CALAMITY JILL - DOPO L’IMPROVVISO LICENZIAMENTO PARLA L’EX DIRETTRICE DEL ‘NEW YORK TIMES’, JILL AMBRAMSON: ‘ORA SO ANCHE IO CHE COSA SIGNIFICHI ESSERE SCONFITTI E SCARICATI’ - LA SUA GESTIONE DEFINITA ‘IL REGNO DEL TERRORE’

Vittorio Zucconi per ‘La Repubblica'

«Parlo a chi di voi è stato scaricato come me», e i ragazzi e le ragazze ridono con lei, ma con rispetto: dagli altari del giornalismo all'umiliazione brutale della caduta, Jill Abramson, l'ex imperatrice del giornalismo mondiale licenziata in tronco dal New York Times, si confessava a loro per la prima volta in pubblico, davanti agli studenti dopo la sua brutale deposizione.

Da un previsto sermone sulla libertà di stampa, previsto quando dominava il mondo dell'informazione, la Abramson ha dovuto editare in fretta il suo intervento per ammettere di «non sapere che fare» dopo la cacciata dal trono. «Mi resta il pensiero di mio padre - ha detto agli studenti della Wake Forest University dove ha pronunciato il discorso di fine anno ai laureati - che sarebbe stato orgoglioso di me».

«Fa male, molto male», deve ammettere e il suo tentativo di fare un po' di ironia sulla sua umiliazione non nasconde il dolore: «Sono meravigliata e ammirata dal fatto che la vostra cerimonia di laurea abbia attirata tanta attenzione».

Come una bambina che torni tra le braccia del papà a cercare rassicurazione e conforto dopo essersi sbucciata un ginocchio, questa formidabile giornalista di 60 anni, madre di due figli, sposata allo stesso uomo da trentatré anni, oggi nuota da sola nell'acquario dei pescecani dei media, accompagnata da «un piccolo circo mediatico », aggiunge con involontaria ironia essendo stata proprio lei la domatrice e direttore di pista del più prestigioso circo mediatico del mondo.

Jill era stata scelta nel 2011 dal Arthur Ochs Sulzberger proprietario del New York Times ed erede della dinastia che dal 1896 lo controlla, come la prima donna direttore di quella «Signora in Grigio» - il soprannome del più famoso quotidiano del mondo - che mai aveva avuto una signora vera ai comandi. «Ora so anche io che cosa significhi essere sconfitti e scaricati, ma come mia sorella mi ha ricordato, nostro padre ci aveva insegnato che la misura di una persona è data da come si affrontano le sconfitte e non il successo».

Una misura che lei aveva affrontato non soltanto nello spirito, ma nel corpo quando sette anni or sono in Times Square, non molto lontano dal grattacielo del New York Times sul quale ha regnato, era stata investita da un camion, sopravvivendo a fatica. «Tra quel disastro e quello di oggi, qualcuno comincerà a chiamarmi Calamity Jill».

La sua ascesa al massimo trono dell'informazione mondiale in un mondo, come ha puntutamente notato, ancora «dominato dai maschi», pochi anni dopo la vittoria di Barack Obama alle presidenziali, era stata vista e sfruttata dall'editore come un altro auspicio luminoso del crollo delle barriere di razza, di colore e di genere.

Ma questa «Love Story» fra la proprietà e la First Lady della Prima Signora del giornalismo si è frantumata come quel «soffitto di cristallo» che Jill aveva spezzato, anche a nome di altre donne. In meno di dieci giorni fra il 27 aprile e il 6 maggio, di quel vetro sono rimasti i cocci. Ed è stata un'altra donna, Janine Gibson, la direttrice inglese del Guardian edizione americana, a essere involontariamente il detonatore dell'esplosione.

La sua scelta come vice direttore per le edizioni e le iniziative online del «Times» aveva esasperato il numero due di Jill, Dan Baquet, che aveva minacciato di andarsene dopo una cena tempestosa con l'azionista nel suo duplex di Park Avenue. Da New York, Janine Gibson, l'altra donna di questo spietato triangolo di ambizioni, è fuggita per tornare a Londra come vice direttore del Guardian.

Nel cespuglio di rovi delle gelosie, delle antipatie, delle divoranti vanità che consumano il mondo dei media, e del perenne stereotipo del «cattivo carattere» delle donne importanti alle quali non si perdonano atteggiamenti invece lodati in un leader maschio, bruciava l'irritazione della Abramson dopo la scoperta di essere retribuita meno del predecessore maschio, Bill Keller.

Vero o falso che fosse il gap, che goffamente l'editore nega, l'aumento da 499 mila dollari l'anno ai 525 mila del 2013 più azioni, benefit e altre coccole, deciso dall'amministratore sembrarono segnalare che la proprietà sapeva e aveva cercato di colmare la differenza.

