ONU, UN CONSIGLIO DI INSICUREZZA CHE NON RIESCE A EVITARE LE STRAGI – MA SENZA L’OK DELL’ONU OGNI GUERRA E’ ILLEGALE

Edoardo Greppi per "La Stampa"

L'uso della forza da parte degli Stati è, dall'entrata in vigore della Carta dell'Onu nel 1945, vietato da una norma imperativa del diritto internazionale, con due sole eccezioni.
La legittima difesa di uno Stato che abbia subito un attacco armato, oppure un'azione coercitiva in seguito a decisione o almeno autorizzazione del Consiglio di sicurezza.

La comunità internazionale è talora sollecitata a intraprendere azioni che costringano un regime autoritario che viola sistematicamente i diritti umani a cessare gli attacchi criminali. Il problema, tuttavia, risiede nella non agevole compatibilità fra tre principi fondamentali: il rispetto della sovranità degli stati (con il correlativo divieto di ingerenza), l'uso della forza (nei limiti delle due eccezioni citate) e la protezione dei diritti umani.

La dottrina dell'intervento umanitario, delineata negli Anni 90 e dotata di scarso seguito, si presenta oggi con una nuova declinazione in termini di «responsabilità di proteggere», fatta propria dal Consiglio di sicurezza e dotata ormai di una prassi significativa (si pensi al caso della Libia).

Lo Stato ha il dovere di proteggere i suoi cittadini e, qualora «non possa» o «non voglia» ottemperare a questo obbligo, la responsabilità passerebbe alla comunità internazionale, che dovrebbe farsene direttamente carico. L'unico organo in grado di autorizzare l'uso della forza rimane comunque il Consiglio di sicurezza. Nel caso, quindi, in cui questo organo fosse bloccato dalla minaccia di un veto (quello della Russia, e eventualmente della Cina, nella vicenda siriana), il riferimento alla dottrina della responsabilità di proteggere non giustificherebbe un ricorso unilaterale alla forza.

Sebbene queste norme siano chiare, possiamo accettare che milioni di persone vengano massacrate o costrette a fuggire perché un membro permanente del Consiglio di sicurezza protegge un satrapo criminale (perché - occorre ricordarlo - in casi come questo si tratta di commissione di crimini contro l'umanità e/o crimini di guerra, che comportano anche la responsabilità personale di chi li compie)? La comunità internazionale ha già avuto occasione di pentirsi di avere lasciato che si perpetrassero gravi crimini internazionali nell'ex Jugoslavia e in Ruanda.

Occorre, ora più che mai, una riforma dell'ONU, proprio per evitare che alcuni Stati e organizzazioni regionali siano tentati di fare da sé. Un conto è cercare un punto di equilibrio tra sovranità dello Stato e i suoi obblighi di rispetto dei diritti umani. Ben altro è accettare che, in via di fatto, il principio di sovranità prevalga su qualunque diverso principio o valore.

Ma con questi interrogativi si esce dalla dimensione giuridica per entrare in quella politica e soprattutto morale. All'epoca dell'attacco NATO per il Kosovo vi era chi operava una distinzione tra legittimità e legalità dell'intervento umanitario, sostenendo che la prima potesse essere invocata per giustificare un'azione militare senza autorizzazione dell'ONU.

Su un piano strettamente giuridico, l'accettazione dell'uso della forza da parte di un ristretto numero di Stati, superando le prescrizioni della Carta delle Nazioni Unite, anche se fondato su evidenti e solide considerazioni di carattere morale, potrebbe avere conseguenze gravi per l'ordine internazionale. Azioni unilaterali (come dimostra l'attacco illegale all'Iraq nel 2003) costituiscono sempre un rischio per una società che sia davvero fondata su regole giuridiche condivise, perché lasciano troppo spazio ad una valutazione discrezionale e potenzialmente arbitraria.

L'unica alternativa possibile rimane quella di cercare, pazientemente ma urgentemente, una soluzione diplomatica, anche se questa strada appare di difficile attuazione. I rapporti degli ispettori dell'ONU sull'uso di armi chimiche da parte del regime siriano devono essere rapidamente portati al Consiglio di sicurezza, e devono essere avviati negoziati per ottenere anzitutto un cessate il fuoco e, eventualmente, almeno l'astensione dei Paesi contrari ad una risoluzione efficace.

Inoltre, il Consiglio di sicurezza dovrebbe portare la crisi siriana alla Corte penale internazionale, perché valuti se incriminare coloro i quali (esponenti del regime o insorti e oppositori, parti nel conflitto) abbiano commesso crimini contro l'umanità e/o crimini di guerra.

Qualunque tipo di intervento armato senza una decisione dell'ONU, anche se sostenuto da una forte legittimazione morale e da convincenti ragioni politiche, si svilupperebbe altrimenti senza adeguata copertura giuridica.

 

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