EMMA NON STA SERENA: “HO SAPUTO DELLA SOSTITUZIONE DALLA TV” - TUTTI I ROTTAMATI DEL GOVERNO LETTA, DALL’IGNOTO TRIGILIA ALL’INCAZZATO MARIO MAURO

1. LA SORPRESA E L'IRA DI EMMA BONINO - «HA SAPUTO DELLA SOSTITUZIONE DALLA TV»
Monica Guerzoni per il "Corriere della Sera"

«Perché mi hanno fatta fuori? Io davvero non lo so». Quando Emma Bonino risponde al cellulare, alle 19.35, Matteo Renzi ha da poco lasciato il salone della Vetrata e Giorgio Napolitano ha appena preso la parola. La voce della titolare della Farnesina è squillante, ma tradisce sgomento e uno stato d'animo che, eufemisticamente, si potrebbe definire di forte arrabbiatura.

«Nessuno mi ha avvertita». Matteo Renzi non le ha telefonato per dirle che non sarebbe stata riconfermata? «No, non mi ha chiamata nessuno». L'ha appreso adesso, dalla tv? «Io non sapevo assolutamente nulla». Posso chiederle cosa pensa del fatto che a prendere il suo posto sia Federica Mogherini, giovane parlamentare del Pd? «Lei può chiedermelo, certo. Ma io risponderò solo domani pomeriggio (oggi per chi legge, ndr ) in Largo Argentina. L'appuntamento per ringraziare tutti quelli che mi hanno sostenuto e aiutato è alle 17.30. Per adesso, non ho altro da dire».

(...)


2. EMMA E GLI ALTRI, I ROTTAMATI
Filippo Ceccarelli per "la Repubblica"

Alzi la mano chi ricorda che faccia abbia il ministro, fino a ieri, Trigilia. Di nome fa Carlo. È un signore non brutto. Dallo sguardo intenso dietro gli occhialetti tondi e la barba corta e ben curata. L'avevano piazzato in un dicastero dal nome misterioso: «Coesione territoriale».

Non si è assolutamente in grado di stabilire se abbia lavorato bene o meno, Trigilia. Secondo alcuni era tanto più bravo quanto più amante del lavoro compiuto in silenzio, lontano da ogni pubblicità. Nel tempo della proclamazione auto-telegenica - «ci metto la faccia» - magari lui sarà anche contento, ma da domani non lo si vedrà proprio più sui giornali o in tv.

Né più mai si vedrà Zanonato, che stava allo Sviluppo economico, e invece twittava a tutto spiano, come un forsennato, con tanto di foto di vita quotidiana e pure in ambito famigliare. Per stare più vicino alla gente, magari. In ogni caso tutt'altro che antipatico. Tra i migliori ricordi che lascia c'è senz'altro quello che lo vide accogliere con allegra sollecitudine la compagna di partito e attuale ministra, Marianna Madia, convinta che lui fosse alla guida del ministero del Lavoro.

Zanonato la fece parlare e quando capì l'equivoco - lo scambio di persona configurandosi come il classico dispositivo della commedia - si avvicinò alla finestra indicandole, al di là della strada il palazzo dell'amministrazione allora guidata dal professor Enrico Giovannini.

Pure lui persona squisita e anche competente. Uno dei tanti tecnici. Comunque l'hanno fatto fuori. Non si dirà qui trombato, né rottamato, per non mancargli di rispetto, ma sacrificato sull'altare del ringiovanimento sessuato del governo Renzi. Un bel repulisti, non c'è che dire, ben 13 ministri non confermati.

Almeno in tv Giovannini non aveva poi l'aria di divertirsi troppo, a via Veneto. Veniva dall'Istat, che è un ottimo posto, poche settimane orsono affidato all'odierno titolare dell'Economia Padoan. Così Giovannini potrebbe tornare da dove veniva, forse pure con gioia, o sollievo, o rassegnazione o chissà.

