METTI INSIEME I TRE “KILLER” DELLA LETTERATURA BRITANNICA, SALMAN RUSHDIE, MARTIN AMIS E IAN MCEWAN: “LA FICTION È UNA FORMA SUPERIORE DI VITA”

Paolo Mastrolilli per "la Stampa"

«Benvenuti al raro incontro fra i tre cattivi ragazzi che furono accusati di dominare, e soprattutto distorcere, la letteratura britannica». Salman Rushdie si diverte a presentare così una chiacchierata davvero inusuale, fra lui, Martin Amis e Ian McEwan. Poi ammicca al pubblico pagante, e aggiunge in italiano: «Siamo i capi dei capi», cioè la cupola della letteratura irriverente e iconoclasta. «Bada a te, America, ora che io e Martin abbiamo stabilito qui la nostra dimora!».

L' occasione è la celebrazione dell'Unterberg Poetry Center alla 92Y di Manhattan, che ha radunato un parterre de roi dell'editoria. Al bar, per esempio, c'è il re degli agenti letterari Andrew Wylie, che sorseggia un whiskey e spiega: «Devo raccogliere un po' di forze, prima di andare a salutare i boys».

«Quando eravamo giovani - attacca Rushdie - il New York Times scrisse che Martin era il nuovo "maestro della sgradevolezza". Quanto a Ian, il suo soprannome era McNasty, il cattivo. Quindi non fatevi tradire dalle apparenze gentili dei miei due colleghi: sono dei killer». Già, ma killer di che cosa?

«Il padre di Martin diceva che suo figlio era disposto a rompere qualsiasi regola, pur di attirare l'attenzione su se stesso: questo è il genere di papà di cui ognuno di noi avrebbe bisogno. Mi ricordo i giochi feroci che faceva assieme al nostro amico Christopher Hitchens, il quarto cattivo ragazzo che dovrebbe stare qui con noi. Per esempio quello delle sostituzioni: mettere la frase "sesso isterico" al posto di qualunque opera che contenesse la parola amore. E quindi "Sesso isterico ai tempi del colera", oppure "All you need is hysterical sex". Ce n'era anche un'altra con pussy e bullshit , ma forse è meglio se sorvolo».

Quanto a McEwan, stesso discorso: «Lui sembra più gentile. Ad esempio i nostri libri di esordio uscirono insieme: tutti elogiarono, giustamente, il suo Primo amore, ultimi riti , mentre tutti distrussero, altrettanto giustamente, il mio Grimus . Eppure lui ebbe il coraggio di dirmi che lo aveva letto e gli era piaciuto: così diventammo amici per sempre. Essendo cresciuto all'estero, perché il padre faceva il militare, Ian ha sviluppato una capacità unica di descrivere cosa significava essere inglesi, e cosa non significa più. Sa guardarci dall'esterno, con quel tratto dark che gli è rimasto da quando scriveva racconti, e notare la nostra decadenza».

L'impressione, in effetti, è proprio questa: tre cattivi ragazzi, disposti a pronunciare qualunque cinismo, offesa, eresia, che possa attirare l'attenzione su di loro. Infatti, quando arrivano i biglietti con le domande del pubblico, Rushdie sceglie questa come prima: «Ian, una volta hai detto che all'università ti presentasti davanti a una ragazza che ti piaceva, chiedendole di scoparti. Hai cambiato stile, nel frattempo?».

McEwan: «Davvero ho detto in pubblico una cosa del genere? Però forse non ho raccontato la sua risposta: mi invitò molto gentilmente ad andare affanculo. Non fu un successo. Diciamo che da allora in poi sono diventato meno funky , meno bizzarro».

Rushdie vede Amis che si agita, e lo include: «Martin, la domanda era per Ian, ma se vuoi, puoi rispondere anche tu».

Amis: «No, non farei mai una cosa del genere».

Rushdie: «Dicono che spesso ci affidiamo a narratori inaffidabili, nelle nostre storie. Come facciamo poi a ristabilire un rapporto di credibilità tra autore e lettori?».

Amis: «Il narratore inaffidabile, quello che racconta bugie o storie palesemente non vere, ha una lunga e nobile tradizione. Io l'ho imparato soprattutto da Nabokov. È una maniera deliziosa di procedere, che in realtà affascina il lettore e avvicina alla verità più del reale».

McEwan: «Ha ragione Martin, e lo capiscono anche i bambini. Il privilegio di uno scrittore è proprio quello di misurare la distanza tra la retorica del protagonista, dell'autore e dei lettori, che intuiscono automaticamente di essere portati a spasso. Anche i libri per l'infanzia ormai hanno il narratore inaffidabile che parla in terza persona, perché l'imbroglio aguzza l'ingegno».

Rushdie: «Che impatto ha il luogo dove vivete sui libri che scrivete?». Amis: «Nulla, spero». Rushdie: «Ma per gente come Hemingway o Fitzgerald era molto importante».

Amis: «Sì, ma ci vogliono anni prima che abbia un effetto. Per esempio i primi romanzi interessanti sull'11 settembre, quelli di DeLillo e McInerney, sono usciti dopo tre anni. Devi assorbire l'ambiente nel corpo, nella mente, nella spina dorsale e nel cuore, prima di parlarne. Io vivo a Brooklyn da due anni, forse tra un anno potrò scriverne».

McEwan: «La bellezza della letteratura è proprio quella di poter trascendere lo spazio con l'immaginazione. Joyce scrisse cose magnifiche sull'Irlanda, perché stava a Zurigo o Trieste. Oggi poi, grazie a Internet, sei ovunque vuoi».

Rushdie: «Questa domanda vuole farci litigare. Io ho scritto in Joseph Anton che la fiction è una forma di libertà e verità; Martin ha detto alla Paris Review che non vuole troppi fatti; Ian ha dichiarato al Guardian che la fiction è una forma di vita più alta. Rispondo io per primo: non sono d'accordo con me stesso. Il bello dei romanzi è che sono tutti inventati. Madame Bovary non è vera, ma questo ci aiuta a vedere meglio la realtà».

Amis: «Scrivere è libertà. Mi ribolle il sangue, quando penso ai grandi autori di talento dell'Urss tipo Majakovskij o Esenin, che furono intrappolati nella realtà. Si tolsero la vita, perché quando uno scrittore deve scendere a compromesso con la sua libertà di inventare, il suicidio diventa l'unica via d'uscita».

McEwan: «La fiction è una forma superiore di vita, nel senso che è una forma superiore della verità. Solo inventando la capisci».

Rushdie: «Cosa cambiereste dei libri che avete scritto?».

Amis: «I primi quattro, erano una schifezza».

McEwan: «La punteggiatura di Primo amore . Ero stato ipnotizzato da Beckett, e credevo che le virgole fossero meglio dei punti».

Rushdie: «W. H. Auden, nella poesia September 1 1939 , mise questo verso: "Dobbiamo amarci l'un l'altro, o morire". Anni dopo lo cambiò: "Dobbiamo amarci l'un l'altro, e morire". Il primo era magnifico, il secondo una banalità. Mai riscriversi, è sempre pericoloso».

 

 

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