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MIKA TORNA SULLA VICENDA DEL MANIFESTO CON LA SCRITTA “FROCIO” : “SONO DISCRETO E E GENTILE, MA SE MI CALPESTANO NON MI METTO A TAPPETINO” – “ALLE ELEMENTARI ERO DISLESSICO. PAPÀ MI DISSE: NON SAI SCRIVERE? NON RIESCI A LEGGERE? CANTA”

Giuseppe Videtti per “la Repubblica

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Roma e l'Italia l'hanno accolto a braccia aperte, dice, è tutto merito della sua « caldezza » mediterranea. «È stata una sorpresa, non mi aspettavo che questo paese diventasse parte della mia vita», dice Mika, che del suo personale esperanto - ma ormai parla italiano fluentemente - ha fatto un ulteriore elemento di simpatia.

 

«Sono nato in Inghilterra ma ho nelle vene sangue libanese e siriano - tutto questo ha condizionato in maniera determinante la mia musica e il mio universo visuale». Quando nel 2007 trionfò nelle classifiche di mezzo mondo con il singolo Grace Kelly e l' album Life in Cartoon Motion , l' Italia era l' ultima delle sue priorità. Ma poi è scattata un' attrazione reciproca, complice X-Factor , dove è garbato e irresistibile giurato anche in questa nona edizione.

 

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Ma c' è di più dopo dieci milioni di copie vendute: il successo dell' ultimo album No Place in Heaven , un libro per Rizzoli in lavorazione «che è un' estensione della rubrica che scrivevo su XL di Repubblica », un tour di grande impatto teatrale realizzato con un' équipe tutta italiana (il 27 settembre a Milano, il 29 a Roma, il 30 a Firenze), «una bomba di pop song» appena registrata con Fedez e un duetto «con un super super big della canzone italiana di cui non posso ancora rivelare il nome », tanto big che gli occhi quasi gli schizzano fuori dalle orbite per la gioia, e vien da pensare a Mina o Celentano.

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 Lunare, creativo, dinamico, esplosivo sul palco; affettuoso, familiare, tenero, ottimista in tivvù, Mika, trentadue anni, è una presenza che fa pensare all' indimenticato Don Lurio.

Poi il gelo di quest' estate. Su un manifesto del concerto fiorentino di Mika un cretino scrive con la vernice FROCIO a caratteri cubitali.

 

Un tempo sarebbe passato sotto silenzio, ne abbiamo visti a centinaia di quegli insulti, persino sui manifesti elettorali, e non solo in Italia. Oggi è un' altra storia, il villaggio globale fibrilla di conformismo, diverso da quando negli anni Settanta si rumoreggiava che Jagger e Bowie se la spassassero e nessuno tranne i tabloid si scaldava più di tanto. Oggi si è ufficialmente omosessuale solo dopo il coming out - e Mika l' ha fatto tagliando la testa ai si dice. Ad amplificare qualsiasi banalità ci pensa il web, i social sono una cassa di risonanza più minacciosa che utile.

L' insulto a Mika è diventato il caso dell' estate.

 

Si è sentito tradito dall' Italia quando la scritta omofoba è cominciata a circolare in rete?

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«No. Mi sono arrabbiato perché quando per tanto tempo hai subìto questo tipo di violenza risprofondi spietatamente nel passato. Uno spaventoso riflesso emozionale: mi sono sentito esattamente come quando da adolescente mi prendevano in giro. In un microsecondo sono tornato a scuola, quando deridevano la mia sessualità e io non avevo ancora scoperto di avere una sessualità. Da quel tipo di sentimento non ne esci, non cambia, suppongo sia lo stesso se avessi cinquant' anni o settantacinque».

 

Qual è stata la prima reazione?

«All' inizio ho cercato di ignorare la cosa, pensando che il silenzio sarebbe stata la risposta migliore. Come facevo da ragazzo: fingere di non vedere, guardare dall' altra parte. Poi ho cominciato a vedere l' indignazione del mio fan club che cresceva e cresceva, e dopo dieci ore ho capito che far finta di nulla era un privilegio che non potevo permettermi. Là fuori ci sono tanti quattordicenni o magari anche adulti che non hanno la libertà che mi sono conquistato attraverso l' arte, non hanno quella zona franca che è il palcoscenico dove tutto è permesso, anche essere se stessi senza pregiudizi, interferenze, bullismo.

 

A loro non è concesso di guardare dall' altra parte, di ignorare quegli insulti senza pagarne le conseguenze. Dovevo trovare un modo di gestire la situazione, ho cominciato a usare quell' immagine come una bandiera, l' ho sbattuta anche sul mio profilo twitter. Ho rotto il muro di pudore e di silenzio, quel sorvolare borghese che spesso fa seguito a episodi del genere».

