NEL PAESE DEI SANTI SUBITO ANDREOTTI RESTA BELZEBÙ

Vittorio Feltri per "il Giornale"

Giulio Andreotti è l'uni¬co defunto celebre che non sia stato fatto santo subito. Anzi, coloro i quali ne hanno scritto- articoli fiume- si sono limitati a ricordare preva¬lentemente i suoi peccati, in¬ventandone parecchi, tranne quelli della carne perché egli, oltre che spiritoso, era puro spirito e non aveva mai alimenta¬to il gossip, ma soltanto maldicenze politiche. Le lin¬gue biforcute, in mancanza di spunti, hanno abbondato in sputi, profanando la salma. Devo ammettere, a denti stretti, che anche a me Andreot¬ti non piaceva.

Ai miei occhi egli rappresentava il peggio della peggior Democra¬zia cristiana, l'emblema del doppiogiochismo, dell'ambi¬guità: ciò che ha creato per de¬cenni i presupposti dello sface¬lo di cui ora soffriamo le conse¬guenze. Probabilmente, il mio non era un sereno giudizio, ma un rancoroso pregiudizio.

Sta di fatto che in lui vedevo il cam¬pione della politica all'acqua santa, più sensibile alle ragioni dello Stato vaticano che non a quelle della nostra vituperata Repubblica, mai diventata lai¬ca e pertanto rimasta indietro ri¬spetto ad altri Paesi europei, specialmente in materia di dirit¬ti civili.

Come persona, mi era invece simpatico. Educato, incapace di alzare la voce, mai infastidito dalle altrui opinioni, era il pro¬totipo del gentiluomo romano, l'esatto contrario del caciarone cui la commedia all'italiana de¬ve il proprio successo. I miei sentimenti sul suo conto gli era¬no ben noti. Nonostante li ester¬nassi per iscritto e in televisio¬ne, lo lasciavano però indiffe¬rente. D'altronde, era refratta¬rio a tutto, figuriamoci alle pas¬sioni di un giornalista.

Il giorno della mia nomina, nel 1989, a direttore dell' Euro¬peo , del quale era collaboratore fisso, titolare di una rubrica inti¬tolata Visti da vicino, Andreotti mi telefonò per darmi il benve¬nuto, rendendo meno amaro il mio impatto con la redazione che mi aveva accolto procla¬mando, così, tanto per gradire, uno sciopero durato un paio di mesi.

Per due anni e passa i rap¬porti professionali tra me e l'al¬lor¬a presidente del Consiglio furono cordiali, guastati da un so¬lo incidente, la vicenda Gladio, sulla quale pubblicammo un'inchiesta controversa, per lui indigeribile: lo imbarazzava il fatto che la rivista su cui firma¬va interventi settimanali lo ti¬rasse in ballo quale coprotago¬nista di uno scandalo. Come dargli torto?

Il premier mi invitò a Roma per trattare della questione. Lo raggiunsi a Palazzo Chigi. Attesi in anticamera qualche minu¬to, praticamente un'eternità per chi, come me, si aspettava d'essere investito da un uraga¬no. Quando la porta si spalan¬cò, mi alzai di scatto dalla pol¬trona, neanche avessi avuto una molla sotto il sedere. In quell'istante mi stupii di non es¬sere stato colpito da infarto e mi feci coraggio. Mi avvicinai solle¬citato da lui: «Si accomodi, di¬rettore». Il tono della voce era cortese.

Conversammo una decina di minuti, forse meno. Si informò circa l'andamento del giornale. Io intanto fremevo. Pensa¬vo: adesso, superati i prelimina¬ri, me ne dirà quattro. Macché, nemmeno una parola, come se la cosa non lo riguardasse più. Mi parve di cogliere sulle sue labbra affilate e marmoree un vago sorriso, o forse era solo una smorfia.

Mi salutò porgen¬domi la mano, subito ritraendo¬la. Me ne andai sbigottito. Non capivo perché mi avesse co¬stretto a scendere a Roma da Mi¬lano per poi non lamentarsi di nulla. Evidentemente si era ac¬contentato della premura con cui mi ero precipitato nel suo uf-ficio, distante 550 chilometri dal mio, per balbettare una mezza frase di scuse pasticcia¬te. Incidente chiuso.

