BOMBA O NON BOMBA, A ROMA IL CASO MPS NON ARRIVA - OSCURATE LE INDAGINI SUI LEGAMI DS-SIENA

Gian Marco Chiocci per "il Giornale"

L'inchiesta esplosiva sulla«banca rossa » ha le polveri bagnate. A Siena tutti attendono da mesi il botto su Mps e anche nei palazzi della politica lo stress ha lasciato spazio a una serena indifferenza dopo che nessun onorevole è finito indagato o in manette. Da quanto si apprende in ambienti investigativi ci si è preoccupati poco di approfondire il ruolo del Pd. Non un'intercettazione è trapelata (record italiano), nessun politico di livello è stato ascoltato, nessun decreto di sequestro da centinaia di pagine è stato notificato ( come avviene per altre inchieste).

L'inchiesta esplosiva sulla «banca rossa» ha una miccia a lenta, lentissima, combustione. Mai una procura aveva sparato tante miccette prima di sganciare la bomba. In quel di Siena i concittadini correntisti attendono da mesi il botto sul Monte dei Paschi accontentandosi, per il momento, del mortaretto all'ultimo Palio che ha premiato la contrada dell'Oca.

E pure nei palazzi della politica che conta, lo stress di dover contare a breve morti e feriti eccellenti, coi mesi ha lasciato spazio a una serena indifferenza dopo la presa d'atto che nessun onorevole è finito indagato, men che meno in manette,strette unicamente all'amico di tanti papaveri del Pd, il presidente Giuseppe Mussari.

Arrestato solo per questioni collaterali ( il miliardo e otto dei derivati Nomura) rispetto al Grande Imbroglio di Antonveneta (valutata addirittura 2,3 miliardi, pagata 9 miliardi a Santander che l'aveva comprata pochi mesi prima per 6, con un ulteriore aggravio di 8 miliardi per ripianare i debiti).

L'atomica doveva detonare più di un anno fa, era lì lì per deflagrare a gennaio scorso, poi prima delle elezioni, quindi subito dopo ( per non turbare il voto), allora meglio fra giugno e i primi di luglio, ma siccome i pm son volati in Spagna a interrogare Emilio Botin del Banco Santander, s'è capito che stiamo ancora ai fuochi d'artificio nonostante i toni tuonanti delle dichiarazioni del procuratore Salerno che, il 29 gennaio 2013, annunciava preoccupato: «La situazione è esplosiva ».Alla fine,nemmeno s'è dovuto affannare a «sbranare» chi chiedeva chiarezza sugli intrecci Pd-Mps, Pier Luigi Bersani.

Da quanto si apprende in ambienti investigativi ci si è preoccupati poco di approfondire ruolo e influenza del Pd sulla banca malgrado tanti di quegli indizi che ne basterebbe la metà. A un certo punto hanno provato pure a mettere di mezzo Verdini e la sua banca, per dire che sono tutti uguali, ma gli effetto si sono rivelati tragicomici. Non un'intercettazione, una sola, è trapelata (record italiano di sempre). Nessun politico di livello è stato ascoltato. Nessun decreto di sequestro da centinaia di pagine (come avviene in ben altre inchieste politiche, con grande gioia dei giornalisti) è stato notificato.

E se non fosse stato per il Giornale che per primo ha scritto dell'inchiesta nell'ottobre 2012, su Siena nessuno avrebbe prestato attenzione fino al successivo scoop del Fatto Quotidiano relativo ai «derivati».

Non occorre scomodare il gip Clementina Forleo per intuire i pericoli mediatico-giudiziari che s'incontrano andando a sfiorare i fili dell'alta tensione della finanza rossa. In particolare quella senese, da cui oggi la sinistra si sfila prendendone le distanze dopo averla direttamente o indirettamente «governata»,soprattutto dopo aver plaudito all'operazione-monstre di Antonveneta. A sinistra, quando s'è temuto il peggio, son volati gli stracci.

Tutti contro tutti, con accuse incrociate e messaggi da brivido tra ex Ds e Margherita. Franco Bassanini, presidente della Cassa depositi, che all'epoca disse trattarsi di un'operazione eccezionale, è arrivato a dichiarare, apertis verbis , che la banca era sotto il controllo dei Ds, tanto che D'Alema aveva fatto « pressing su Siena perché si alleasse con Unipol» nella prima scalata di Consorte (poi fallita) ad Antonveneta. Aggiungendo che «chi difese l'autonomia di Mps, come me e Amato, venne emarginato».

