1. LA STAMPA AMERICANA RIALZA LA TESTA GRAZIE ALLLA GUERRA A DONALD TRUMP. I NOSTRI GIORNALONI IN CRISI DI COPIE E D’IDENTITA’ PER TRE ANNI HANNO CHINATO LE PENNE PER INCENSARE OGNI GIORNO IL CAZZARO RENZI PAGANDO UN BAGNO DI SANGUE NELLE EDICOLE 2. SOLTANTO IL “CONSIP-GATE” FA CADERE IL VELO DI OMERTA’ E SOLTANTO ORA I GIORNALONI SCOPRONO QUELLO CHE ANCHE I COMMESSI DI PALAZZO CHIGI SAPEVANO

DAGONOTA

 

IVANKA TRUMPIVANKA TRUMP

I corrispondenti dagli Usa dei nostri giornaloni ci ragguagliano su un’interessante novità concernente la carta stampata d’oltre Atlantico. Si assiste a un’inversione di tendenza, raccontano, nelle vendite che, in realtà, li (e ci) riguarda molto da vicino. Dopo un inarrestabile declino, i media tradizionali americani stanno rialzando la testa (e il numero delle copie in edicola e via web) per aver preso una posizione netta sulla politica ritenuta rozza e neo conservatrice di Donald Trump.

 

Il tentativo del nuovo inquilino della Casa Bianca di assestare il colpo di grazia alla stampa si sta rivelando un boomerang. ”Dal giorno della sua elezione gli abbonamenti ai giornali e ai siti liberali, dal New York Times al Washingthon Post, si sono impennati”, scrive sul Corriere della Sera Massimo Gaggi. Insomma, stiamo assistendo alla rivincita dei “giornali falliti”. Almeno a dare ascolto al ruvido giudizio del successore di Obama.

IVANKA TRUMPIVANKA TRUMP

 

Nella sua testata online, la risanata Washingthon Post del nuovo proprietario Jeff Bezos (Amazon) ha fatto aggiungere poi il distico “La democrazia muore nel buio”. Se ripresa vera sarà, non resta che attendere.

THE NEW YORK TIMES THE NEW YORK TIMES

 

Meglio tornare ai guai (a mezzo stampa) dei nostri quotidiani in crisi di copie e d’identità per domandarci (retoricamente): esistono dei quotidiani liberal in Italia? E ancora: il nostro giornalismo non sta forse agonizzando più per le sue colpe&omissioni e non a causa della concorrenza (sbandierata per coprire le proprie magagne) dei new media?

EZIO MAURO MARIO CALABRESIEZIO MAURO MARIO CALABRESI

 

A differenza dagli Stati Uniti, che hanno “preso le misure” a Trump sin dal giorno del suo insediamento, i nostri giornaloni hanno impiegato tre anni, grazie soprattutto all’esplosione giudiziaria del Consip-gate, per “mettere a fuoco” il fenomeno Renzi e quello che appare ora il suo inarrestabile declino. E soltanto oggi, con imperdonabile ritardo, sono costretti a registrare che anche il mancato Cavour di Rignano sull’Arno non immagina più di andare a votare in autunno. Ma che notiziona sarebbe! Sul Corriere, Anna Finocchiaro, guardando a un Pd travolto dagli eventi politico-giudiziari, anch’essa scopre che si è aperta una “frattura” insanabile nel partito del Giglio tragico. Benvenuta nella realtà del post-Matteo!

abbraccio tra maria elena boschi e matteo renziabbraccio tra maria elena boschi e matteo renzi

 

boschi gentiloni e renzi  boschi gentiloni e renzi

Già, bastava rileggere le cronache degli ultimi due mesi per avere conferma di una stampa (padronale) codina che ha finto per non vedere (e raccontare ai lettori) quello che, invece, era una realtà “senza se e senza ma”. E senza via di scampo per il suo Matteo che, alla pari del grottesco barone di Münchhausen finito con il suo ronzino nella palude, ogni volta che cadeva ha tentato di rialzarsi su tirandosi ahimè per i capelli. Un giornalismo in guanti bianchi mai riservato ai leader che si sono succeduti a palazzo Chigi nell’ultimo quarto di secolo.

 

FINOCCHIARO BOSCHIFINOCCHIARO BOSCHI

Riepiloghiamo i fatti (sottaciuti o minimizzati). Nello spazio (breve) di sessanta giorni il cazzaro Matteo è stato costretto a dimettersi prima da presidente del Consiglio (12 dicembre 2016) e poi da segretario del Pd (19 febbraio 2017). Nell’intervallo tra le due date, l’ex premier ha dovuto incassare la bocciatura popolare del “suo” referendum (4 dicembre 2016) e a seguire quella della Corte costituzione sulla “sua” legge elettorale maggioritaria e monocamerale, l’Italicum (25 gennaio 2017). Un record di sconfitte senza precedenti nella nostra storia Repubblicana che pure conta vittime illustri tra i suoi ex leader: da De Gasperi a Fanfani; da Occhetto a Craxi; da D’Alema a Prodi.

