SIAMO ALLA FRUTTA - IL PROPRIETARIO DI UN CINEMA DI MILANO RINVIA LA PROIEZIONE DI “THE SUMMIT”, UN DOCUMENTARIO SUL G8, A DOPO LE ELEZIONI PER PAURA DI RITORSIONI DEI FASCISTI - “THE SUMMIT” ATTINGE DA UN VASTO MATERIALE SUI GIORNI BUI DI GENOVA, E RACCOGLIE INTERESSANTI TESTIMONIANZE DI UN GIORNALISTA INGLESE FINITO IN COMA PER LE BOTTE ALLA DIAZ E LE INCONGRUENZE SULLA MORTE DI GIULIANI…

Michele Anselmi per "il Secolo XIX"

Sembra impossibile, ma è così. Sabato prossimo, 23 febbraio, il cinema meneghino "Milano a Memoria" avrebbe dovuto ospitare due proiezioni del documentario "The Summit - Genova: i 3 giorni della vergogna", alla presenza dei registi Franco Fracassi e Massimo Lauria, dell'ex deputato Luigi Malabarba, del giornalista Antonio Cipriani e dell'esponente no-global Vittorio Agnoletto. Tutto rinviato alla settimana prossima. E sapete perché? Causa elezioni.

Lo confessa al "Secolo XIX" il gestore del prezioso complesso nel cuore di Milano, in piazza Diaz numero 7 (quando si dice il destino), l'ingegnere in pensione Pietro Pedone. «Se avessi voluto censurare, non l'avrei messo in programmazione, né prima né dopo. Ma ho ritenuto prudente non farlo il giorno prima delle votazioni. La prudenza non è mai troppa, mi capisce». Francamente non capiamo. «Allora mi stia a sentire. Siamo a due passi da piazza San Babila: basta che una testa calda veda la locandina di "The Summit" e... Che cosa cambia se rinviamo tutto alla settimana dopo? Nulla. È solo prudenza, legata al posto e al momento. L'appuntamento di sabato rischiava di diventare un piccolo evento politico».

Il signor Pedone è gentile, il suo cine-gioiellino, da lui definito «un contenitore di tradizioni», mette a disposizione una sala con proiezioni in 3D, nuove tecnologie multimediali, un archivio di film e documentari, una libreria di testi riguardanti la città, spazi per feste, mostre, conferenze e degustazioni gastronomiche. Si può capirlo, quindi, se non vuole rogne, cioè vandalismi da parte, pare di capire, dei fascisti.

Tuttavia la sua decisione fa riflettere amaramente sull'Italia di oggi. "The Summit", presentato al festival di Berlino 2012 e in questi giorni in alcune sale italiane dopo l'anteprima romana di giovedì scorso, non è un film di propaganda, non incita all'odio contro le forze dell'ordine: semplicemente mostra, in forma di video-inchiesta, materiali sullo sciagurato G8 genovese del luglio 2001, resoconta le accuse dettagliate del giornalista londinese Mark Covell, rimasto in coma 14 ore a causa del sistematico pestaggio subito fuori del complesso Diaz, offre all'attenzione dello spettatore possibili incongruenze, suffragate secondo gli autori da fotografie, in merito alla morte di Carlo Giuliani per mano di un carabiniere (forse non Mario Placanica).

Per questo uno dei due registi, Massimo Lauria, si dice «sorpreso». Non tanto per le sorti del film, che sarà comunque vedibile in quella sala dal 27 febbraio, con tanto di dibattito pubblico il 1° marzo. «Casomai mi preoccupa il clima politico che si respira a Milano se il dottor Pedone, spaventato immagino per ragioni reali, ha ritenuto opportuno stoppare le proiezioni di sabato» scandisce Lauria. E aggiunge: «Nessuno di noi avrebbe mai legato "The Summit" a un discorso elettorale. Ci mancherebbe. Il tema che agita il film è più alto: riguarda un episodio infamante della nostra storia recente, una grave sospensione dei diritti civili, la copertura della verità e l'assenza di giustizia riguardo a quei fatti».

È così. Confermate, per ora, le proiezioni a Firenze del 25 febbraio e l'anteprima genovese del 28 al cinema America, presenti, insieme ai due registi, Giuliano Giuliani, il giornalista Giovanni Mari del "Secolo XIX", il consigliere comunale Antonio Bruno e forse Don Andrea Gallo.

Nei suoi 97 minuti, "The Summit" riordina un materiale immenso, tra documenti, immagini video, fotografie, interviste, registrazioni audio; facendo nomi e cognomi, senza negare il punto di vista degli autori: non fu solo una concatenazione di eventi ed errori legati alla gestione dell'ordine pubblico, ma una sorta di prova generale, un avviso politico mandato dal governo Berlusconi alla vigilia di un possibile nuovo "autunno caldo". Concorda Giuliani: «Esistono pezzi di apparati dello Stato che sono ancora oggi un pericolo per la democrazia. A Genova, nel 2001, fu sperimentata un'infame operazione di repressione, con il consenso della gente e l'aiuto dei black bloc».

Si può concordare o meno sulla tesi. Ma di sicuro fa orrore l'autentico dialogo telefonico tra due poliziotti, un uomo e una donna, che echeggia sui titoli di coda. «Queste "zecche"... speriamo che muoiano tutte». «Già. Intanto uno a zero per noi». Uno a zero?

 

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