E la tanica di benzina sul cespuglio ormai in fiamme dei rapporti fra editore e direttore esplose quando il proprietario venne a sapere che lei aveva assunto un avvocato per fare causa all'azienda. «Jill Abramson è stata sollevata dal suo incarico e la proprietà la ringrazia per la sua blah blah». Al suo posto, certamente per meriti e per coprirsi le spalle da accuse di discriminazione, è salito proprio il commensale lamentoso, l'afroamericano Baquet.

«Ora sono un po' spaventata, ma anche molto stimolata dal non sapere che cosa farò domani, che futuro avrò, esattamente come voi laureati». Ma una cosa certamente non farà: non si cancellerà dalla schiena i tatuaggi con le iniziali del marito e quelle nei caratteri goticheggianti del giornale che prima ha diretto e poi l'ha scaricata: «Neanche per sogno», perché quel suo ex giornale «resta il forte dal quale si difende la libertà di stampa senza la quale la democrazia non esiste». Non è personaggio da suscitare tenerezze, semmai da incutere timore, come sapevano i suoi redattori e collaboratori sotto quello che il successore e nemico, Dan Baquet definisce in privato «il regno del terrore».

Ma come sempre dietro il suono e il rumore c'è una persona, Jill, l'ex studentessa di Harvard destinata al più entusiasmante dei trionfi e poi alla più amara delle cadute.
Ieri, era soltanto una signora non più giovane, piccolina nella toga voluminosa della laurea honoris causa, segnata, nella voce e nel volto, dal dramma della defenestrazione brutale. «Ieri sera, parlando con alcuni di voi, ho confessato di avere un po' paura, ma anche di restare fedele, a ogni costo, a questa meravigliosa professione chiamata giornalismo».

La signora. Da direttore del massimo quotidiano del mondo a disoccupata che predica a studenti altrettanto disoccupati, la caduta dal grattacielo costruito da Renzo Piano per il New York Times è stata tremenda e improvvisa. Per fortuna ha ancora il ricordo della voce del padre, per rimboccarle le coperte dell'amarezza e augurarle la buonanotte.

 

mark thompson e arthur sulzberger i boss del new york times JILL ABRAMSON ANDREA CECCHERINI GABRIELE GALATERI A BAGNAIA jill abramson DEAN BAQUET BILL KELLERLA SEDE DEL NEW YORK TIMES dean baquet

Ultimi Dagoreport

igor taruffi elly schlein

DAGOREPORT - QUALCUNO DICA A ELLY SCHLEIN CHE STA AFFONDANDO IL PD! - NON SOLO TOSCANA E UMBRIA, DALLA CAMPANIA ALLA SICILIA FINO ALLA PUGLIA, SI MOLTIPLICANO I PROBLEMI SUI “TERRITORI” - A FINIRE NEL MIRINO LO “SPICCIAFACCENDE” DI ELLY, IGOR TARUFFI, RESPONSABILE ORGANIZZAZIONE DEL NAZARENO. DOVE C’È LUI, C’È CASINO, VISTA LA SUA PROPENSIONE A SALVAGUARDARE I CACICCHI FEDELI ALLA MIGLIORE ALLEATA DEL GOVERNO MELONI - IN SUO SOCCORSO È ARRIVATO ANCHE IL BERSANIANO NICO STUMPO CHE NON RIESCE AD EVITARE I PASTICCI CHE "LO STRATEGA IN VERSIONE PIZZICAGNOLO" TARUFFI COMBINA A CAUSA DELLA SCARSA CONOSCENZA DELLE REGOLE E DELLE DIVERSE REALTA’ LOCALI. E PER LA PRIMA VOLTA…

giorgia meloni ursula von der leyen donald trump dazi matteo salvini

DAGOREPORT – LA LETTERINA DELL’AL CAFONE DELLA CASA BIANCA È UNA PISTOLA PUNTATA ALLA TEMPIA DEI LEADER EUROPEI, CUI È RIMASTA UNA SOLA VIA DI USCITA, QUELLA COSIDDETTA “OMEOPATICA”: RISPONDERE AL MALE CON IL MALE. LINEA DURA, DURISSIMA, ALTRIMENTI, ALLE LEGNATE DI TRUMP, DOMANI, ALL’APERTURA DELLE BORSE, SI AGGIUNGERANNO I CALCI IN CULO DEI MERCATI. LA CINA HA DIMOSTRATO CHE, QUANDO RISPONDI CON LA FORZA, TRUMP FA MARCIA INDIETRO - SE LA “GIORGIA DEI DUE MONDI” ORMAI È RIMASTA L’UNICA A IMPLORARE, SCODINZOLANTE, “IL DIALOGO” COL DAZISTA IN CHIEF, NEMMENO LE CIFRE CATASTROFICHE SULLE RIPERCUSSIONI DELLE TARIFFE USA SULLE  AZIENDE ITALIANE, TANTO CARE ALLA LEGA, HA FERMATO I DEMENZIALI APPLAUSI ALLA LETTERA-RAPINA DA PARTE DI MATTEO SALVINI – ASCOLTATE JOSEPH STIGLITZ, PREMIO NOBEL PER L’ECONOMIA: “TRUMP NON AGISCE SECONDO ALCUN PRINCIPIO ECONOMICO, NON CONOSCE LO STATO DI DIRITTO, È SEMPLICEMENTE UN BULLO CHE USA IL POTERE ECONOMICO COME UNICA LEVA. SE POTESSE, USEREBBE QUELLO MILITARE’’

