1. TUTTI VOGLIONO SALIRE SULLA GIOSTRA DEI CALCINCULO DEL QUIRINALE, MA C’È CHI INIZIA A SALTARE IN ARIA: È SUBITO PARTITO IL GIOCO PERVERSO DEI CANDIDATI DA BRUCIARE! 2. SE BERLUSCONI NOMINANDOLO HA SECCATO LA CANDIDATURA DELL'IMMORTALE AMATO, IL BACIO DELLA MORTE A PRODI ARRIVA DALLA MINORANZA PD: “E’ LA NOSTRA PRIMA SCELTA” 3. INTANTO LA CLAUSOLA-RENZI DISBOSCA UN’AMPIA SCHIERA DI ASPIRANTI: “NON PORTEREMO AL VOTO NOMI GIÀ BOCCIATI DA QUESTO PARLAMENTO”. BYE BYE PER PRODI E PER MARINI 4. LO SCHIAFFONE DI RENZI A D’ALEMA: “SI RICORDI DELLA PRIVATIZZAZIONE DELLA TELECOM…” 5. DA DRAGHI A VELTRONI, DALLA PINOTTI A FRANCESCHINI, DA GENTILONI ALLA BOLDRINOVA: NE RIMARRÀ SOLTANTO UNO (E PROBABILMENTE NON SARÀ NESSUNO DI LORO)

NAPOLITANO  QUIRINALE  NAPOLITANO QUIRINALE

1. LO SCHIAFFONE DI RENZI A D’ALEMA: “PENSI A TELECOM…”

Dall’intervista di Claudio Tito a Matteo Renzi per “La Repubblica”

 

Ma in questa fase serve o no più mano pubblica nell`economia? 

«Dipende. Io ad esempio non sono per la presenza pubblica in così tante municipalizzate come accade da noi. Non vorrei passare da un eccesso all`altro. Bisogna valutare caso per caso». 

 

Una cosa su cui è d`accordo con D`Alema. 

«Può accadere persino questo. Ma se penso a come furono fatte certe privatizzazioni in passato non credo che l`accordo reggerebbe molto. Se penso al dossier Telecom, mi rendo conto che l`enorme debito della compagnia telefonica risale a come fu gestitala privatizzazione di quell`azienda. Diciamo che con D`Alema sono forse sono d`accordo sull`intervento pubblico, ma sono un po` meno d`accordo sull`intervento privato, diciamo». 

RENZI quirinale extra RENZI quirinale extra

 

2. LA MINORANZA PD AFFONDA IL PROFESSORE: “SIAMO ALMENO CENTO, PRODI È LA PRIMA SCELTA”

Goffredo De Marchis per “La Repubblica”

 

«Stavolta dovrà ascoltare anche noi. Contiamo più di Fitto in Parlamento». La minoranza del Pd giocherà la partita del Quirinale di rimessa, aspettando che sia Matteo Renzi a fare la prima mossa, a indicare al partito un nome su cui discutere. Il coordinamento dei dissidenti continua a vedersi praticamente ogni giorno alle 9 di mattina a Montecitorio.

 

MASSIMO DALEMA GIOCA A CALCIO MASSIMO DALEMA GIOCA A CALCIO

Ne fanno parte Gianni Cuperlo, Pippo Civati, Stefano Fassina, Francesco Boccia e Alfredo D’Attorre. Tutte le aree sono rappresentate. Da questo nucleo è nata la rivolta che ha portato alle 30 uscite dall’aula durante la votazione del Jobs Act. Ma loro giurano di essere molti di più e al momento dell’elezione del presidente della Repubblica il loro peso si farà sentire. Tra Camera, Senato e delegati regionali contano circa 100 grandi elettori. «Forse 101», scherzano evocando il voto su Romano Prodi che provocò un terremoto nel centrosinistra, un anno e mezzo fa.

 

Prodi è ancora nei discorsi dei ribelli in questi giorni. Ancora oggi è il nome che mette d’accordo tutti. Civati in testa. Ma lo appoggiano anche i bersaniani e il lettiano Boccia. Persino Cuperlo non nega una chance al Professore.

 

Del resto, lui, nella squadra dalemiana, è sempre stato un tifoso dell’ex premier, certamente il meno denigratorio, tanto da immaginare una pace tra D’Alema e Prodi qualche anno fa, attraverso la nomina di quest’ultimo alla presidenza della Fondazione Italianieuropei.

GIULIANO AMATO ROMANO PRODI FOTO LAPRESSE GIULIANO AMATO ROMANO PRODI FOTO LAPRESSE

 

Il percorso di Prodi appare fin d’ora accidentato, reso difficile dalla sua sbandierata indisponibilità e dal veto di Berlusconi. In più adesso la sponda grillina non è molto sicura vista la tempesta che scuote i 5stelle. Comunque il coordinamento si prepara anche a un piano B. Sul profilo di Prodi: ossia autorevolezza assoluta, nome alto, autonomia dai partiti.