Trascorsero alcuni anni, du¬rante i quali continuai a critica¬re la Dc, l'andreottismo, il Caf e l'ambaradan politico dell'epo¬ca in procinto di implodere sot¬to le bordate di Mani pulite. Ed ecco la bomba: Belzebù indaga¬to per mafia e mille altri reati de¬gni di Al Capone. Sembrava il canovaccio di un brutto roman¬zo, la sceneggiatura di un tele¬film di quart'ordine. Incredibi¬le, paradossale. Un uomo che era stato sette volte premier e 23 volte ministro, il personag¬gio più pote¬nte d'Italia che si im¬pasta con la feccia mafiosa e bacia Totò Riina, allo scopo di im¬pa¬dronirsi di un poterino ribut¬tante quale è quello della Pio¬vra? Non poteva che trattarsi del prodotto di una fantasia me¬diocre.

Scrissi un paio di commenti freddi, poi non me ne occupai più. Nel 1994 incontrai Paolo Ci¬rino Pomicino. Mi propose una cena riservata nella sua villa sul¬l'Appia antica con lui e Andreot¬ti, il quale aveva bisogno di par¬larmi. Accettai. Concordam¬mo tempi e modi e, una settima¬na dopo, mi ritrovai seduto a ta¬vola con i due leader democri¬stiani.

Nella circostanza non ero af¬fatto intimorito, semmai pieno di curiosità. La chiacchierata entrò subito nel cuore del pro¬blema: manco a dirlo, quello giudiziario che angustiava il senatore a vita (nominato tale da Francesco Cossiga, consapevo¬le dei guai del collega). Andreot¬ti raccontò per filo e per segno l'ingarbugliata vicenda.

Cal¬mo, lucido, sintetico, egli mi persuase dell'opportunità di in¬traprendere una campagna di stampa, lunga e sistematica, che colmasse un vuoto. Quale? L'apparato informativo nazio¬nale ( cartaceo e televisivo) enfa¬tizz¬ava i rintocchi petulanti del¬la campana accusatoria e igno¬rava perfino i trilli del campa¬nello difensivo. Uno sbilancia¬mento intollerabile.

Raccolsi la perorazione e av¬viai sul Giornale (poi anche su Libero) la pubblicazione di una serie martellante di articoli che mettevano in luce gli argomen¬ti a sostegno dell'innocenza di Andreotti. Della quale non du¬bitavo. Con tutti i giornalisti be¬neficati dalla Dc, quindi in debi¬to di gratitudine nei confronti dei dirigenti scudocrociati, allo¬ra non capivo perché avesse scelto proprio me per quella sa¬crosanta operazione: riequili¬brare le forze in campo giudizia¬rio, sbilanciate a favore della Procura. Un'idea col tempo me la sono fatta: Andreotti non si fi¬dava di nessuno, ma all'occor¬renza preferiva rivolgersi a un nemico vero piuttosto che a un amico falso. Oggi si scopre per¬ché.

 

 

VITTORIO FELTRI 9i49 giulio andreotti mo liviadfa53 giulio andreottidfa04 giu andreottiCIRINO POMICINO COSSIGA

Ultimi Dagoreport

friedrich merz donald trump starmer macron meloni von der leyen jd vance

DAGOREPORT - L’INCONTRO DI GIORGIA MELONI CON VANCE E VON DER LEYEN È STATO SOLO ''ACCIDENTALE'': È STATO POSSIBILE IN VIRTU' DELL’INSEDIAMENTO DI PAPA LEONE XIV (NON È STATA LA DUCETTA A CONVOCARE I LEADER, BENSI' SANTA ROMANA CHIESA) – LA "COMPASSIONE" DI TRUMP, CHE HA COINVOLTO LAST MINUTE "COSETTA" MELONI NELLA CHIAMATA CON MACRON, STARMER E MERZ – LE FAKE NEWS DI PALAZZO CHIGI PROPALATE DALLA STAMPA E MEDIA DI DESTRA COL SUPPORTO DEL “CORRIERE DELLA SERA”:  ALL’ORIZZONTE NON C’È MAI STATO ALCUN INVIO DI TRUPPE EUROPEE AL FIANCO DI KIEV CONTRO MOSCA. SOLO DOPO LA FIRMA DI UNA TREGUA, GRAN BRETAGNA E FRANCIA SONO A FAVORE DI UN INVIO DI TRUPPE, MA UNICAMENTE AL FINE DELLA SALVAGUARDIA DEI CONFINI UCRAINI, E COL FONDAMENTALE SUPPORTO INTELLIGENCE DELLA CIA - ALTRA MINCHIATA DELLA PROPAGANDA ALLA FIAMMA: NON E' MAI ESISTITA LA VOLONTÀ DI ESCLUDERE L’ITALIA DAL GRUPPO DEI ''VOLENTEROSI''. È LA "GIORGIA DEI DUE MONDI" STESSA A ESSERSI CHIAMATA FUORI, IN PREDA ALL'AMBIZIONE SBAGLIATA DI DIVENTARE LA "PONTIERA'' TRA STATI UNITI ED EUROPA, E PER EVITARE GUAI IN CASA CON IL SUO NEMICO PIU' INTIMO, MATTEO SALVINI...

