IL MAUSOLEO DI ALBERTONE - LA VILLA AFFACCIATA SULLE TERME DI CARACALLA PROGETTATA PER CONTO DEL SEGRETARIO DEL DUCE, LA VOLEVA ANCHE DE SICA MA SORDI PAGAVA IN CONTANTI - IL FAVOLOSO DESIGN ITALIANO DEGLI ANNI SESSANTA QUI NON È ENTRATO. MEGLIO IL FINTO ANTICO

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Paola Zanuttini per ''il Venerdì - La Repubblica''

 

La casa di Sordi a via Druso è un genius loci della romanità. I cultori della memoria albertona temono che si perda, ma la sua villa rossa affacciata sulle terme di Caracalla e sul semaforo più lento del mondo è un avamposto contro l' oblio. E ogni volta che ci passi sospiri: Uh, la casa di Sordi!

 

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Questa villa che, dopo la morte dell' attore nel 2003 e di sua sorella Aurelia nel 2014, ha gradualmente dismesso la sua funzione di casa, recupera nel vuoto e nella decadenza un valore forse più alto: quello di giacimento culturale. Di reperti, cimeli e soprattutto di un passato che è di tutti, perché con i suoi beniamini il pubblico condivide un tempo, una storia.

 

Memorabilia scovate qui e nello studio di via Emilia (zona via Veneto), inventariate e conservate dalla Cineteca Nazionale di Roma, ma anche riemerse casualmente, come la fotografia della copertina di questo Venerdì: Alberto e la sorella maggiore Savina da piccolissimi.

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Prima dei ricordi affascinanti tocca occuparsi di quelli prosaici: soldi, truffe, liti sul testamento. L' eredità Sordi, circa quaranta milioni, è confluita in tre fondazioni, due delle quali istituite da lui stesso ed escluse dall' asse ereditario di Aurelia: la prima, che risale al 1992, si occupa di anziani nel Campus biomedico di Trigoria (Opus Dei); la seconda, presieduta da Carlo Verdone, nasce nel 2001 per sostenere i giovani; la terza, più consistente, che comprende la villa, è destinata alla creazione di un museo e alla conservazione del patrimonio culturale del mattatore.

 

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 La fondazione Museo Alberto Sordi fu costituita nel 2011 da Aurelia che la designò sua erede universale. I fratelli Sordi non hanno avuto figli, ma 37 lontani parenti (che Albertone detestava) hanno impugnato il testamento tirando in ballo la circonvenzione d' incapace - con saccheggio di 2,5 milioni - da parte di domestici, avvocati e notai di cui Aurelia è stata vittima negli ultimi anni della sua vita. Una perizia del tribunale di Roma stabilisce che una forma iniziale di demenza senile si è manifestata nel 2012, quindi dopo la dettatura del testamento, ma i parenti ci provano lo stesso.

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La fondazione Giovani, governata da Carlo Verdone, e la fondazione Museo, presieduta dall' ex magistrato Italo Ormanni, lavorano in tandem. Un po' perché hanno finalità comuni e un po' perché fino a che non si risolvono le beghe sull' eredità, Ormanni non può né vuole prelevare somme rilevanti. Quindi Verdone dà una mano per bloccare, sotto l' occhiuto controllo della Soprintendenza, le infiltrazioni d' acqua in casa o per risistemare un muro pericolante e paga - ma è previsto dallo statuto - i due tirocinanti che alla Cineteca aiutano a organizzare il Fondo Sordi.

