GLI INQUIETANTI SVILUPPI DEL CASO DEL DISSIDENTE CINESE - IERI IL CIECO CHEN È USCITO FELICE DALL’AMBASCIATA USA DOVE ERA RIFUGIATO: GLI USA HANNO DETTO DI AVER RAGGIUNTO L’ACCORDO - E INVECE PARE CHE LA MOGLIE DEL DISSIDENTE SIA STATA MINACCIATA - È IN OSPEDALE E SI TEME PER LA SUA SORTE - OBAMA RISCHIA UN GROSSO DANNO D’IMMAGINE, PROPRIO NELL’ANNO DELLE PRESIDENZIALI…

Marco Del Corona per il "Corriere della Sera"

Chen Guangcheng era davvero dentro l'ambasciata degli Stati Uniti. E ieri il dissidente cieco ne è uscito, in quella che per alcune ore era parsa una svolta in grado di regalare un po' di distensione al vertice denominato «Dialogo strategico sino-americano» in programma oggi e domani a Pechino. Invece, in serata, si sono addensati dubbi e paure.

La sorte dell'avvocato autodidatta, fuggito avventurosamente dal suo domicilio coatto, è tutto tranne che chiara. Incerti risultano gli accordi tra americani (sospettati di colpevole ingenuità) e cinesi (sospettati di aver ordito una trappola), le garanzie sulla sicurezza sua e della sua famiglia, le prospettive per il futuro. Per Stati Uniti e Cina un duro corpo a corpo che minaccia di complicare le già non serene relazioni. D'altro canto lo stesso Chen si dice «deluso dagli Stati Uniti».

Il dissidente cinese, parlando al telefono con la Cnn, ieri ha detto anche di «temere per la mia vita se resterò qui». Per questo Chen «vuole lasciare la Cina, al più presto possibile». Il dissidente ha poi fatto «appello direttamente al presidente degli Stati Uniti Barack Obama».

Il finale sospeso arriva in coda a una giornata intensa. Chen, 40 anni, è stato portato all'ospedale di Chaoyang, con lui l'ambasciatore Gary Locke, dopo aver accettato «liberamente» di uscire. Chen ha avvertito un suo avvocato, spiegando di avere avuto assicurazioni da parte cinese. Ha ricevuto una telefonata del segretario di Stato, Hillary Clinton: una conversazione emozionata, chiusa con un «vorrei vederla ora», all'inizio riferito come un «vorrei baciarla». Il ministero degli Esteri cinese aveva annunciato che Chen aveva accettato «di sua volontà» di lasciare l'ambasciata e che gli Stati Uniti avevano «interferito negli affari interni della Cina», pretendendo perciò «le scuse».

La Clinton, invece, si era dichiarata «compiaciuta» che la vicenda si fosse sviluppata «in un modo che riflette le scelte di Chen e i nostri valori». Il segretario di Stato, già ieri a Pechino, ha poi accennato ai patti: dall'«opportunità di ottenere un'educazione superiore in un ambiente sicuro» alla promessa di «mantenere gli impegni con il signor Chen e la sua famiglia».

Chen, infatti, sembrava poter essere riunito alla famiglia lontano dallo Shandong, dove era costretto a una detenzione domiciliare benché non avesse pendenze giudiziarie. Nel pomeriggio, al nono piano dell'ospedale, tra il reparto vip e la stanza A0916, Chen era in camicia bianca, spinto su una carrozzella, seguito da uomini in camice, uno dei quali lo filmava con una telecamera, e - come il Corriere ha verificato - da funzionari del ministero degli Esteri. C'erano la moglie Yuan Weijing, il figlio di dieci anni e la figlia di sei. Yuan, che all'Ansa ha detto di aver trovato il marito in buone condizioni, è poi sparita alla vista, mentre gli agenti messi a piantonare il reparto crescevano in numero e in nervosismo.

In serata i dettagli più allarmanti. Zeng Jinyan - moglie di un altro dissidente, Hu Jia - ha riferito che Chen non avrebbe voluto lasciare l'ambasciata ma è stato ricattato con la prospettiva che moglie e figli sarebbero stati rispediti nello Shandong. All'Associated Press, più tardi, lo stesso Chen ha dichiarato che sono stati funzionari statunitensi a riferirgli la minaccia cinese: se non avesse lasciato la sede diplomatica, la moglie sarebbe stata «picchiata a morte» (gli Usa smentiscono questo particolare).

Il dissidente ha ripetuto di non voler restare in Cina ma di voler partire insieme con la famiglia. Insicurezza in crescendo, nel timore di esser portato via, per Chen: durante la notte, «qui in ospedale non c'è nessun diplomatico Usa, me l'avevano promesso...»; alcune sue telefonate all'ambasciata - secondo il legale Teng Biao - sarebbero andate a vuoto.

La piega drammatica contrasta con le rassicurazioni da parte americana. Due funzionari hanno confermato di aver accolto Chen in ambasciata il 26 aprile perché ferito. Hanno raccontato addirittura di come «molti dei nostri interlocutori in Cina hanno lavorato creativamente, intensamente e con umanità». Ma se gli accordi sono saltati, se davvero nessuno fosse in grado di garantire per l'incolumità di Chen, a venire travolti non sarebbero solo il dissidente e la famiglia, ma anche l'immagine di Barack Obama, nell'anno delle presidenziali.

 

gary locke e chen guangcheng chen guangcheng chen guangcheng all ambasciata americana di pechino chen guangcheng chen guangcheng lascia lambasciata americana a pechino

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