steve witkoff marco rubio sergei lavrov

RUBIO, IL TAJANI STARS AND STRIPES – IL SEGRETARIO DI STATO AMERICANO NON TOCCA PALLA E SOFFRE IL POTERE DI STEVE WITKOFF, INVIATO DI TRUMP IN MEDIO ORIENTE CHE SE LA COMANDA ANCHE IN UCRAINA. IL MINISTRO DEGLI ESTERI USA PROVA A USCIRE DALL’ANGOLO PARLANDO DI “NUOVA IDEA” DELLA RUSSIA SUI NEGOZIATI IN UCRAINA. MA IL MINISTRO DEGLI ESTERI DI PUTIN, LAVROV, SUBITO VEDE IL BLUFF: “CONFERMIAMO LA NOSTRA POSIZIONE” – TRUMP AVEVA OFFERTO DI TUTTO A WITKOFF, MA L’IMMOBILIARISTA NON HA VOLUTO RUOLI UFFICIALI NELL’AMMINISTRAZIONE. E TE CREDO: HA UN CONFLITTO DI INTERESSE GRANDE QUANTO UN GRATTACIELO...

diletta leotta ilary blasi stefano sala pier silvio berlusconi

FLASH – IL BRUTALE AFFONDO DI PIER SILVIO BERLUSCONI SU ILARY BLASI E DILETTA LEOTTA (“I LORO REALITY TRA I PIÙ BRUTTI MAI VISTI”), COSÌ COME IL SILURAMENTO DI MYRTA MERLINO, NASCE DAI DATI HORROR SULLA PUBBLICITÀ MOSTRATI A “PIER DUDI” DA STEFANO SALA, AD DI PUBLITALIA (LA CONCESSIONARIA DI MEDIASET): UNA DISAMINA SPIETATA CHE HA PORTATO ALLA “DISBOSCATA” DI TRASMISSIONI DEBOLI. UN METODO DA TAGLIATORE DI TESTE BEN DIVERSO DA QUELLO DI BABBO SILVIO, PIÙ INDULGENTE VERSO I SUOI DIPENDENTI – A DARE UNA MANO A MEDIASET NON È LA SCURE DI BERLUSCONI JR, MA LA RAI: NON SI ERA MAI VISTA UNA CONTROPROGRAMMAZIONE PIÙ SCARSA DI QUELLA CHE VIALE MAZZINI, IN VERSIONE TELE-MELONI, HA OFFERTO IN QUESTI TRE ANNI…

giorgia meloni elly schlein luca zaia vincenzo de luca eugenio giani elly schlein elezioni regionali

PER UNA VOLTA, VA ASCOLTATA GIORGIA MELONI, CHE DA MESI RIPETE AI SUOI: LE REGIONALI NON VANNO PRESE SOTTOGAMBA PERCHÉ SARANNO UN TEST STRADECISIVO PER LA MAGGIORANZA – UNA SPIA CHE IL VENTO NON SPIRI A FAVORE DELLE MAGNIFICHE SORTI DELL’ARMATA BRANCA-MELONI È IL TENTATIVO DI ANTICIPARE AL 20 SETTEMBRE IL VOTO NELLE MARCHE, DOVE IL DESTRORSO ACQUAROLI RISCHIA DI TORNARE A PASCOLARE (IL PIDDINO MATTEO RICCI È IN LEGGERO VANTAGGIO) – IL FANTASMA DI LUCA ZAIA IN VENETO E LE ROGNE DI ELLY SCHLEIN: JE RODE AMMETTERE CHE I CANDIDATI DEL PD VINCENTI SIANO TUTTI DOTATI DI UN SANO PEDIGREE RIFORMISTA E CATTO-DEM. E IN CAMPANIA RISCHIA LO SCHIAFFONE: SI È IMPUNTATA SU ROBERTO FICO, IMPIPANDOSENE DI VINCENZO DE LUCA, E SOLO UNA CHIAMATA DEL SAGGIO GAETANO MANFREDI LE HA FATTO CAPIRE CHE SENZA LO “SCERIFFO” DI SALERNO NON SI VINCE…