
“SULLA STRAGE DI CAPACI NON SAPETE ANCORA TUTTO” - SONO LE PAROLE DI MATTEO MESSINA DENARO, LO STRAGISTA MAI PENTITO CHE AI MAGISTRATI, INSINUANDO E MAI PARLANDO APERTAMENTE, HA DECISO DI PORTARE NELLA TOMBA I SEGRETI SUGLI ATTENTATI CHE UCCISERO 33 ANNI FA PRIMA GIOVANNI FALCONE E POI PAOLO BORSELLINO: “VI SIETE ACCONTENTATI DI PENSARE CHE FALCONE SIA STATO UCCISO PER IL MAXI PROCESSO. È RIDUTTIVO. PERCHÉ VI SIETE FERMATI A LA BARBERA? PERCHÉ NON SIETE ANDATI OLTRE?” - È LA STESSO PATTO DI SILENZIO, PUNTELLATO DA QUALCHE AFFONDO, CHE ADOPERAVA ANCHE TOTÒ RIINA QUANDO…
Estratto dell’articolo di Lirio Abbate per “la Repubblica”
«Sulla strage di Capaci non sapete ancora tutto», ha detto a verbale Matteo Messina Denaro.
Non un collaboratore di giustizia.
Ma lo stragista. […] Calcolando le parole ha usato termini come “input”, “grandi cambiamenti”, “verità parziali”. […]
«Vi siete accontentati di pensare che Falcone sia stato ucciso per il maxi processo. È riduttivo». E poi l’affondo: «Perché vi siete fermati a La Barbera? Perché non siete andati oltre?».
Allude ad Arnaldo La Barbera, ex capo della squadra mobile di Palermo, sospettato dai pm nisseni di avere orchestrato il depistaggio sulla strage di via d’Amelio. Allude e insinua. Non dice mai tutto. Fa quello che i boss sanno fare meglio: manipolare il silenzio. Come Totò Riina, dieci anni prima, intercettato nel carcere di Opera durante un colloquio con il figlio. Anche lui ha parlato della strage. Anche lui confonde: «Io di Borsellino l’ho saputo dalla televisione», dice.
E poi la frase che taglia tutto come una lama: «Però la mia ultima parola non si saprà mai […] Bisogna capire qual era il vero obiettivo […] Riina è capace di tutto e di niente. Però tuo padre è incredibile, quando tu credi sappia tutto non sa niente, ma come lui tanti di questi signori sono ridotti così. Quasi un po’ tutti. Perché un po’ tutti? Perché l’ultima parola era sicuramente la mia e quindi l’ultima parola non si saprà mai», e questo mistero dice che lo “avvantaggia”. Non rivendica e non chiarisce. Fa quello che ha sempre fatto: confonde.
[…] Riina come Messina Denaro. Due boss che hanno fatto le stragi, due epoche. Ma una sola regia. Un solo codice. Un unico patto del silenzio.
[…] La verità giudiziaria ci dice che a deliberare le stragi furono i vertici della cupola: Riina, Provenzano, Bagarella, Brusca, i fratelli Graviano. E Messina Denaro. Nella sentenza “Capaci bis” si dice chiaramente che la mafia non agì da sola.
Che dietro Capaci si profilano “convergenze di interessi”, un “movente politico”, il tentativo di cercare nuovi referenti dopo la fine del sistema di potere della prima Repubblica. L’Italia stava cambiando pelle. Tangentopoli spazzava via i partiti tradizionali. I governi erano deboli. Il vecchio equilibrio saltava. E Cosa nostra ne approfittava. Ecco che le parole di Messina Denaro assumono un altro senso. «Tutto inizia da Capaci», dice. Come se da lì fosse partito un nuovo ordine. Una nuova contrattazione.
[…] Oggi, a 33 anni dalla strage, le sentenze hanno fissato dei punti fermi.
Ma non tutto è chiarito. Non tutto è emerso. Lo sanno i magistrati. Lo sanno i familiari delle vittime. Lo sa chi, il 23 maggio, scenderà in piazza con il corteo “Non chiedeteci silenzio”.
giovanni arcangioli con la borsa di paolo borsellino
La memoria non basta più. Serve verità. Quella piena. Quella che Messina Denaro ha scelto di non raccontare. Quella che Riina ha portato con sé. […] Le loro parole, volutamente ambigue, non negano la responsabilità mafiosa, ma aprono scenari più ampi: parlano di “grandi cambiamenti”, di “ultima parola mai detta”, evocano complicità, depistaggi, contesti non processati.
Anche se prive di valore giudiziario, sono indizi narrativi e politici che tengono viva la domanda più scomoda: chi, oltre Cosa nostra, ha avuto interesse nell’eliminare Falcone e Borsellino? E allora resta il dubbio. […]
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