La sorte degli ex ministri è segnata, ma poi varia da caso a caso, come il modo in cui ciascuno vorrà accogliere la fine di quell'esperienza. All'estremo del fairplay si colloca la reazione dell'udc D'Alia che del collega di partito che in qualche modo gli ha soffiato il posto, Gian Luca Galletti, ha detto: «Sono entusiasta della sua nomina, è un amico vero, sarà un grande ministro».

All'opposto già ribolle l'ira dei radicali per la caduta di Emma Bonino, la vera grande e forse anche nobile sconfitta di questa partita di potere. Lei in pratica ha detto solo: «Non ho nulla da dire». Ma oggi prima conferenza stampa e poi comizio, all'aperto, come nella tradizione di quel piccolo partito. Ma intanto è già partito il tuono di Pannellone, che ha 83
anni, ma anche per questo Renzi farebbe malissimo a sottovalutare.

Ciò che è successo gli ha ricordato la fuga dei Savoia a Pescara, nella notte dell'8 settembre: «La grande vittoria c'è - esplode il suo sarcasmo - la Bonino fatta fuori, i radicali fatti fuori, fatta fuori la storia radicale, socialista, azionista, liberale. Renzi ha ottenuto l'ideale per i partitocrati». E' solo l'inizio.

La fine, per altri, era nella forza delle cose. Dopo l'affare Ligresti, ad esempio, la Cancellieri era quasi un miracolo che fosse ancora al suo posto; e lo stesso Quagliariello, con i suoi saggi portati in gita a Francavilla, in tutta franchezza non si capiva cosa fosse rimasto a fare su quella poltrona dopo che Renzi e Berlusconi, in mezzo pomeriggio, gli avevano tolto il fastidio delle Riforme.

E anche Saccomanni, il tecnico dei tecnici, come tale era ormai compromesso. Appassionato del Belli, il più cupo e desolato poeta del potere, avrà di che riflettere sulla vanità dello stesso e dei suoi vistosi orpelli: «Preti, ladri, uffizziali, cammerieri,/ tutti co le crocette a li pastrani./ E oramai si le chiedeno li cani, dico che je le danno volentieri»...

Difficile anche valutare il lascito, in quel ginepraio incandescente che è l'Istruzione, della professoressa Maria Chiara Carrozza, anche lei così tecnica, così discreta, così poco «visibile». Ha augurato «in bocca al lupo» a chi le succede in viale Trastevere, troppo spesso bloccato da manifestazioni di protesta.

Un impeccabile tweet anche da Massimo Bray costretto che dice addio ai Beni Culturali: «Questa storia come tutte le storie ha una fine. Grazie al personale del ministero e ai cittadini che, come me, ci hanno messo cuore e passione». A curioso complemento dei social si segnala tuttavia un singolare bombardamento, fino a 4 mila messaggi fuori tempo massimo diretti al premier e preceduti da quella che suonava come icastica affermazione di principio: #iostoconbray.

Meno chiaro è che cosa abbia contribuito a stroncare non solo la personale esperienza di governo di Enzo Moavero, di cui si diceva che avesse gran credito a Bruxelles, ma addirittura l'esistenza stessa degli Affari Europei. Sparisce anche l'Integrazione e con questo finisce a casa, col giubilo dei leghisti, anche Cecile Kyenge. Che pure per il suo impegno stava quasi per rinunciare al matrimonio (poi tutto si è aggiustato).

Infine Mario Mauro che tra squilli di tromba, astuti generali, costosi F35 e indecifrabili scissioni post-montiane, ci aveva preso gusto. Pure troppo. A tempo debito la storia ricostruirà come è stato possibile che un ministro di peso e con entrature nell'associazionismo cattolico, Cl e dintorni, alla fine della giostra sia rimasto senza poltrona.

C'è già chi punta il dito su Pierfurby Casini, che è nello stesso giro e starebbe tornando da quest'altra parte. Comunque faccende abbastanza loro, e tutto sommato non del tutto rilevanti per la collettività.

 

 

 

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