1. ANCHE NELLA MODA, ARIA DI TEMPESTA! TUONI E FULMINI TRA STILISTI PER MANCANZE DI PROVE, EPIGONI E SPROVVEDUTI, CHE SI COMBATTONO SENZA PIÙ SENZA ALCUNA REGOLA 2. GLI EREDI DI VALENTINO E DI VERSACE, INTRUPPATI ORMAI DAI GRANDI GRUPPI FINANZIARI COME TANTE PEDINE INTERCAMBIABILI DA MUOVERE SU UNA SCACCHIERA DI FATTURATI IN REALTÀ MOLTO MISTERIOSI, PROBABILMENTE NON AVENDO ALTRO DA DIRE, HANNO INIZIATO A SPROLOQUIARE SU COLLEGHI ED EX SOSTITUTI AI QUALI ERANO SUBENTRATI 3. QUIRINO CONTI OSSERVA: “VISTO UN SIMILE INCANAGLIRSI DEI TONI, C’È CHI DICE SIA TUTTA COLPA DEI TEMPI. CHI, INVECE, DEL TONO GENERALE CON IL QUALE I GRANDI MARCHI SI COMBATTONO IN UN’ACCOZZAGLIA DI MARCHI E STILISTI MAI REGISTRATA PRIMA D’ORA“

Quirino Conti per Dagospia

A causa della protratta assiduità con una clientela particolarmente selezionata (quando non aristocratica per nascita o censo, se non addirittura regale), a lungo la Moda conservò un tono controllato e quasi austero. E l'atelier, con tutto ciò che lo caratterizzava (arredi, atteggiamenti, linguaggi), per assimilazione divenne presto lo specchio delle sue preziose clienti. La buona educazione, anzi, i modi impeccabili, vi regnavano sovrani: tra vendeuse e direttrici - almeno duchesse - severe e tranchant come nell'anticamera di un monarca.

Tutto questo, evolvendosi, durerà almeno fino all'arrivo dello stilista (primi anni settanta), divenendone il caratteristico fondale. Con meno ritualità, s'intende (anche se da Valentino resterà genialmente inalterata), e una maggiore disinvoltura dettata anche dalla dimestichezza, ora, con la fabbrica; ma sempre - quale regola ferrea - con un'assoluta continuità quanto a censura su ogni tentazione di critica nei confronti di colleghi o eventuali concorrenti.

Mai, pertanto, qualcuno che osasse una parola di troppo nei confronti di qualsiasi diretto rivale. Certo, lo si faceva (e pure aspramente) in privato, tra i pochi ammessi a simili confidenze. Ma decisamente mai in pubblico; tantomeno nel corso di una conversazione con la stampa, anzi!

Sempre Valentino, ad esempio, nel massimo fulgore di Armani non esitava a ricoprire di elogi quello stilista tanto differente da lui; come del resto faceva a proposito di Saint-Laurent, o di Lacroix, o di qualche nuovo arrivato di talento. Allo stesso modo Armani, nel riconoscere in Capucci una genialità così particolare e diversa.

Poi c'era magari chi, in uno scoppio d'ira (sempre però riservato all'esclusiva cerchia dei fedelissimi), minacciava di "prendere sotto" la sua nuova Bmw - "anche sulle strisce!" precisava - quello stilista che con la sua strombazzata laurea sembrava dover mettere in soggezione un po' tutti, nell'ambiente.

O ancora chi, eccitato dal cibo e dallo champagne, al termine di una cena, paonazzo, esplodeva imprecando contro quegli indossatori-cocotte (il termine usato però era molto differente, completato da nome e specialità di ciascuno) che volentieri "e... gratis" s'infilavano sotto le coltri di un diretto rivale glorificato in quel momento da un grande successo; mentre per lui... non c'erano che parcelle. Salatissime!

