PER LA CARRIERA POLITICA DEL FIGLIO, MARIO CUOMO SI PIEGA A DON VITO CORLEONE! - DOPO 41 ANNI L’EX GOVERNATORE DI NEW YORK VEDE FINALMENTE “IL PADRINO”: “FORSE E’ STATO DAVVERO UN CAPOLAVORO”

Maurizio Molinari per "La Stampa"

Dopo 41 anni di rifiuti l'ex governatore di New York, Mario Cuomo, accetta di vedere «Il Padrino» di Francis Ford Coppola compiendo una scelta destinata a segnare l'identità degli italiani d'America come anche a facilitare le aspirazioni presidenziali del figlio Andrew. La storia del tabù di Cuomo su «Il Padrino» risale al 1972, quando, in occasione del debutto della pellicola che vede Marlon Brando interpretare il boss Vito Corleone, il sindaco di New York John Lindsay invita alla prima un folto gruppo di leader cittadini.

Cuomo è già un volto di spicco dei democratici di New York e, con una decisione che fa scalpore, rifiuta. Il motivo è nella convinzione che portare sul grande schermo Cosa Nostra comporta la moltiplicazione dei pregiudizi anti-italiani in America. Sono in molti, nelle comunità di immigrati nella Grande Mela, a condividere tale scelta: dalla fine dell'Ottocento gli italiani sbarcati a Ellis Island si sono trovati a difendersi dall'immagine negativa di essere il popolo della Mano Nera, dedito soprattutto al crimine, pagando pesanti prezzi in termini di emarginazione.

Ancora oggi può capitare di incontrare giovani studenti italoamericani, alla Rudgers University come al Brooklyn College, che raccontano di aver avuto come insegnamento da genitori e nonni la richiesta di «non vedere Il Padrino».

È da tale scelta di Cuomo che, negli ultimi quattro decenni, sono scaturite le campagne di protesta di più organizzazioni italoamericane - dalla Niaf a «Sons of Italy» - contro altri film o serial tv considerati portatori degli stessi pregiudizi: dai «Sopranos» a «Jersey Shore».
Eletto governatore di New York nel 1983, Cuomo continua a rifiutare di vedere «Il Padrino» spiegando, in più occasioni, di essersi dovuto fare largo in politica battendosi proprio contro il pregiudizio degli «italiani-mafiosi».

Crede a tal punto in tale battaglia che quando nel 1985 il boss Paul Castellano viene ucciso davanti alla Sparks Steak House di Manhattan reagisce dicendo: «Ogni volta che si afferma che il crimine organizzato è italiano si diffonde un terribile pregiudizio».

D'altra parte è qualcosa che lui ha vissuto in prima persona. Alla sua prima candidatura i sondaggi svelano infatti che appena il 16% degli elettori lo conosce e ben il 14% non lo vota «perché ha rapporti con criminali» in ragione del cognome che porta. Nelle primarie democratiche del 1992 è Bill Clinton che solleva lo stesso sospetto contro Cuomo, considerandolo il rivale più pericoloso, e lui reagisce scegliendo di non candidarsi.

Indiscusso leader dell'ala liberal dei democratici fra gli Anni 80 e 90, dotato di un'oratoria formidabile, Cuomo non cessa di battersi contro i pregiudizi. «Quando decisi di non candidarmi a Presidente tutti pensarono che ero un mafioso o avevo un tumore al colon, nessuno ipotizzò che avessi un'amante», ricorda al New York Times.

Tale e tanta determinazione è venuta meno domenica sera quando, senza troppo clamore, ha accettato l'invito del «Forum on Law, Culture and Society» della Scuola di Legge alla Forham University sedendosi in platea per assistere alla proiezione del film così a lungo osteggiato. Terminata l'ultima scena, il suo commento è stato: «Forse è stato davvero un capolavoro».


L'ottantunenne ex governatore non rinnega nulla della battaglia combattuta a viso aperto - a fianco della moglie Matilda - contro gli stereotipi anti-italiani ma il passo compiuto trasmette alle nuove generazioni il messaggio che quella stagione di razzismo è oramai alle spalle. Come spesso ripete Michael Bloomberg, sindaco uscente di New York, «oggi i nostri immigrati sono ispanici e asiatici, così come una volta erano irlandesi, ebrei e italiani».

La costante mutazione della metropoli ha trasformato gli italoamericani in uno dei gruppi di maggiore successo, con il risultato di farne un esempio di integrazione a cui gli ultimi arrivati si richiamano. Facendo cadere il tabù su «Il Padrino» Cuomo ratifica una mutazione del tessuto newyorkese, ed americano, nel quale il pregiudizio anti-italiano, pur continuando ad esistere, è stato sconfitto.

Ma non è tutto perché i veterani dei «Democrats» continuano a considerare Mario Cuomo un «Master of Politics» e dunque tendono a leggere nel passo che ha compiuto qualcosa di assai concreto: allontanare da Andrew, l'attuale governatore, l'ombra di un padre troppo etnico. Andrew è una stella nascente nel firmamento democratico, in molti scommettono che può diventare il primo presidente italo-americano e la sua forza politica sta nell'avere all'etnicità un approccio mutuato da quello di Barack Obama all'essere nero: è solo un tassello della propria identità americana.

Se Mario comprende l'italiano, ha una moglie che lo parla perfettamente, va spesso in Italia, ama parlare dei piatti di famiglia e ha costruito su tali origini il proprio profilo politico, Andrew è l'esatto opposto: un anglosassone che, quasi per caso, viene da una famiglia italiana.

Ecco perché l'avversione quarantennale di Mario per il «Il Padrino» rischiava di diventare un ostacolo per la corsa di Andrew verso i traguardi più ambiziosi che la politica americana può offrire.

 

 

MARIO E MATILDA CUOMO - COPYRIGHT PIZZIMARIO E MATILDA CUOMO - COPYRIGHT PIZZIMARIO CUOMO RENZO ARBORE E LEOLUCA ORLANDO - COPYRIGHT PIZZIMARIO CUOMO E RENZO ARBORE - COPYRIGHT PIZZIANDREW cuomo Il PadrinoMarlon Brando - Il Padrinoil-padrino

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