 

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Tremila rulli di pellicole dei suoi film, ma anche materiali girati in preproduzione; la versione integrale di Fumo di Londra, sua prima regia, con i dialoghi in inglese (Sordi talks!) e prove in bianco e nero; le tre serie televisive Storia di un italiano già digitalizzate; oltre 200 album di foto e di ritagli su ogni film realizzato o progettato; locandine, foto e materiali della sua Aurelia film, che produsse le ultime pellicole; la biblioteca e la corrispondenza; premi e documenti (incluso il primo libretto di lavoro); copioni e soggetti. Rosari e santini.

verdone nella barberia di casa di alberto sordiverdone nella barberia di casa di alberto sordi

 

Come sarà accessibile al pubblico questo patrimonio è ancora da stabilire, per ora accontentiamoci di un sopralluogo. La casa può diventare un museo fantastico, un documento straordinario sulla vita di un divo nell' epoca d' oro del cinema italiano, sugli anni del boom, sul passaggio dall' indigenza alla ricchezza amministrata con proverbiale parsimonia, sul gusto, discutibile, della borghesia piccola piccola che diventa élite. Mi accompagnano nel tour il presidente Ormanni e il vicepresidente Giambattista Faralli, custode per un vita degli investimenti di Sordi.

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Alberto Sordi la sua casa mostrata da Carlo Verdone Alberto Sordi la sua casa mostrata da Carlo Verdone

Come tutti i genius loci, la magione di via Druso ha un mito di fondazione. Si dice che fu costruita nel 1932 su progetto di Clemente Busiri Vici, gloriosa stirpe di architetti. E questo è vero. Poi si va sul leggendario aggiungendo che il committente era il gerarca Dino Grandi e che il cunicolo diretto verso una porticina serviva alle sue amanti. E questo è falso. Perché la villa, in stile casal-signoril-italico, fu edificata per un altro pezzo grosso ma meno noto del regime, Alessandro Chiavolini, segretario particolare di Mussolini. Non è confermato l' uso galante del cunicolo. La casa passò nel 1954 a un certo ingegner Cesa che la vendette a Sordi nel 1958. Voleva comprarla anche Vittorio De Sica, ma Sordi pagava in contanti.

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Nel documentario su casa Sordi girato dai fratelli Verdone nel 2013, l' anfitrione era Arturo Artadi, il fin troppo amabile factotum peruviano che dirigeva un stuolo di famigli e si dava molto da fare sui conti di Aurelia. Ora è stato allontanato e i domestici sono dimezzati: «Il testamento della signorina stabiliva di mantenerli nel limite del possibile, ma la fondazione è una persona giuridica e non può assumere colf, quindi abbiamo ridotto e modificato i contratti. E convinto Arturo a farsi da parte: gli abbiamo spiegato che il suo mensile, sui 5 mila euro, sarebbe stato ridimensionato» spiega Faralli.

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Com' è la casa? Superata l' enorme scultura di un cavallo rampante dedicata al ronzino protagonista di Nestore l' ultima corsa, si entra in un atrio buio che sfocia nel famoso teatrino di Sordi, pezzo forte della magione. Nel salone color senape coi divani un po' fané e le mantovane scolorite, i mobili antichi suscitano qualche dubbio: è autentico quel tavolo Boulle? «No qui è quasi tutto in stile».

 

Alberto Sordi la sua casa mostrata da Carlo Verdone Alberto Sordi la sua casa mostrata da Carlo Verdone

Nello stile generale c' è lo zampino di Aurelia: sul pianoforte, alcune preziose ceramiche del Pinelli (XIX secolo) circondano una statuina di padre Pio. Aurelia era anche una scatenata disseminatrice di peluche: per il cultori del genere qui c' è un repertorio impagabile della sua evoluzione. La cucina rappresenta il sogno americano di spazio, ordine e funzionalità rivisitato all' italiana.

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Pensili di legno, non di formica, e l' acquaio è una quadratura del cerchio in marmo: vasche tonde di struttura quadrangolare. La parte frivola è la barberia, l' ambiente più decantato dai pochi visitatori, per il resto prevale una sorta di affollato horror vacui, la parete sull' imponente scala di marmo rosso è costellata di variopinti uccelli di porcellana.

