NUOVO CINEMA STRACCIACULI - BERTOLUCCI, MARLON BRANDO E QUEL BURRO ENTRATO NELLA STORIA DEL CINEMA

Mariarosa Mancuso per "il Foglio"

Stavamo facendo colazione, seduti sulla moquette dell'appartamento. A un certo punto Marlon Brando cominciò a spalmare il burro su una baguette. Ci siamo scambiati un'occhiata complice". Parrebbe una scenetta tagliata al montaggio da "Il vizietto" di Edouard Molinaro, girato 35 anni prima che il premiato pastificio Barilla dovesse rimangiarsi le proprie convinzioni in materia di annunci pubblicitari (tra un po' la polizia del pensiero obbligherà a sistemare la piramide dei Ferrero Rocher dentro un caseggiato popolare, sulla tovaglia di plastica, con Mimì metallurgico in canottiera sporca di grasso).

Due maschi adulti che si danno di gomito davanti a un panetto di burro. Neppure Franco Franchi, nella parodia "Ultimo tango a Zagarolo" (regista Nando Cicero, l'altro suo imperdibile è "Viva la foca"), aveva osato tanto. Il burro lo lasciava nella sua carta argentata, a rotolare sul pavimento nella stanzetta. Come rotola la lattina vuota nelle scene con l'intellettuale a spasso per la Roma notturna, fellinianamente o sorrentinianamente, sempre con un'aria di déjà vu che ammazza. Ma una risata no? Una risata che stia a "Ultimo tango a Parigi" come la fantozziana "cagata pazzesca" sta a "La corazzata Potëmkin" di Sergej Eisenstein?

Una risata che soffochi il dibattito in culla - le più patetiche son le femministe a cui il film era piaciuto, anche per via della tirata contro la famiglia, e che oggi son tutte con Maria Schneider. Di certo sul set non fu trattata con il riguardo che si deve a una diva, giacché non lo era. Ma imputare a cinque minutacci di film una vita di infelicità pare eccessivo. Una risata che riporti all'osteria i discorsi da osteria.

Leggasi: bar, pub, rimpatriata tra soli maschi, social network, sito di libere confessioni: tutto quel che fa sfogare lasciando in pace il cinema e la letteratura. Vale anche per certi romanzi, l'ultimo pervenuto lo firma Antonio Scurati. Titolo: "Il padre infedele" (Bompiani). Scritto sulla spinta di "un'urgenza esistenziale", mentre noi rivolgiamo un pensiero affettuoso a quel cialtrone di Shakespeare che scriveva per soldi.

La coppia - lui è uno chef laureato in Filosofia, dettaglio sufficiente per evitare sia il suo ristorante sia il racconto dei suoi patemi - ha una neonata che strilla tutta la notte, la madre smette di essere un'amante devota, ed è anche nervosetta perché cinema e cene fuori sono un lontano ricordo. Il marito cerca consolazioni carnali altrove.

Perdonate la prosa da "La psicologa risponde", ma c'è un effetto risucchio quando si legge: "Il rifiuto di Giulia fu totale, come se nel membro del marito fosse racchiusa la potenza maligna che aveva provocato l'interruzione della sua vita sociale". Riportata in un'intervista, mette voglia di regalare - e non solo a Scurati - il cofanetto di "Girls". Imparassero da Lena Dunham a far sparire dal dizionario dei non laureati in Medicina la parola "membro".

Riporta Indiewire che Bernardo Bertolucci, premiato a Roma lo scorso maggio con la medaglia McKim dell'American Academy, ha certificato la superiorità delle serie tv Usa - "Breaking Bad", "The Americans", "Mad Men" - su Hollywood. Notizia che non pare di aver letto sui quotidiani italiani. Al netto della memoria cedevole, non ne abbiamo trovato traccia cercando su Google, fresco vincitore del premio "E' giornalismo" (chissà le risate dei big boss, lo sfruttamento del lavoro altrui paga in denaro e in riconoscimenti). Non sembra faccia tesoro della lezione quando gira i suoi film.