 

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E la risposta del pubblico?

«Sorprendente, assolutamente sorprendente. Non me l' aspettavo. La solidarietà non è arrivata solo dagli amici o dai fan, ma incredibilmente anche dalla stampa. A quel punto la foto con la scritta non era più una cosa che parlava solo di me ma un manifesto, un J' accuse , una piccola onda che ne ha generato una più grande e infine una immensa».

 

Siamo abituati a credere che le pop star, che da sempre giocano con l' ambiguità, sono immuni da questo tipo di problemi. Evidentemente un conto sono le allusioni altro è un coming out forte e chiaro come quello che hanno fatto artisti come lei, Michael Stipe o Tiziano Ferro.

 

«Non ne farei un fatto politico. Un cantante è un cantante e basta. La mia dimensione pubblica è quella che mostro sul palco. Lo faccio con discrezione e gentilezza, non voglio entrare nella vita degli altri o mettere a soqquadro le famiglie, rispetto le scelte anche quando sono diametralmente opposte alle mie, anche quando propongono un modello sociale o religioso che non è il mio - una sorta di gentlemen agreement . Ma di fronte a comportamenti violenti, aggressivi o abusivi la mia reazione cambia. Mi rifiuto di farmi calpestare, non mi metto a tappetino, non lo facevo neanche alle medie quando non potevo seguire il resto della classe perché ero dislessico ».

 

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In che modo la musica le ha dato modo di reagire positivamente senza continuare ad accumulare traumi?

«L' arte - cinema, musica, letteratura - è sempre un invito alla tolleranza. Quando penso a David Bowie vedo un artista, un gigante, che è stato in grado di comunicare in maniera totale e prepotentemente creativa al di sopra della politica e della sessualità. Ambiguo nel vero senso della parola, un vessillo di libertà, indefinibile, non etichettabile».

 

Come riusciva da ragazzo a compensare la paura e il disagio del bullismo? Con i sogni?

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«Non erano sogni, erano film. Era la mia realtà, il mio universo, ci sprofondavo dentro quotidianamente. A nove anni mi hanno buttato fuori da scuola, ero diventato il bersaglio di un' insegnante isterica che aveva deciso di distruggermi. Come gli altri ragazzini che avevano subìto i suoi abusi mi ero chiuso in me stesso e mi rifiutavo di parlare. Un giorno me ne andai e lasciai la mia cartella in mezzo alla strada. Fu mia sorella Paloma a scoprire la verità e riferì a mio padre.

 

Lui venne a scuola e disse all' insegnante quel che tutti pensavamo di lei: "Professoressa, lei è una strega, abbiamo scoperto quel che sta facendo ai ragazzi". Dopo venti minuti eravamo nell' ufficio del preside: "Signor Penniman, lei e suo figlio non potete più metter piede in questa scuola", ci disse. Che sollievo. È stato il più bel giorno della mia vita, ce ne tornammo a casa ballando, cantando " Ding dong the witch is dead " ("La strega è morta", dal Mago di Oz ).

 

Papà mi disse: "Non sai scrivere? Non riesci a leggere? Canta!". A quel punto, spronato anche da mia madre, cominciai a studiare musica, canto e pianoforte, e in quel modo, libero, lavorai cento volte di più che a scuola. Dopo dieci mesi cantavo alla Royal Opera House di Londra».

 

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I good guys, quei bravi ragazzi della sua canzone - Rufus Wainwright, James Dean, Bowie, Ralph Waldo Emerson, Wilfred Owen, Walt Whitman, Rimbaud, Kinsey, Cole Porter, Cocteau - erano un piccolo, immaginario esercito che lavorava in sua difesa.

 

«Lo è ancora oggi, mi canta la ninnananna, con lui al fianco potrei affrontare la fine del mondo e anche il giorno del giudizio».

 

Ma lei canta anche: dove sono andati tutti quei bravi ragazzi gay?

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Vuol dire che per gli artisti gay oggi è più difficile dichiarare la propria sessualità?

«La realtà è che oggi non abbiamo più tante icone gay, personaggi scomodi anche senza essere politici, senza incontrare leader e presidenti, senza fare discorsi alle Nazioni Unite. La loro forza stava in quello che scrivevano e cantavano, agivano senza pensare alle conseguenze. Il fatto di esistere era già di per sé rivoluzionario. Sono loro che hanno acceso questi colori forti dentro di me, mi hanno dato l' ardire di provocare senza aver paura».

 

Cosa dirà al pubblico durante il concerto di Firenze?

«Nessun messaggio, nessuna polemica, parlerò attraverso la musica e l' energia dei miei fan. Faremo rumore insieme, per esprimere gioia e tolleranza. La risposta all' insulto è: siamo qui, siamo tanti, siamo forti».

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