermo, giovanissimi con lo stesso aspetto (con varianti etniche), le stesse prassi confuse e arroganti, si organizzano con l’intento di diventare gangster prima ancora che mafiosi.
La differenza è sostanziale: diventare mafioso significa entrare in una dinamica gerarchica; essere gangster vuol dire rispondere solo a se stessi. E Palermo, per lungo tempo, non ha permesso a nessuno di agire rispondendo solo a se stesso. Ma nell’ultimo decennio le cose sono cambiate, e oggi sono diventate incontrollate. Il gangster segue un percorso diverso: prova subito a essere capo, dei suoi coetanei e di affari miserabili. Si percepisce ribelle, infrange le regole della società che considera da perdenti, perché costringe ad abbassare il capo, a restare poveri.
Non vuole nemmeno tentare di ottenere qualcosa dal sistema — lavoro, progetti, possibilità — perché tutto ciò significa essere perdenti. Vuole scalarlo con la furbizia, la forza, l’inganno. È disposto — anzi, ognuno vorrebbe — a diventare uomo d’onore, ma ne teme la fatica: dover passare da capetto a gregario, dover dimostrare dentro regole il proprio valore criminale.
Da gangster, invece, si definisce da solo. Eppure, considerano i codici mafiosi il vero ambito in cui «essere qualcuno», ricevere rispetto e non essere soli. Ed è per questo che non temono il carcere. Finire dentro è una meta, non un rischio. In carcere inizia l’apprendistato per riuscire — o, più spesso, fallire — nel diventare criminali dentro una famiglia. È in carcere che sanno di poter diventare qualcuno: la prova di essere stati duri, cattivi, capaci di sparare.
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la figlia di gaetano maranzano con il ciondolo a forma di pistola
Negli anni Ottanta, la mafia condannava a morte con propri tribunali chi rubava auto, i topi d’appartamento, gli spacciatori. Ogni crimine doveva essere autorizzato. Oggi, invece, permette le paranze, e lo fa di buon grado, esattamente come la camorra, perché non conviene più controllare il territorio.
E non è più conveniente mantenere a stipendio centinaia di famiglie. Quindi permettono tutto questo, anzi, ne traggono beneficio: possono affidare loro mansioni, e di volta in volta decidere se usarli, abbandonarli, eliminarli o promuoverli. La sintesi più drammatica l’ha data un ragazzino di 14 anni arrestato a Napoli con quaranta dosi di cocaina. Alla domanda dei carabinieri sul suo comportamento, ha risposto: «Vado da Pomigliano a Castello di Cisterna per lavorare».
Quando gli hanno ricordato che quello non era un lavoro, ha precisato: «Non so fare altro che spacciare». Il fallimento della democrazia.