 

michela brambilla  luciano fontana (1)michela brambilla luciano fontana (1)

Ora, vabbè - per dirla con Stanislaw Lech -, che siamo alimentati dalle falsità perché la verità e difficile da digerire, ma resta incomprensibile la ragione dei principali giornaloni di far passare la doppia uscita del Ducetto di Rignano, da Palazzo Chigi e dal Nazareno, alla stregua di una mezza-vittoria. E non di una doppia (e sonora) bastonatura. Con il tentativo (altrettanto maldestro) di molti opinionisti (con rare eccezioni) e delle croniste pasionarie del Nazareno di non vedere quello che emergeva in superficie dal caos nel Pd (e dintorni). Compresi i suoi pericolosi effetti collaterali sull’intero sistema politico-istituzionale.

 

la prima pagina de la stampa senza foto di federica guidila prima pagina de la stampa senza foto di federica guidi

Eppure la lunga crisi che viviamo poteva essere letta benissimo (e interpretata) secondo le regole del gioco e la sua tempistica di sempre (ahimè violate ai tempi della presidenza Napolitano) che hanno sempre governato - nel bene come nel male -, la storia e la cronaca della prima e della supposta seconda Repubblica. Ma dopo aver difeso (e perdonato) le scorribande azzardate del cazzaro premier, definito dal sommo Eugenio Scalfari addirittura un nuovo Giolitti o un mancato Cavour, la Repubblica, il Corriere della Sera e la Stampa ancora annaspano a (ri)sintonizzarsi con la realtà che si stava spalancando nel nuovo scenario politico. E soprattutto con i suoi lettori che li hanno abbandonati in edicola.

 

RENZI BERSANIRENZI BERSANI

I tre giornaloni sembravano quasi fingere di non sapere che - di là delle ultime boutade del Matteuccio caduto da cavallo -, che con l’implosione del Pd (annunciata) e la fuga dal Nazareno di Bersani&C,  il bilancio triennale di Matteo Renzi era segnato dal suo fallimento sia a Palazzo Chigi sia al Nazareno: dal mancato abbattimento del debito pubblico alle riforme costituzionali; dal crollo dell’occupazione nonostante il job act ai tracolli elettorali del Pd alle regionali e alle comunali.

 

boschi e mattarella  boschi e mattarella

E ancora: il partito delle anime morte da lui guidato fino all’altro giorno - dove sembra fiorire soltanto il mercato nero delle tessere in vista delle primarie (taroccate) -, ha perso milioni d’iscritti. E, di fatto, il nostro Barone di Rignano ha provocato la fuoriuscita dei leader storici delle “regioni rosse” sopravvissute alla rottamazione (Bersani, Errani, Rossi, Emiliano, De Magistris).

 

Nel frattempo alle Camere si è rafforzato un solo gruppo parlamentare trasversale (basti menzionare Berlusconi leader di Forza Italia), contrario al voto anticipato: il partito del Quirinale. Il capo dello Stato – sostenuto dai presidenti delle due assise, Laura Boldrini e Pietro Grasso - è contrario che si vada alle urne se prima non si approva una nuova legge elettorale. Il che vuol dire alla fine naturale della legislatura (febbraio 2018).

MATTARELLA RENZIMATTARELLA RENZI

 

E alle Camere, oggi Sergio Mattarella ha tutti i numeri indispensabili per tenere in vita l’esecutivo Gentiloni. Insieme alla stessa legislatura. E, fino a prova contraria, sono i parlamentari a decretare il termine del proprio mandato, non le fregole renziane forse rientrate. Un Ducetto dimezzato e a suo tempo tentato di far cadere il suo governo-fotocopia Gentiloni, andrebbe in contro un nuovo suicidio politico.

 

lotti familylotti family

Allora, sembra davvero una presa per i fondelli rilanciare acriticamente a mezzo stampa, com’è accaduto recentemente, l’effimera sortita renziana di abbinare le politiche alle comunali il prossimo giugno (Election Day). Andando alle urne con il Consultellum (proporzionale), che non garantirebbe la futura governabilità del Paese. Ma forse viviamo davvero tempi in cui “la gente decente è perplessa e le canaglie sono ringalluzzite” (Jaun Carlos Monedero, sociologo spagnolo).

 

TIZIANO RENZI A FIUMICINOTIZIANO RENZI A FIUMICINO

E arriviamo alle ultime vicende politico&giudiziarie che hanno fatto spalancare gli occhi ai politologi con la cataratta incorporata nel pennino. Sin dal giorno del suo insediamento a palazzo Chigi era noto anche ai commessi della presidenza del Consiglio che il Ducetto di Rignano si era circondato, con il beneplacito dei giornaloni e dell’ex capo dello Stato Giorgio Napolitano, dal Giglio tragico (Lotti, Carrai, Bianchi, Boschi, Serra&C...). E forse anche all’esimio professor Sabino Cassese, che sul Corriere ora invoca i “monaci tibetani” nell’apparato dello stato, si era distratto quando Renzi chiamò a capo della struttura governativa l’ex capo dei vigili urbani di Firenze, la fidata Antonella Manzione.

 

antonio maccanicoantonio maccanico

E Cassese neppure rammenta che nella tanto deprecata altra Repubblica, il potente diccì, Ciriaco De Mita, chiamò in quel ruolo (strategico) a Palazzo Chigi il grand commis Andrea Manzella. E non un suo portaborse di Nusco. E che il socialista Sandro Pertini, una volta eletto al Quirinale, si avvalse di un altro tecnico di area Pri, Antonio Maccanico. Chissà se dalla prima Repubblica non ci sia ancora qualcosa da imparare almeno sul senso dello stato e sulla cultura di governo.

andrea manzellaandrea manzella

 

 

 

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