“IL MIO CUORE SARÀ UN PO’ PIÙ VUOTO” - MILENA GABANELLI RICORDA FREAK ANTONI, DAI TEMPI DELL’UNIVERSITÀ AGLI ULTIMI GIORNI IN OSPEDALE – LABRANCA: “È PROPRIO VERO: IN ITALIA NON C’È GUSTO A ESSERE INTELLIGENTI”

1. IL MIO AMICO FREAK
Post di Milena Gabanelli sulla pagina Facebook di "Report"

La mia città sarà un po' più vuota, e anche il mio cuore.
Ti ricordo così: lunghe passeggiate sulle colline nei nostri primi anni di università a parlare di cosa avremmo fatto da grandi, e finiva cantando "Strawberry Fields Forever".
La nascita di Margherita e il tuo "obbligo" a chiudere con le cattive abitudini.
La rabbia sulle nostre difficoltà, per noi di umili origini.

Nessun successo poteva cancellare l'intima convinzione di essere comunque di serie b.
Tu, sotto quel camice bianco dopo il secondo intervento all'ospedale Maggiore, e l'arrivo della mamma "sono appena stata a trovare mio marito che è malandato e adesso sono qui a trovare mio figlio... ma sa iò fat?" (cosa ho fatto di male?).

L'hai presa in giro, e mi hai fatto ridere.
Tornando a casa ho pianto, pensando a lei... e ho sperato che il corso degli eventi avesse la decenza di rispettare quello naturale delle cose.

Milena Gabanelli


2. IN LACRIME PER FREAK
Tommaso Labranca per "Libero Quotidiano"

Caro Roberto «Freak» Antoni, vorrei dire che la tua lotta non è stata vana e che ora, liberato troppo presto dalla materia, guardi indietro con un sorriso, soddisfatto dello smantellamento dei tromboni cui tanto hai contribuito. Purtroppo non è così. Proprio nel giorno in cui veniamo a sapere della tua scomparsa a 59 anni, dopo una malattia che ti perseguitava da tanto, ci viene anche detto che probabilmente Alessandro Baricco diventerà ministro della cultura.

Oltre il danno, la beffa. È proprio vero: in Italia non c'è gusto a essere intelligenti. O, per dirla con un altro freak della nostra cultura, Ennio Flajano, «Leccate, leccate. Qualcosa sulla lingua rimane sempre». Magari un ministero. Tutto in Freak Antoni, dall'umorismo alle frequentazioni, dai riferimenti popolari a quelli più crassi era targato BO. L'Italia non riesce mai a essere unita e una. Non lo è allo stadio, tantomeno a tavola. E neppure in campo culturale, dove più che la nazionalità conta il campanile. Freak Antoni era bolognese prima che italiano.

Figlio di una città che ancora oggi vive cristallizzata nell'epoca del suo più recente massimo splendore, Roberto visse da protagonista e demiurgo quello splendore. Un momento ancora poco studiato a cavallo tra anni '70 e '80, importante perché segnava un superamento dell'intellettualismo logorroico che era diventato piombo. E lo faceva con lo sberleffo. «Un risotto vi seppellirà », profetizzava Freak Antoni con una frase che aggiungeva scherno allo scherno.

Fu a Bologna che nacque quel mondo fatto di colori, neon, elettronica sporca, compiacimento in pelle nera, fumetti e derisione del paludamento. Con maggiore precisione si può affermare che il nucleo da cui partì l'esplosione fu il DAMS, quel ramo della facoltà di lettere dell'Università di Bologna in cui ci si laureava in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo. E dove, nel luglio del 1978, Freak Antoni discusse con il suo relatore, lo scrittore Gianni Celati, una tesi sulla musica dei Beatles. Oggi non fa effetto, ma nel 1978, quando al polveroso accademismo i sessantottini avevano sostituito un altro accademismo cementificato, laurearsi con una dissertazione su Lennon-Mc- Cartney aveva il potere di una bomba.

Altrettanto esplosive furono tutte le espressioni di Freak Antoni. A cominciare dall'esperienza con gli Skiantos, band demenziale le cui canzoni hanno titoli come Ti rullo di kartoni, Diventa demente, Ti frugo nel frigo. C'è chi ha proposto una tesi interessante: il rock demenziale in Italia ha preso il posto del punk. Ed è proprio così. Nella terra del melodramma, siamo poco propensi a prenderci sul serio e a drammatizzare.

I giovani britannici si infilzavano di spilloni e andavano negli squat dopo aver sputato in faccia ai genitori, da noi si era punk nell'abbigliamento, nello strimpellamento di chitarre, nelle urla sul palco. Poi, alle diciannove, si cenava in famiglia. Non a caso un altro brano storico degli Skiantos si intitolava Sono un ribelle mamma.

È come se Freak Antoni, davanti allo spettacolo ridicolo di quei quattro punkettini nostrani, avesse deciso di prenderli in giro e quella presa in giro divenne poi così potente da diventare espressione di quella ribellione che da noi il punk non ha mai saputo attuare. Freak Antoni in tutta la sua carriera ha tenuto in mano uno specchio che rifletteva e non deformava il mondo. Perché era il mondo a essere demenziale. Lui ne prendeva solo atto. Roberto però non è stato solo un musicista, bensì un vero filosofo.

I suoi aforismi, dopo la prima risata, rivelano una profondità che li rende attuali ancora oggi. Ha fatto molto più di quanto abbia fatto un'altra colonna del DAMS, Umberto Eco. Il semiologo ha solo teorizzato la commistione tra alto e basso, finendo col tempo per schierarsi con la più fastidiosa aulicità autoreferenziale. Antoni ha davvero abbattuto le pareti tra high e low brow, spianando la strada a chi è venuto dopo. Senza di lui, sarebbe stato tutto più difficile. Per questo oggi io piango un maestro.

 

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