LA CANNES DEI GIUSTI - MENTRE GODARD TRIONFA, ARRIVA UNA GARANZIA: KEN LOACH, CON UN FILM SUL ‘COMUNISMO FESTIVO’: PRIMA SI BALLA, POI SI LEGGE MARX - BUON FILM IL CANADESE “MOMMY” - UN ANNO FA MORIVA CARLO MONNI, OGGI ESCE IL SUO ULTINO FILM


Marco Giusti per Dagospia

Cannes nono giorno. Trionfo per Godard e per il suo "Adieu au langage". Chi dice che è il suo miglior film dai tempi di "Nouvelle Vague", chi lo paragona a Picasso, chi lo definisce il John Zorn del cinema, chi scrive che "libera l'immagine-cinema dalla dittatura del frame". C'e' anche chi scrive che non ci ha capito un cazzo. Mereghetti gli ha dato due palle e mezzo. Come a Zalone e a Sorrentino un anno fa. Concita zero. Tutti hanno invece capito e applaudito "Jimmy's Hall" diretto da Ken Loach e scritto da Paul Laverty. Una garanzia.

In pratica siamo alle origine di quello che un tempo si chiamava il comunismo festivo. Piu' pericoloso, per capitalisti e reazionari del comunismo teorico. Perche' si comincia con i balli, i canti, le feste e si finisce coi libri di Karl Marx, come dice padre Sheridan, anima nera del paesino che accoglie, dopo dieci anni di latitanza, siamo nel 1932, Jimmy Gralton, interpetato da Barry Ward, comunista, minatore, ma soprattutto fondatore e anima del Jimmy's Hall, un dancing dove appunto si ballava e si faceva cultura per giovani e meno giovani. Dieci anni prima Jimmy venne cacciato dai proprietari terrieri, dai fascisti e dalla chiesa.

Adesso, anche se il paese e' uscito dalla guerra civile, dopo aver ricostruito il dancing si ritriva nella stessa situazione. Padre Sheridan lo vede come il demonio, il pessimo O'Keefe, proprietario terriero, pure. E l'Ira, che ha fatto un patto con la Chiesa Cattolica, non dice nulla. Ovvio che l'ala comunista, rinforzata dalle esperienze e dai sindacati americani, gli Wooblies, venga combattuta. Jimmy se la vedra' con tutti, padroni, preti, poliziotti. Il suo peccato e' solo quello di insegnare qualcosa ai ragazzi, di farli leggere, mentre per la prima volta, dopo due secoli, un cardinale cattolico del Vaticano, Lari, arriva a Dublino.

Laverty e Loach riescono a spiegare bene, con semplicita' e senza inutili eccessi di dramma, la situazione politica e la situazione umana della piccola comunita' che sta vicina a Jimmy e al suo dancing. Grande la scena con padre Sheridan che beve whiskey e ascolta un disco di Bessie Smitj nella sua stanzetta. I tempi stanno cambiando, ma ancora non per l'Irlanda. Jimmy sara' sbattuto nuovamente fuori e morira' a New York nel 1945. Gran film politico.

E' stato accolto con grandi e giusti applausi "Mommy", scritto e diretto dal canadese Xavier Dolan, 25 anni, scoperta di Cannes qui per la prima volta in concorso.

Rispetto a "Laurence Anyways" e a "Tom à la Ferme", questo è il suo quarto film, "Mommy" ci sembra un'opera ancora più inventiva e di maggiore costruzione sia per intreccio che per direzione degli attori, che parlano un complicato francese che ha bisogno di sottotitoli. Per la prima volta, inoltre, Dolan non recita nessuna parte. Tutto l'intreccio ruota su tre personaggi, un ragazzino sedicenne, Steve, interpretato da Antoine-Olivier Pilon, violento e instabile psicologicamente, sua mamma Die, una strepitosa Anne Dorval, padrona della scena in ogni momento, e la timida vicina Kyla, Suzanne Clement, che sente il fascino della strana coppia sopra le righe madre e figlio e, in qualche modo, si innamora di entrambi.

Steve ha sfregiato il viso di un ragazzo della sua età e rischia un serio processo, la mamma lo protegge ma si rende ben presto conto che il ragazzo non solo non sa comportarsi in pubblico, ma può essere pericoloso per sé e per gli altri. Kyla entra nella relazione e stabilisce con Steve una sottile attrazione che in qualche modo prosegue l'ombra del rapporto incestuoso dei due vicini. Più che attratto dalla madre e dalla sua personalità, Steve vede in lei l'unico legame che ha con il mondo esterno e Kyla vede come una luce alla sua depressione matrimoniale.

Con un vero tocco di genio, Dolan si serve dello schermo quadrato, anche più piccolo del dovuto, per farci sentire la situazione di sofferenza e di soffocamento del ragazzo e quando la situazione si scioglie con l'amore triangolare con le sue donne, magicamente lo schermo si espande a panoramico. E' una trovata di grande efficacia, anche perché servirà successivamente per far ripiombare Steve nella sofferenza e svilupparne poi la felicità in una situazione onirica.

Dolan, un po' alla Almodovar, sta perfezionando il suo studio dei personaggi sia al femminile che al maschile con grosse turbe psichiatriche e riesce a portare a livelli molto alti la schermaglia continua all'interno di situazioni familiari. Notevole anche un momento di culto con Steve che canta "Vivo per te" di Andrea Bocelli in versione karaoke.

Ricordo, infine, che proprio un anno fa, durante i giorni del Festival, se ne andava il grande Carlo Monni, indimenticabile Bozzono di "Berlinguer ti voglio bene". Proprio oggi esce anche a Roma il suo ultimo film, "Sogni di gloria" del collettivo "John Snellinger", una piccola produzione toscana. Il film, diviso in due episodi, è un curioso esempio di realismo fantastico toscano molto cinephile. Monni aveva recitato da protagonista anche nel primo film del collettivo, "La banda del brasiliano". Qui recita assieme a un attore cinese, insegnandogli a giocare a briscola per un torneo e ci mostra quanto ancora potesse dare al nostro cinema.

 

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