IN UGANDA SONO PIÙ PROTETTI I GORILLA DI MONTAGNA DEI GAY, COSTRETTI A VIVERE NASCOSTI PER EVITARE ARRESTI E SPEDIZIONI PUNITIVE - IN AUMENTO I SUICIDI TRA GLI OMOSESSUALI

Michele Farina per il "Corriere della Sera"

«I gorilla di montagna sono più protetti di noi gay in Uganda». Mosha fa una risata forzata al telefono. Preferisce non muoversi: «Di questi tempi meglio non uscire». Edgar e Derrick invece arrivano sulla strada sterrata in boda-boda, i mototaxi ronzanti ed economici che avvolgono questa città alveare dove Google sta seminando i cavi della fibra ottica. Si conoscono. Sono gay.

«Gli amici etero hanno preso le distanze: hanno paura. E anche noi non ci fidiamo: e se ci denunciano?». Una retrograda modernità: Edgar e Derrick studiano economia e informatica all'università, si scambiano messaggi su WhatsApp, però qui se li arrestano rischiano l'ergastolo.

Nomi finti, storie vere, maschere al volto per farsi fotografare. Come dieci anni fa, alla prima conferenza degli attivisti gay a Kampala, quando c'era chi aveva paura di uscire allo scoperto. Cos'è cambiato? «Che adesso ci guardiamo le spalle più di prima - dice Edgar -. A un mio amico è successo pochi giorni fa: hanno passato il suo nome ai giornali, i paparazzi l'hanno seguito, è uscita la foto a tutta pagina».

Ecce gay. «È dovuto andar via di casa, è stato picchiato da una banda per la strada. Ce lo dicevano da un po': "Se passa la legge, vedrete come finisce"». Il 20 febbraio è passata. Hassan Shire, direttore dell'organizzazione per i diritti umani «Defend Defenders», dal suo ufficio al primo piano della Human Rights House denuncia il rischio di «soffocamento delle libertà civili in Uganda»: si registrano almeno cinque casi di spedizioni punitive contro i gay, tentati suicidi, sfratti forzati.

«Siamo underground» dicono Edgar e Derrick. Un milione di clandestini, secondo alcune stime. Divisi, nascosti nelle case. Non c'è qualche locale? «Ci sarebbe il Gloria, ma chi si fida adesso?». Una casa, due ragazzi mascherati. E una ragazza, Diane, che ci mette la faccia e il cognome. Diane Sydney Bakurraira è un'attivista di «Smug», uno dei gruppi che si battono per i diritti degli omosessuali.

È abituata a essere discriminata: a scuola l'hanno espulsa quando hanno scoperto le sue lettere d'amore a una ragazza. Alla FedEx l'hanno licenziata e il capo le ha spiegato: «Sorry, questione politica, se non lo faccio, cacciano me».

Ma ora il gioco è più duro. Dopo che il presidente Museveni ha firmato la legge che prescrive per gli omosessuali il carcere a vita e invita gli ugandesi a denunciarli alle autorità, Diane e la sua compagna hanno deciso di smettere di vivere insieme: «L'altro giorno sono tornata a casa e ho trovato i vicini minacciosi davanti al mio cancello. Mi guardavano e pregavano Dio di allontanare i diavoli gay». È vero, dice Derrick, «qui non ci frustano come nel Nord della Nigeria. Dovremmo festeggiare?».

Sono 78 nel mondo, secondo l'ultima conta Onu, i Paesi dove l'omosessualità è illegale. L'Africa è ben rappresentata. Il gigante Nigeria di recente ha passato una legge ad hoc. Perché l'Uganda è diventato un caso internazionale? Contro Museveni tuona il Segretario dell'Onu Ban Ki-moon, da Washington l'amministrazione Obama paragona la legge anti-gay a quelle dei nazisti e dell'apartheid in Sudafrica, minacciando di rivedere i rapporti con uno dei suoi migliori alleati africani.

La Banca Mondiale blocca aiuti (per 60 milioni), i Paesi del Nord Europa fanno altrettanto e la Ue chiede il ritiro della norma contestata. Anfibi e cappello, dall'alto dei suoi 27 anni passati al potere, l'ex guerrigliero Museveni tira dritto verso le elezioni del 2016.

«È una questione di politica interna», dice Andrew Mwenda, giovane direttore dell'Independent. Nel partito c'erano un paio di rivali che volevano scalzare il grande capo sfruttando il tema sempre popolare della lotta all'omosessualità. E del colonialismo. Lui li ha intortati un'altra volta, sfidando gli Obama della Terra.

Una guerra di potere sulla pelle di un milione di «clandestini» come il ventenne Meddy, che fa il parrucchiere di donne famose. «Adesso lavoro con molta più discrezione, a domicilio, e solo durante il week-end - racconta via sms -. Le mie clienti sapevano che sono gay, ma adesso c'è chi finge di non conoscermi». Meddy vittima della geopolitica oltre che degli intrighi di palazzo.

Perché l'Uganda che sfida i potenti difensori dei diritti umani si sente coperto: con le armi russe fa il gendarme della stabilità per conto dello stesso Occidente che lo accusa (missioni in corso dal Sud Sudan alla Somalia), e se anche l'America tagliasse gli aiuti c'è la Cina che li moltiplica. Sperando che a partire dal 2017 il petrolio possa riaccendere la crescita: oro nero al posto del caffè come prima ricchezza nazionale. La dittatura anni 70 di Idi Amin (300 mila morti) è un ricordo. Il signore della guerra Joseph Kony è braccato nella giungla centrafricana.

Uganda simbolo dell'Africa che avanza con la fibra ottica, che si vanta di essere il Paese con il più alto tasso di giovani al mondo, anche se le speranze di vita si fermano a 55 anni. Il 70 per cento della popolazione è minorenne. La propaganda governativa, per giustificare la legge anti-gay e quella anti-pornografia (detta anche anti-minigonne) parla della necessità di proteggere i ragazzi dalla corruzione delle «lobby omosessuali».

È la stessa retorica delle confessioni evangeliche americane, che hanno sempre maggiore influenza nel Paese e a palazzo. E la Chiesa cattolica ugandese? Il giorno seguente l'approvazione dell'ergastolo per i gay, anche l'arcivescovo di Kampala Cyprian Lwanga ha firmato con gli altri leader religiosi (cristiani e musulmani) una pagina intera sui giornali (a pagamento) nella quale il «Consiglio interreligioso dell'Uganda (religioni per la pace)» ha celebrato l'entrata in vigore della «legge anti-omosessualità».

La cui vera regista sarebbe la First Lady Janet Museveni, dice Kasha Nabasegera, la più famosa paladina dei diritti omosessuali in Uganda. Seduta in un bar deserto nel quartiere di Kampala dove è nata, davanti a una birra e una scodella di brodo e pollo bollito, Kasha invita l'Europa a passare dalle parole ai fatti: «Cominciate a negare i visti agli esponenti del governo. Per il loro bene: se l'Occidente dove i gay non sono perseguitati è così immorale, perché andarci?».

 

 

UGANDA LA GIOVANE LESBICA DIANE UGANDA DUE OMOSESSUALI COSTRETTI A USARE UNA MASCHERA PER NASCONDERSI

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