 

Perché il timore è che nel patto del Nazareno si possa realizzare una soluzione al ribasso, con una candidatura debole. «Il capo dello Stato dev’essere libero e forte. Libero dai condizionamenti delle forze politiche e forte nelle istituzioni», spiega Boccia.

 

 Alfredo DAttorre Alfredo DAttorre

«Va cercato un garante per il Paese, non un garante di Renzi, una specie di stampella del governo», insiste D’Attorre. Naturalmente, secondo la minoranza, questo risultato si ottiene solo ribaltando l’intesa del Nazareno e depotenziando il potere di scelta di Berlusconi.

 

Per neutralizzare il dissenso interno e i franchi tiratori Renzi però ha bisogno di patto blindato o con Berlusconi o con Grillo. Dalla quarta votazione basteranno 500 e rotti voti per eleggere il presidente. Se sono veri i 100 della minoranza, è necessario avere la sponda garantita di Forza Italia e dei centristi oppure del comico.

RENZI PINOTTIRENZI PINOTTI

 

Perché nemmeno i dissidenti grillini saranno sufficienti. La via d’uscita più semplice è trovare un nome talmente alto da impedire a chiunque di battere ciglio. Come avvenne ai tempi di Carlo Azeglio Ciampi. Questo nome è unico: Mario Draghi. Berlusconi dovrebbe inchinarsi e la minoranza dem non avrebbe alternative.

 

Draghi tuttavia è out almeno per il momento. Girano le candidature di Roberta Pinotti e Paolo Gentiloni in cui i dissidenti non riconoscono l’identikit della personalità autorevole e autonoma che invece corrisponde a Walter Veltroni. Più insidiosa, per l’intero Pd, sarebbe l’indicazione di Dario Franceschini.

 

Il ministro della Cultura, nel toto-Quirinale, è ai margini, «ma non va sottovalutato — dice Boccia — . Può avere i voti di Berlusconi e di tutti i centristi sparsi».

 

DARIO FRANCESCHINI DARIO FRANCESCHINI

I dissidenti cercano di autonomizzarsi dalla vecchia guardia, eppure non negano che Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema vorranno avere voce in capitolo. «Esiste una necessità di condivisione, anche con noi. Non cerchiamo una situazione di stallo e la titolarità della proposta spetta a Renzi. Poi però si discute», spiega D’Attorre.

 

franceschini-bersani-marinofranceschini-bersani-marino

Non sarà una discussione semplice, intrecciata com’è con la legge elettorale e la riforma costituzionale, oggi osteggiate dalla minoranza. Senza contare la prospettiva del voto anticipato. Renzi e i suoi devono ancora trovare l’interlocutore giusto nel fronte dei ribelli. Per ora regna la massima diffidenza e sospetti nemmeno molto celati a Palazzo Chigi di complotti per far inciampare il premier.

 

3. QUIRINALE, RENZI: NO A NOMI GIÀ BOCCIATI DAL PARLAMENTO

Alberto Gentili per “Il Messaggero”

 

L’ho detto e ripetuto, le riforme si fanno subito, prima di occuparci del Quirinale. E se il Parlamento si dimostrerà incapace di garantire il cambiamento, al nuovo capo dello Stato chiederò di andare sparati alle elezioni. E ci si andrà con il Consultellum così com’è, senza correzioni. Agli italiani dirò: “Non mi hanno fatto fare la nuova legge elettorale e si deve votare con questa porcata”».

VELTRONI E FRANCESCHINI VELTRONI E FRANCESCHINI

 

Matteo Renzi, nel giorno in cui Silvio Berlusconi chiede di invertire l’ordine dei lavori - prima l’elezione del nuovo capo dello Stato e soltanto dopo la riforma elettorale - ai suoi ha confidato uno stato d’animo quanto mai battagliero. Una vera e propria minaccia per l’ex Cavaliere, che vedrebbe sfumare le amate liste bloccate. E un avvertimento ai ribelli dem.

 

Ma anche un azzardo per Renzi, visto che il Consultellum è essenzialmente un sistema proporzionale. E dunque, a meno di non prendere il 51 per cento dei voti, il segretario del Pd e premier sarebbe costretto nel dopo le elezioni a governare in... coalizione. «Ma siamo proprio sicuri che partendo dal 40,8% delle europee il traguardo del 51% sia proprio impossibile?», chiede un renziano che frequenta quotidianamente palazzo Chigi.