Insomma, come si può immaginare, nell'ambiente mai sono mancate - in privato - stoccate velenose e narrazioni salaci. Per perfido piacere del racconto, per gioco, ma soprattutto per un irrefrenabile gusto della malignità arguta. Eppure, mai di fronte a estranei; e per nessuna ragione come dichiarazioni alla stampa.

Tutto degenerò con l'arrivo di epigoni sprovveduti: di quegli ormai deflagrati neo-sostituti di già sostituti-stilisti. Questi, infatti, privi di quella preziosa e severa gavetta di cui Jean-Paul Gaultier narrava a Paola Pollo in una bella intervista, intruppati ormai dai grandi gruppi finanziari come tante pedine intercambiabili da muovere su una scacchiera di fatturati in realtà molto misteriosi (e forse ignari di come anche nel più recente passato giovani arrivati dalla provincia - Versace, Armani ecc. - erano riusciti a creare persino su loro stessi il miracolo dello Stile), probabilmente non avendo altro da dire, iniziarono a sproloquiare su colleghi ed ex sostituti ai quali, a loro volta, erano da poco subentrati.

Come fosse la cosa più naturale del mondo, e la più decisiva, si sentì allora l'attuale, ennesimo erede di Galliano da Dior assediare di allusioni chi lo aveva con talento e versatilità preceduto. Trascurando imperdonabilmente una buona regola: un papa, appena può, anche soltanto a parole santifica sempre il proprio predecessore (magari solo per mettere le mani avanti).

Si pensò allora (benevolmente) che quel fiammingo sempre così riservato (forse, chissà, per il clamoroso eccesso di sovraesposizione dopo il semi-occultamento minimale del suo periodo milanese) stesse patendo una incontrollabile crisi di sfinimento nervoso o di incontinenza caratteriale. Niente di tutto ciò. Quello sarebbe stato d'ora in poi il tono generale consentito alla Moda: l'allusione offensiva, la recriminazione astiosa, l'insulto; magari ai danni di chi purtroppo è ormai quasi sempre persino fuori gioco.

Dopo non molto, infatti, ancora in un'intervista, ecco che uno dei due nuovi stilisti appena chiamati in un ruolo creativo da Kenzo - loro, parrebbe, di formazione prettamente economica (altra bella novità: la Bocconi a questo punto potrebbe persino divenire una seria alternativa al prestigio delle scuole stilistiche londinesi!) -, orgogliosissimo di una felpa (sì, di una semplice felpa, con tigre e logo come se ne sono viste a centinaia ovunque per decenni, e ormai solo repertorio marginale), come fosse ancora la cosa più utile e appagante, prese anche lui a sputare sentenze su chi (Marras) aveva lasciato libero da qualche mese l'incarico di direttore creativo in quell'atelier.

La cortese giornalista riportava con fedeltà e non senza disagio quelle bordate, che evidentemente, nulla potendo contro il lavoro del geniale Marras, rendevano solo ancor più gracile l'investitura dei due nuovi arrivati.

A questo punto, visto l'andazzo, c'è chi dice sia tutta colpa dei tempi. Chi, invece, del tono generale con il quale i grandi marchi si combattono ormai senza più alcuna regola: e un po' come a Cuma in età imperiale, in quelle crudelissime scuole gladiatorie, a causa del clima selvaggio che si respira in questa nuova accozzaglia di marchi e stilisti mai prima d'ora registrata con un simile incanaglirsi dei toni.

Anche perché con figure assai modeste. A confronto dei grandi che le hanno precedute; e di quel che essi dicevano l'uno dell'altro. Balenciaga, ad esempio, di Charles James ("Il migliore, e il solo al mondo che abbia innalzato la Haute Couture dal suo rango di arte applicata a quello di una pura forma d'arte"); o Schiaparelli, divenendone persino cliente, di Balenciaga; o, ancora del grande spagnolo, con commozione, Hubert de Givenchy.

Loro sì, certi e sicuri del proprio genio, e dunque capaci di riconoscerlo anche in altri. (Ma forse il problema è proprio qui.)

 

 

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