"Io e te" è carico di morbosità psico-minorili, come il vecchio "Io ballo da sola", che posizionava la macchina da presa una spanna sotto la gonnellina svolazzante di Liv Tyler. E tutti a dire: però il maestro... quanto è bravo il maestro... che classe il maestro... Altro anello della pruriginosa catena, Jill Clayburgh in "La luna": siringhe e mamma dalla manina consolatrice.

Il documentario "Bertolucci on Bertolucci" di Luca Guadagnino e Walter Fasano, presentato alla Mostra di Venezia dove Bertolucci era presidente della giuria con i risultati che sappiamo - in tanti l'han giurata al documentario, dopo "Sacro GRA" di Gianfranco Rosi - fornisce un altro po' di Freud da caseificio. Il regista si aggira nella fabbrica del parmigiano, trova eccitante l'odore del letame che porta soldi, discorre di sperma-siero e di circoncisione mentre il formaggio prende forma e vien messo a stagionare.

Giusto per non infierire su "The Big Nipple", la grande tetta, spiritosaggine che Bertolucci pronunciò durante la cerimonia degli Oscar, a imitazione di "The Big Apple": Los Angeles contro New York, pubblico muto che credeva di non aver capito bene.

In "Dreamers", macchina del tempo che celebra il promiscuo e cinefilo Sessantotto - in tutti i sensi: quel settembre alla Mostra di Venezia a disputarsi il Leone d'oro c'erano Bertolucci e Bellocchio - lo sperma-siero diventa sperma-attaccatutto, utile per appiccicare al muro la foto di Marlene Dietrich. Il pugno chiuso del Maestro che scendeva dalla lancia, con l'Excelsior sullo sfondo, rifinì il quadretto.

Il documentario di Guadagnino & Fasano è un ritratto autorizzato, come certe biografie. Un montaggio di spezzoni, che comincia con la Giovane Promessa - quando il cinema italiano con il riminese Federico Fellini, il piacentino Marco Bellocchio e appunto il parmigiano Bertolucci era un po' meno romanocentrico di quanto non sia oggi (nel gruppo andrebbe messo anche Cesare Zavattini da Luzzara, provincia di Reggio Emilia, e il critico Pietro Bianchi che esordì sulla Gazzetta di Parma).

E subito approda al Venerato Maestro, non essendo nella carriera di Bertolucci contemplata la fase del Solito Stronzo. Miracolo dovuto alle vicissitudini giudiziarie di "Ultimo tango a Parigi": mica si possono fare le pulci a un regista che si vede mettere un film al rogo, e da allora se ne va in giro con l'aureola di martire. Piena solidarietà quindi a Pier Paolo Pasolini, e al suo "Salò o le 120 giornate di Sodoma"; parole di fuoco contro i tg che annunciarono la morte dello scrittore orientando l'opinione pubblica verso la pista sbagliata.

Da quel dì, chi ambisce al titolo di intellettuale indaga su cosa è veramente successo a Ostia, ignorando le parole di buon senso del cugino Nico Naldini. Risulta da "Bertolucci on Bertolucci" che neppure Marlon Brando parlò più al regista, dopo "Ultimo Tango", e che tre attori avevano detto no. Jean-Louis Trintignant perché non voleva mettersi nudo, Jean-Paul Belmondo perché letta la sceneggiatura aveva deciso che trattavasi di pornografia, Alain Delon perché avrebbe voluto partecipare alla produzione, e il regista preferì di no.

Un intervistatore chiede perché Maria Schneider è sempre più nuda di Brando. "Un uomo senza braghe addosso perde il mistero", risponde in uno spezzone, in un altro ci ripensa e stabilisce che bisogna invertire la tendenza (senza la comicità di Judd Apatow, che ha deciso di mettere un pisello al vento in ogni film e finora ha mantenuto la promessa).

La questione Maria Schneider era aperta da tempo, l'attrice non si lasciò scappare nessuna occasione pubblica per attaccare il burro e la sua scena (nessuno mai invece sembra ricordarsi dello sconsiderato monologo pronunciato da Marlon Brando, a cui verrebbe da dire "fai di me quel che vuoi ma ti prego finiscila con 'sto delirio rivoluzionario").