 

veltroni giovane veltroni giovane

Sogni di gloria a parte, i giochi sono aperti. Il ministro del Ncd Maurizio Lupi, uno che vive da tempo sulla linea di confine e ha imparato ad annusare umori e manovre di una parte e dell’altra, di fronte al timing fissato da Berlusconi la mette così: «Il più importante e forte alleato di Renzi è Napolitano. Dunque, il Presidente annuncerà le sue dimissioni a fine anno e poi lascerà il Quirinale dopo un mesetto, dando a Matteo il tempo per varare la legge elettorale».

 

Ed è proprio questo lo schema del presidente del Consiglio. Renzi resta determinato ad approvare l’Italicum con «la maggiore condivisione possibile» (suggerita anche da Napolitano). Ma quando c’è da tirare dritto in nome della riforma elettorale «non guarda in faccia a nessuno».

 

BERLUSCONI ALLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI NICOLO AMATO CON STEFANIA CRAXI FOTO LAPRESSE BERLUSCONI ALLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI NICOLO AMATO CON STEFANIA CRAXI FOTO LAPRESSE

E ieri, nel giorno dei tre voti di fiducia alla legge di Stabilità, a Montecitorio non si parlava che della strategia scelta dal premier per far rispettare la sua road map: prima il sì dell’Italicum a palazzo Madama e il sì alla riforma del Senato da parte della Camera. Poi, soltanto poi, l’apertura del capitolo-Quirinale.

 

«L’Italicum è già incardinato in Commissione a palazzo Madama e arriverà in aula verso il 20 dicembre», diceva il renziano Ettore Rosato, «mentre la riforma costituzionale del Senato avrà la sua seconda lettura alla Camera più o meno in contemporanea».

 

NO AI RICATTI

Giusto in tempo, è la speranza di Renzi, per arrivare all’elezione del nuovo Presidente senza essere sotto ricatto di Berlusconi. «Anche perché», aggiungeva Lorenzo Guerini, il braccio destro del premier e vicesegretario del Pd, «dato che Napolitano è ancora al suo posto, la questione del Quirinale non è sul tavolo. In più, si tratta di rispettare il solenne impegno che il Parlamento ha preso proprio con il Presidente quando gli venne chiesto il sacrificio di accettare un altro mandato».

 

Tra i renziani però già da tempo si studiando mosse e strategie per prepararsi alla «dolorosa successione». «Lo schema è già chiaro», dicono a palazzo Chigi, «Matteo quando arriverà il momento, riunirà i parlamentari del Pd e farà un discorso che suonerà più o meno così: “Chi vuole fissare paletti e proporre candidature divisive sbaglia, non è giusto né utile rinunciare a eleggere il nuovo Presidente con una maggioranza la più larga possibile. Dunque mettiamoci d’accordo e avanziamo una candidatura in grado di avere un consenso amplissimo”».

 

GRILLINI E MINORANZA DEM

boldrini grasso boldrini grasso

Ma c’è di più. Ai renziani del cerchio ristretto il premier l’ha detto chiaramente: «Niente candidature divisive e non porteremo al voto per il Colle neppure nomi di personalità già bocciate da questo Parlamento». Traduzione: né Franco Marini, né tantomeno Romano Prodi.

 

E soprattutto, una volta eletto il nuovo presidente della Repubblica, Renzi andrà sparato alle elezioni se non sarà riuscito a far approvare l’Italicum. «E’ chiaro che noi proporremo l’approvazione della nuova legge elettorale con una clausola di salvaguardia anti-elezioni anticipate», spiega una fonte vicinissima al premier, «vale a dire: niente urne fin tanto che non sarà stato riformato il Senato. Ma si possono dimenticare che cambieremo il Consultellum», la legge elettorale uscita dalla sentenza della Consulta che ha azzerato il Porcellum. 

GRILLO  beppe genovaGRILLO beppe genova

 

Le bizze di Berlusconi e le vistose crepe del patto del Nazareno, spingono Renzi anche a guardare con attenzione anche al campo dei grillini. Lo smottamento dei Cinquestelle è atteso e sperato: «Se come sembra saranno qualche decina i parlamentari che lasceranno Grillo», analizzano a palazzo Chigi, «la maggioranza si allargherà in modo significativo in Senato e quando arriverà il momento di eleggere il nuovo capo dello Stato i voti dei transfughi grillini saranno utilissimi...». Berlusconi è avvertito.

Gentiloni intervistato Gentiloni intervistato

 

Con l’avvicinarsi della partita per il Quirinale diventa importante anche recuperare «almeno una parte» della minoranza dem. Renzi ha osservato con grande attenzione la riunione di ieri di Area riformista, cui hanno partecipato una settantina di deputati, ma non i pasdaran Fassina, Zoggia e D’Attorre.

 

La parola d’ordine: «Massima coesione e massima condivisione». Il che vuol dire che per il Quirinale, se saprà e vorrà accettare l’offerta del correntone di Area riformista, Renzi potrà contare su un altro centinaio di voti.

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