URNE PRESE A MORSI - I SOSTENITORI DELL’EX PRESIDENTE ASSALTANO I SEGGI E BLOCCANO LA METROPOLITANA AL CAIRO - IL VOTO SULLA NUOVA COSTITUZIONE HA RIACCESO LE TENSIONI

1 - EGITTO: ATTACCATI SEGGI A GIZA. SPARATORIA A OSSIM, NO VITTIME
(ANSA) - Elementi armati hanno attaccato a colpi di arma da fuoco alcuni seggi elettorali a Giza (Il Cairo) nel distretto di Ossim. Lo riferisce l'unita' di crisi che monitora l'andamento del voto. La polizia ha risposto al fuoco, mettendo in fuga gli assalitori. Non ci sarebbero vittime.

2 - EGITTO: MANIFESTAZIONE PRO-MORSI AL CAIRO,POLIZIA INTERVIENE
(ANSA) - I dimostranti pro-Morsi hanno dato vita a una manifestazione a Helwan, al Cairo, causando l'interruzione della linea metropolitana del Cairo. La polizia e' intervenuta per disperdere la folla. Il servizio metro e' stato ripristinato, riferiscono fonti della sicurezza.

3 - EGITTO: PRO-MORSI, AFFLUENZA AL VOTO INFERIORE 10%
(ANSA) - L'affluenza al voto per il referendum costituzionale in Egitto è "inferiore al 10%": lo afferma un comunicato della Coalizione nazionale dei sostenitori del deposto presidente Mohamed Morsi. La commissione elettorale centrale, che ieri ha annullato una conferenza stampa alla chiusura dei seggi, non ha sino ad ora fornito alcun dato ufficiale.

4 - "NOI ISLAMICI BUTTATI IN UN GHETTO. AL SISI HA FATTO UN ALTRO GOLPE"
Francesca Paci per "La Stampa"

L e persiane sbarrate della palazzina liberty a pochi isolati da piazza Tahrir, dove fino a giugno i giornalisti tampinavano i portavoce di «Libertà e Giustizia», il partito dei Fratelli Musulmani, fotografano l'ascesa e il rapido declino dei potenti di ieri.

Mentre 53 milioni di egiziani blindati dall'esercito votano la nuova Costituzione che dovrebbe chiudere l'era del deposto nonché legittimamente eletto presidente Morsi, uno spettro si aggira per il paese fieramente conservatore almeno quanto focosamente anti-islamista. Dove sono i vincitori della prima rivoluzione anti Mubarak, quei burrattinai occulti delle moschee caduti alla prova della democrazia e puniti con la messa al bando, la più despotica delle sanzioni?

«I miei colleghi sono in prigione e quelli che ormai vivono all'estero mi consigliano di uscire il meno possibile, passo la giornata in casa con i miei figli di 8 e 9 anni anche perchè la mia tv è stata chiusa e nessuno oggi mi darebbe più lavoro» spiega nel suo salotto a Dokki una ex dirigente dei Fratelli Musulmani. I tg stranieri registrano gli scontri tra governativi e pro Morsi, i fermi di polizia, i giornalisti ammanettati, 11 morti e 28 feriti.

Lei declina chiede l'anonimato: «Almeno 15 mila membri del partito sono stati arrestati. Accusavano di essere dittatori noi che abbiamo aperto le liste a cristiani e liberal, ma dov'è il liberalismo di chi punisce con 5 anni di carcere i suoi critici? Ero e resto contro la violenza, ma il regime che ha architettato il fallimento del dottor Morsi si rassegni: non molleremo mai».

Tempi duri per l'Egitto che divora rivoluzioni come un affamato. Il trentennale regime di Mubarak è dietro le sbarre insieme a quelli che l'hanno brevemente e male sostituito: chi colmerà il vuoto che separa il paese reale dal futuro, un cumulo di cenere come la sede dei Fratelli Musulmani al Moqattam o quella dell'un tempo modernissimo giornale di partito a Manial?

«Stiamo tornando indietro, i media pompano l'odio antislamico, i Fratelli Musulmani hanno commesso errori ma quanto accaduto dopo è peggio del golpe del 1952» osserva Tarek el Malt, uno dei pochi dirigenti a piede libero di quel partito Wasat fino alla fine alleato dei Fratelli Musulmani. In piazza Rabaa al-Adawiya, dove l'estate scorsa erano asserragliati i sostenitori di Morsi, la moschea è chiusa e un monumento sovietico sostituisce le tende degli irriducibili. Si procede per rimozione come a Tahrir, dove tutti i graffiti della rivoluzione del 2011 sono stati cancellati.

«Urge una riconciliazione nazionale, spero che la seconda generazione di Fratelli Musulmani sia più pragmatica della vecchia guardia» suggerisce un diplomatico europeo. Ma in un caffè di New Cairo, vicino al seggio con gli elettori in coda, l'analista Ahmed Neguib smorza gli entusiasmi: «I giovani sono meno ideologici dei leader in prigione ma più idealisti, il golpe li ha radicalizzati, gente come Ali Elkhafagy invita ormai i compagni su Facebook a incendiare le stazioni di polizia».

A pochi isolati da qui il fato ha voluto che l'ex presidente Morsi e il suo probabile successore generale el Sisi vivessero spalla a spalla, due palazzine borghesi nel distretto di el Tagamma el Khmis, 200 metri e mille anni di distanza tra il primo leader islamista democraticamente eletto dagli arabi e il rivale tanto pio quanto determinato che nel ‘79 fu incaricato da Mubarak di ripulire l'esercito dalla Fratellanza.

«I Fratelli invitano a boicottare il referendum perché l'alta affluenza non legittimi il golpe, ma non hanno alternative alla lotta armata» ragiona il liberal Mansour Abdelkarim. C'è l'Algeria del 1992 all'orizzonte? Il pro Morsi Mohammad lo esclude: «In Egitto tutti i democratici sono con noi contro il fascismo». I suoi nemici sostengono il contrario. Sembra passato un secolo dalla copertina di «Time» 2012 con Morsi uomo dell'anno. La continuità sta nella minaccia della bancarotta scongiurata oggi dal supporto finanziario del Golfo. Fin quando?

 

 

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