IN-FAUSTO COPPI PER SILVIO: “BASTA ATTACCHI ALLE TOGHE O MOLLO LA DIFESA” – NON SOLO IL LEGALE, ANCHE IN CASA PIERSILVIO E FIDEL CONSIGLIANO BOCCA CHIUSA

Ugo Magri per "la Stampa"

Il titolo Mediaset è schizzato su del 7 per cento, sull'onda del report positivo di una banca d'affari. Con questo balzo, l'azienda del Cavaliere segna un progresso del 113 per cento da inizio anno. E non c'è da meravigliarsi, sostengono in Borsa, perché Mediaset ha chiuso in utile il primo trimestre, perché sulle reti del Biscione si è riaffacciata un po' di pubblicità, perché se c'è ripresa economica le aziende tivù sono le prime a profittarne...

Però, attenzione: casomai dovesse cadere il governo, magari su reazione del Pdl alla condanna del Cavaliere, l'Italia verrebbe subito afferrata nel vortice della crisi finanziaria. Mediaset direbbe addio alla speranza di chiudere il 2013 in attivo. E il suo principale azionista, che risiede in una villa di Arcore, resterebbe per il terzo anno consecutivo senza guadagni, a fronte di uno stile di vita tuttora dispendioso: 100 mila euro al giorno di alimenti a Donna Veronica, spese legali «monstre», sostegno umanitario alle tante «olgettine»...

Mai come in questo momento Berlusconi presta attenzione al suo budget di miliardario in bolletta. Figurarsi se non è sensibile al grido di dolore, quasi un'implorazione, che gli giunge dalle aziende di famiglia: «Per favore, non causare sconquassi politici, altrimenti qui rischiamo il tracollo».

Il figlio Piersilvio è stato a dir poco esplicito in un summit con tutti i manager dell'azienda. Fedele Confalonieri coglie ogni occasione per parlare bene alle spalle del premier Letta, «è il governo migliore possibile». Insomma: chi voglia comprendere i perché della frenata di Silvio, che da qualche giorno ha chiuso in gabbia i «falchi» del suo partito e difende senza tentennamenti il governo, non può non considerare in primis il tifo sfrenato di Mediaset per la stabilità politica.

Ma c'è dell'altro. Il tam-tam Pdl (luogo di spifferi, dove nessun segreto regge più di qualche ora) individua altre due rilevanti concause della prudenza berlusconiana. La prima consiste nella dura reazione dell'avvocato Coppi al tentativo di blocco del Parlamento, messa in scena dai capigruppo Schifani e Brunetta dopo che la Cassazione aveva deciso di anticipare la sentenza sul Cavaliere.

Una reazione così politicamente sguaiata, e talmente fuori del galateo processuale, pare abbia spinto il principe del foro a comunicare una sorta di ultimatum. Le parole esatte le conoscono soltanto Berlusconi e, forse, Ghedini che con Coppi condivide l'onere della difesa. Ma il senso del discorso è chiaro: se questo è il modo con cui il Pdl ha scelto di atteggiarsi nei confronti dei giudici, beh, trovatevi un altro avvocato. Perché sarebbe inutile fare sfoggio di dottrina giuridica, è il senso del discorso di Coppi, se poi i magistrati della Cassazione vengono definiti «banditi di Stato» addirittura in un titolo del «Giornale» di famiglia...

Infine, Napolitano. Nel Pdl si dà per certo che Letta (lo zio Gianni stavolta, non il nipote Enrico) sia salito nei giorni scorsi sul Colle. E una volta disceso, si sia fatto latore della fortissima irritazione quirinalizia. Il Presidente trova inaccettabile che «Libero» per più giorni abbia invocato un provvedimento di grazia nei confronti di Berlusconi, probabilmente attingendo a certi ragionamenti che Silvio stesso aveva sviluppato in modo incauto durante un recente vertice di partito.

Ma soprattutto, Napolitano considera del tutto irragionevoli, oltre che irresponsabili, le minacce di crisi, i toni esagitati e l'intero repertorio di insulti contro le toghe messo in campo dai più scalmanati fan del Cavaliere, quasi certamente con la sua benedizione. Tutti comportamenti che non migliorano la condizione dell'imputato, anzi se possibile la rendono più disperata.

Pare che il messaggio del Colle sia arrivato forte e chiaro a destinazione. L'intervista riparatoria di Berlusconi al «Giornale», dove si dichiara spaventato da certi eccessi dei suoi, ne è la conferma. Resta però da vedere se i «falchi» rinfodereranno gli artigli, specie se il 30 luglio la Cassazione non pronuncerà il verdetto auspicato. Verdini lo ha già detto chiaro: «Silvio, se vorrai che io mi leghi le mani e mi tappi la bocca, me lo dovrai ordinare per iscritto tre volte. Solo alla terza io ti obbedirò».

 

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