Si tratta in effetti di un tormentone che periodicamente rispunta come se fosse nuovo. E fa tornare in mente "Ladri di biciclette". Il regista Vittorio De Sica infilò oppure no mozziconi di sigarette nelle tasche del settenne Enzo Staiola reclutato alla Garbatella (la bici verrà cercata invano a piazza Vittorio, entrambe non ancora di tendenza) per farlo piangere dandogli del ciccarolo? Sul maltrattamento dell'innocente creatura ricamò Ettore Scola in "C'eravamo tanto amati".

Puntata di "Lascia o raddoppia?", il concorrente Nicola Palumbo da Nocera ("Inferiore", puntualizza) tira fuori la tortura delle cicche e il raddoppio sfuma. Avrà la soddisfazione di sentire De Sica in persona raccontare l'episodio. E a conferma che il neorealismo prendeva gli attori dalla strada e sulla strada volentieri li riportava - Staiola ha smesso di recitare negli anni Sessanta, impiegandosi al catasto - c'è l'episodio nei "Mostri" di Dino Risi. Vecchietta di nero vestita rincorsa con la macchina della produzione e gettata in piscina: "Ripescate la vecchia e asciugatela, ne facciamo un'altra", urla il regista.

Bell'esempio di cinema che narra e critica, com'era nei sogni del giovane Bertolucci. Mica è facile. Di solito ci riescono meglio i registi che non combinano marxismo e psicoanalisi. Polemiche gemellate con il lamento di Maria Schneider sono sulla griglia di partenza, pronte ad accompagnare "La vita di Adele", il film di Abdellatif Kechiche premiato con la Palma d'oro a Cannes (nelle sale dal 24 ottobre).

Sulla Croisette scoppiò la grana sindacale. I tecnici e i montatori denunciarono le "disumane" - parole loro - condizioni di lavoro sul set, una galera con gli schiavi ai remi. Lamentarono i bassi compensi e i turni di lavoro annunciati con ritardo, con grave nocumento per la vita privata (metti che hai programmato un fine settimana e devi rinunciare, non vale come consolazione il fatto che in Francia i sedicenti precari dello spettacolo hanno notevoli garanzie contrattuali per i periodi tra un lavoro e l'altro).

Intanto le attrici Léa Seydoux e Adèle Exarchopoulos salivano sul palco del Grand Théâtre Lumière assieme al regista. Onore mai previsto dal cerimoniale di Cannes, ma quest'anno i film da premiare erano così tanti che lo strappo alla regola liberava la Palma per la migliore attrice, ipotecata dalle due ragazze e poi dirottata su Bérénice Bejo (nel secondo film di Asghar Farhadi, "Le passé", bello quanto "Una separazione" e candidato iraniano ai prossimi Oscar). Baci e abbracci con la felicità negli occhi, e parole lusinghiere: "Un regista unico, sa come raccontare i giovani, dài molto e sai che riceverai moltissimo".

Solo un accenno alla stanchezza: cinque mesi di riprese non sono uno scherzo, con un regista che ama i primi piani e le scene insistite. Solo Libération pescava un po' nel torbido, segnalando che le ragazze si guardavano negli occhi prima di rispondere. Lettura con il senno di poi: "Si erano messe d'accordo sulla versione da dare alla stampa". Con il senno di prima, e un po' di buon senso, sembravano due amiche con la ridarola. La musica cambia dopo la presentazione del film al Toronto Film Festival. In un'intervista sul Daily Beast il set risulta un inferno, il regista stronzo e tiranno.

"Mai e poi mai lavorerò più con lui", minaccia la bellissima, bravissima e bisogna aggiungere anche raccomandatissima Léa Seydoux. Avete presente la Pathé, la casa di produzione che mandò un operatore nella stazioncina di Astapov, a filmare Tolstoj moribondo? E avete presente la Gaumont, storico colosso fondato nel 1895, anno in cui i Lumière proiettarono "L'arrivo di un treno alla stazione di Laciotat"? I boss dell'una e dell'altro si chiamano Seydoux, e sono parenti. Più cauta la giovane e meno raccomandata Adèle Exarchopoulos, a cui peraltro - nota Kechiche - la comprimaria ha soffiato tutte le copertine promozionali di Francia.