Amato è l'ex presidente del Consiglio, si è detto grande sponsor di Mussari nonché ideatore della legge sulle fondazioni bancarie. Di Mussari era uomo di fiducia Gianluca Baldassarri, il capo della banda del 5 per cento, ritrovatosi a scalare il management di Mps dai ranghi meno nobili della Bna dopo l'acquisizione per 2500 miliardi di lire nel 1999 della Banca del Salento (poi 121), situata nel cuore del feudo elettorale di Massimo D'Alema.Operazione quest'ultima voluta da Vincenzo de Bustis, non a caso soprannominato «banchiere Maximo».

A Bassanini ha risposto il tesoriere Sposetti, evocando compassi e grembiulini, scatenano reazioni sdegnate, a catena. Se l'è presa Bersani, la Bindi, l'ex rettore-senatore Luigi Berlinguer per accostamenti inopportuni finanche al suo periodo all'Università che ha una poltrona nella «deputazione generale» della Fondazione del Monte che controlla politicamente l'istituto di credito, e dove il Comune, la Provincia e la Regione, tutti a guida Pd, esprimono propri membri. C'è Pd ovunque, dappertutto, tranne che nelle carte dell'inchiesta.

Le polveri bagnate del procedimento esplosivo hanno di fatto «salvato»il partito in caduta libera, che pur perdendo voti è riuscito a conservare il sindaco (con uno scarto di appena 930 voti, col 30% in meno dei votanti) mettendoci Bruno Venturini, ex Pci, Pds, Ds, Cgil bancari, pd ed ex dirigente Montepaschi, succeduto al dalemiano Franco Ceccuzzi, caduto sul voto di bilancio e indagato a Salerno per il crac del pastificio Amato insieme all'onnipresente Mussari.

«Sa chi, 13 anni fa, mi disse che Mussari era perfetto per la Fondazione Mps? Proprio quel Ceccuzzi lì» ha ricordato con perfidia Bassanini. C'è talmente tanta sinistra nell'inchiesta più abbottonata d'Italia che nelle carte non emerge.

Non si troverebbero più alcune devastanti intercettazioni contenute in un'indagine parallela, quella in cui Mussari e il referente del Pd a Siena, l'ex deputato Pd Ceccuzzi,si parlano in continuazione facendo scrivere agli investigatori come «Giuseppe Mussari, espressione dell'anima diessina del Pd, si confrontasse pressoché quotidianamente su temi politici nazionali e locali, e in particolare quindi sulle decisioni da assumere in seno alla banca da egli presieduta (...) con l'onorevole Ceccuzzi».

L'ex avvocato calabrese (iscritto prima ai Ds e poi al Pd) non ha aperto bocca sui suoi sponsor politici, anche perché nessuno gliene ha chiesto conto. È caduto in disgrazia, s'è fatto il carcere,ma chi s'aspettava rivelazioni bomba è rimasto deluso. Ufficialmente il partito l'ha scaricato,gli ha tolto la tessera dopo aver intascato per anni robuste donazioni (ha firmato assegni per 600mila euro) e dal top manager del Monte. Non se lo fila più nessuno, nemmeno Veltroni, col quale, confessò Mussari, «stiamo al telefono ore a parlare di basket».

Persino il presidente Napolitano, a un certo punto, ha sentito il bisogno di mettere il bavaglio alla stampa che provava a raccontare quel che la procura -che lamenta ora una carenza d'organico-non faceva trapelare. Adesso, visti i precedenti e le 34 inchieste su Berlusconi, provate a immaginare cosa sarebbe accaduto se Mps fosse stata una «banca azzurra». Persino il misterioso suicidio del povero ufficio stampa David Rossi lo avrebbero accollato a Silvio.

 

PIERLUIGI BERSANI E MUSSARIPIERLUIGI BERSANI GIUSEPPE MUSSARI Massimo Dalema bassanini - amato CECCUZZI MUSSARI AMATO Valter Veltroni FRANCO CECCUZZI

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