IL GENIO DI LEONARDO - DIECI ANNI FA CI LASCIAVA LEONARDO MONDADORI, ULTIMO GRANDE “EDITORE IMPRESARIO” - CRESCIUTO CON GLI INSEGNAMENTI DEL NONNO ARNOLDO, HA GUIDATO LA CASA EDITRICE CON L’IDEA CHE FARE CULTURA FOSSE UN VALORE NAZIONALE - QUANDO DOVETTE SCEGLIERE FRA DE BENEDETTI O BERLUSCONI, SCELSE IL BANANA A CUI FU BEN FELICE DI VENDERE ANCHE RETE4 - POI LA CONVERSIONE, LA MALATTIA E LE SUE PUBBLICHE ESORTAZIONI ALLA FEDE...

Sergio Romano per il "Corriere della Sera"

Nei commenti della stampa e nelle interviste con coloro che l'avevano conosciuto, la morte di Leonardo Mondadori, dieci anni fa, fu una sorta di santificazione. Come quella di ogni altro essere umano, la sua vita era stata una inevitabile combinazione di ombre e di luci, di battaglie vinte e perdute, di scelte oculate e sbagliate.

Ma era impossibile parlare di lui, nel momento della sua scomparsa, senza accendere i riflettori soprattutto sugli ultimi anni: la conversione, la malattia, il libro scritto con Vittorio Messori sulla sua esperienza spirituale, le sue pubbliche esortazioni alla fede verso la fine della vita, la sorridente serenità con cui aveva atteso la morte.

Anche gli avversari dell'Opus Dei, l'associazione che lo aveva guidato sulla via della conversione, e di Silvio Berlusconi, l'uomo d'affari a cui Leonardo aveva aperto le porte della grande casa editrice, misero a tacere le loro riserve e si limitarono a descrivere le sue virtù. Oggi, a dieci anni dalla morte, il personaggio merita un più distaccato sguardo d'insieme.

Come editore, Leonardo fu ammirevolmente anacronistico. Aveva ereditato una grande azienda in un momento in cui l'editoria era ormai una industria complessa da gestire con severi criteri economici. Alla morte del fondatore, nel 1971, la Mondadori non era più soltanto romanzi, saggi, poesia. Aveva partecipazioni in altre imprese ed era quindi una multinazionale.

Aveva una grande e moderna tipografia che non lavorava soltanto per l'azienda e da cui uscivano giornali, riviste, pubblicazioni scientifiche, edizioni scolastiche. Era un conglomerato in cui il numero dei redattori era considerevolmente inferiore a quello degli amministratori, dei contabili, dei distributori e dei magazzinieri. Il modello di Leonardo, tuttavia, era il nonno Arnoldo, abile uomo d'affari, ma anche corteggiatore e seduttore dei grandi «mostri» letterari del suo tempo.

Dopo la separazione della madre, Mimma Mondadori, da un giovane partigiano conosciuto durante la guerra (Giorgio Forneron), il nonno lo aveva allevato, aveva intuito le sue qualità, gli aveva imposto il suo nome. Sin dal momento in cui cominciò a lavorare nella casa editrice, quindi, Leonardo si considerò il successore di Arnoldo, il continuatore dello stile con cui il nonno aveva marcato la propria azienda.

Il metro con cui il nipote misurava se stesso era quello dell'editore impresario - in Italia, oltre ad Arnoldo, Valentino Bompiani, Giulio Einaudi, Livio Garzanti -, il «padrone» che non dimentica mai di lusingare il narcisismo delle sue prime donne e di curare con una dose di antidepressivi l'insicurezza dei suoi giovani autori.

Ricordo alcune colazioni, nella sua casa di via Mozart, da cui l'ospite d'onore (spesso un autore straniero arrivato a Milano per la pubblicazione del suo ultimo libro) usciva a testa alta, con qualche centimetro in più e un compiaciuto sentimento della propria importanza.

Questo non significa che Leonardo fosse privo di senso degli affari. Era nato nella bambagia («con il sedere nel burro», come diceva il nonno), era stato viziato dalla famiglia e dalla buona sorte, si comportava spesso come un grande bambino e aveva avuto una turbolenta vita matrimoniale.

Ma fu probabilmente tra i primi ad accorgersi che l'avventura televisiva di Mario Formenton, marito di zia Cristina e suo affezionato tutore, era destinata a trascinare la Mondadori sull'orlo del fallimento. Fu felice che Berlusconi liberasse la casa editrice dal peso insostenibile di Rete 4 e decise di favorire il suo ingresso nell'azienda.

Più tardi, quando fu chiamato a scegliere fra due prospettive che avrebbero egualmente sottratto la casa editrice al controllo della famiglia, - Carlo De Benedetti o Silvio Berlusconi - scelse il secondo e gli vendette segretamente un consistente pacchetto di azioni. Quell'accordo gli permise di coronare il suo sogno e di sedere per dodici anni, come presidente, sulla poltrona del nonno. La mossa colse di sorpresa una parte della famiglia e non fu probabilmente la pagina migliore della vita di Leonardo.

Ma gli uomini si giudicano anche dall'uso delle posizioni di potere che hanno conquistato grazie alle loro ambizioni. Come presidente della Mondadori, Leonardo volle che la grande casa fondata da Arnoldo restasse ciò che era stata in passato: un luogo in cui la cultura era rispettata e gli autori venivano accolti come la parte migliore del patrimonio aziendale. Fu anche, incidentalmente un grande impresario d'arte e l'organizzatore di memorabili esposizioni. Sono queste le ragioni per cui, a dieci anni dalla morte, merita di essere ricordato.

 

OSCAR NIEMEYER - SEDE DELLA MONDADORI A SEGRATELOGO MONDADORIaccordo Annuncio alla Stampa Aprile 1991 - Leonardo Mondadori, Gianni Letta, Vittorio Dotti, Fedele Confalonieri, Giuseppe Ciarrapico, Vittorio Ripa di MeanaSILVIO BERLUSCONI CARLO DE BENEDETTIBERLUSCONI CARLO DE BENEDETTI

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