Chiunque abbia visto il film capisce che quei dieci minuti filati tra le lenzuola sono piuttosto realistici. Ma siamo sempre convinti che un set - come ricorda Kechiche, nato povero - non somiglia a una miniera. Magari non era necessario aggiungere "io avrei preso più volentieri Sara Forestier, ma Léa ha tanto insistito".

I set dovrebbero essere come i matrimoni celebrati in chiesa, chi non ha parlato a suo tempo conviene che taccia per sempre. L'occhiata di burrosa complicità con Marlon Brando viene rivelata chiacchierando alla Cinémathèque di Parigi. Parlando francese Bertolucci voleva fare le sue prime interviste, anche con i giornalisti italiani: innamorato pazzo di Godard e di Renoir, che a noi sembrano difficili da tenere insieme, aveva decretato che "il francese è la lingua del cinema". Sul finire di "Bertolucci on Bertolucci", stabilisce che "Il cinema è la morte al lavoro".

Nel mezzo, altre frasi da segnarsi sul taccuino. Utili a capire come mai Bertolucci, che contemporaneamente al suo primo film "La commare secca" aveva vinto il Viareggio opera prima con la raccolta di poesie "In cerca del mistero", da ex ventenne prodigio abbia deciso di non restituire il favore. Premiando il venticinquenne prodigio Xavier Dolan, in concorso alla Mostra di Venezia con "Tom à la ferme".

"Le provocazioni sono come le bombe molotov, solo una su dieci funziona". Oppure, seduto sul dolly con la bandana in testa: "Voglio un finale stalinisticamente ottimista". Avvertenza: lo spettatore deve capire da solo di quale film Bertolucci stia parlando, il montaggio è un puzzle decifrabile solo dagli addetti ai lavori. In un flash appare in veste di intervistatrice tv Anne Sinclair, futura signora Strauss-Kahn (ora separata con eleganza, gli pagò la cauzione ai tempi della cameriera). Pagheremmo per vedere il gesto con cui Bernard Pivot di "Apostrophes" (allora in gran forma, adesso sta su Twitter e sgancia banalità mattutine) accompagna la domanda sulla scena a luci rosse - una delle scene a luci rosse - di "Novecento".

Probabilmente l'aveva tagliato in corsa il regista del programma tv, a protezione degli innocenti. Se l'han tagliato i registi del documentario, hanno tutta la nostra disapprovazione. La bella lavanderina Neve afferra con una mano il pisello di Robert De Niro e con l'altra il pisello di Gérard Depardieu, il figlio del possidente e il figlio del povero nati entrambi il 25 aprile del 1901.

L'abbiamo rivista uguale in "On the Road" di Walter Salles: Kristen Stewart si dà da fare in auto con gli scapestrati della beat generation (ah, le macchine americane, dove si sta comodi seduti in tre). La lavandaia fa la rivoluzione proletaria e contadina in camera da letto. Il povero Pellizza da Volpedo, citato da Bertolucci nella prima scena dell'affresco lungo quasi sei ore, distoglie pudicamente lo sguardo.

 

DE NIRO DEPARDIEU E CASSINI IN NOVECENTObertolucci novecento maria schneider con Marlon Brando in Ultimo tango a Parigi maria schneider con Marlon Brando in Ultimo tango a Parigi maria schneider con Marlon Brando in Ultimo tango a Parigi ULTIMO TANGO A PARIGI MARLON BRANDO MARIA SCHNEIDERthe dreamers 001BERNARDO BERTOLUCCI E HAIFA AL MANSOUR A VENEZIA OVAZIONE PER BERNARDO BERTOLUCCI A CANNES FOTO GILLES JACOB bertolucci bernardo tylerLEA E ADELE LA VIE D'ADELETom a la Ferme de Xavier Dolan Photo c Clara Palardy TOP 10 SCENE DI SESSO 2012: KRISTEN STEWARTKRISTEN STEWART

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