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C' è un senso di intrusione a entrare nelle stanze da letto. Quella più da coppia che da scapolone (colori tenui, cassettone istoriato) dove Sordi è morto, per un tumore alla prostata; e quella dove Aurelia dormiva negli ultimi tempi con la badante, o quella più giovanile e fiorata di Savina, la maggiore, morta nel 1972, facendo cadere un velo di lutto sulle mondanità della casa. «A volte ero invitato io, Piero Piccioni o Ettore Scola» rievoca al telefono Carlo Verdone. «Prima ancora, i suoi sceneggiatori Sonego e Amidei, Fellini, la Masina, la Vitti e molti monsignori. Mi ricordo che un Capodanno vidi i resti di una tombola sul tavolo da pranzo. Avevano giocato in tre: Alberto, Aurelia e la cameriera».

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Ormanni dice che in questa casa museo va conservato lo spirito di un' epoca. Ma sul muro in salone ci sono i segni lasciati dai tre De Chirico dati alla Galleria Nazionale d' Arte Moderna. De Pisis resiste.

 

Sordi si era poi rivolto agli antiquari, forse più per i dipinti e gli oggetti d' arte. I mobili fasulli erano più affidabili degli antichi. O dei moderni: il design italiano anni 60 qui non è mai entrato.

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Questa dimora-museo non vuole essere il Mausoleo Albertone, ma una sorta di casa del cinema aperta - magari a numero chiuso - ad altri eventi e personaggi. Gli studiosi potrebbero accedere alla biblioteca, dove c' è la storia del cinema e del teatro, riviste, strenne d' arte e un po' di narrativa italiana con dediche degli autori, tipo Mario Soldati.

 

Gli ultimi anni Sordi li ha passati ultimando il suo monumento: Storia di un italiano, la serie per Rai Due che dal 1979 al 1986 ha ricostruito la vicenda sua e di un Paese. Ha montato altre sette puntate che nessuno ha visto e quando ha capito che stava arrivando al capolinea ci ha lavorato febbrilmente.

 

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Questo suo patrimonio, forse il più caro, è stato lasciato alla fondazione Giovani che non può farne molto perché i diritti degli spezzoni cinematografici sono scaduti e difficilmente rinnovabili. Stessa sorte per le ultime sette puntate. Pare, più scarse.

 

Alla Cineteca Nazionale, Marina Cipriani e Francesca Angelucci censiscono questa mole di ricordi. Un lavoro lungo. E avventuroso. Per recuperare i documenti nell' ufficio di via Emilia, hanno camminato sul guano, le finestre si erano aperte e gli uccelli avevano pazziato. Certe pellicole erano stivate in una ex cappella nel giardino. Sordi conservava tutto, e pretendeva la copia di ogni suo film.

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Un' automonumentalizzazione in vita, ma certe sconsideratezze fanno sospettare un disinteresse per i posteri. Dopo di lui il diluvio. Su un bancone della Cineteca ci sono gli album rilegati dei suoi film, girati e non. Sordi nella parte di un redivivo Nando Moriconi negli States mai finito sugli schermi. Le curatrici dicono che la propensione a fare l' italiano all' estero ricorre: Brasile, Israele, Australia. Appartati, due schedari telefonici. Sbircio: nobildonne, venditori di mobili da ufficio, sarti, circoli snob, monsignori, politici (Andreotti gli scriveva affettuosi biglietti), maestranze.

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Fa effetto tutto il lavoro ignoto che c' è voluto per diventare e restare Alberto Sordi.

I progetti incompiuti. C' è la sceneggiatura di un film su Giovanni Martini, alias John Martin, che diventò il trombettiere di Custer dopo aver combattuto con Garibaldi e avergli (forse) rubato il cavallo bianco. E c' è quella di Il nostro caro Henry con Sordi che parodiava Kissinger (somiglianza strepitosa) firmata da Amidei, Age e Scarpelli. All' inizio diverte, poi un po' meno.

 

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