giuliano amato

AMOR CH’A NULLO AMATO – IL RITRATTONE BY PIROSO DEL DOTTOR SOTTILE: “UN TIPO COERENTE E TUTTO D’UN PEZZO, UN HOMBRE VERTICAL? O UN SUPER-VISSUTO ALLA VASCO ROSSI, ABILE A PASSARE INDENNE TRA LE TURBOLENZE DELLA PRIMA REPUBBLICA, UOMO-OMBRA DI CRAXI, MA ANCHE DELLA SECONDA?” – ALCUNI PASSAGGI STORICI DA PRECISARE: AMATO NON SI CANDIDÒ NEL 2001 A CAUSA DI ALCUNI SONDAGGI-PATACCA SVENTOLATIGLI DA VELTRONI, CHE DAVANO RUTELLI IN VANTAGGIO SU BERLUSCONI – A FERMARE LA CORSA AL QUIRINALE DEL 1999 FU MASSIMO D’ALEMA, CHE LO SCARICÒ PER IL “NEUTRO” CIAMPI  - IL MANCATO VIAGGIO AD HAMMAMET E IL RAPPORTO CON GIANNI DE GENNARO...

ernesto galli della loggia giorgia meloni

DAGOREPORT - FAZZOLARI E' PER CASO IL NUOVO DIRETTORE DEL "CORRIERE"? - IN UNA PRIMA PAGINA CHE NASCONDE LE MENZOGNE DI GIORGIA MELONI, SPUTTANATA DA MACRON, BRILLA UN EDITORIALE VERGOGNOSO DI GALLI DELLA LOGGIA CHE SI DOMANDA: "SE LA GERMANIA (DI AFD) HA DAVVERO FATTO I CONTI CON IL SUO PASSATO NAZISTA. IN ITALIA, INVECE, UN PARTITO CHE PURE HA LE SUE LONTANE ORIGINI NEL FASCISMO GOVERNA DA TRE ANNI IN UN MODO CHE SOLO I COMICI (DUNQUE PER FAR RIDERE…) GIUDICANO UNA MINACCIA PER LA DEMOCRAZIA" - L’EX MAOISTA, POI TERZISTA, QUINDI BERLUSCONIANO, 5STELLE, INFINE MELONIANO  DEVE STUDIARE UN PO’, INVECE DI CAMBIARE PARTITO A OGNI CAMBIO DI GOVERNO. NEL DOPOGUERRA IN GERMANIA, GLI EX NAZISTI RIENTRARONO NEL CONTESTO SOCIALE E OTTENNERO POSTI DI POTERE NELLE INDUSTRIE PIÙ AVANZATE FINO ALLA CONTESTAZIONE DEL '68, SIMBOLEGGIATA DALLO SCHIAFFONE RIFILATO DALLA STUDENTESSA BEATE KLARSFELD AL CANCELLIERE (EX NAZISTA) KURT KIESINGER – IN ITALIA LA DESTRA ALLA FIAMMA DI FINI FU SDOGANATA DAL GOVERNO BERLUSCONI, DOVE IL MINISTRO DELLA GIOVENTU' ERA GIORGIA MELONI. COSA CHE IL GALLI OMETTE ESSENDO ORA COLLABORATORE DEL GOVERNO DUCIONI PER IL SETTORE SCUOLA...

andrea orcel unicredit

DAGOREPORT - IL RISIKO DELLE AMBIZIONI SBAGLIATE - COME PER IL GOVERNO MELONI, ANCHE ANDREA ORCEL NON IMMAGINAVA CHE LA STRADA PER LA GLORIA FOSSE TUTTA IN SALITA - IL RAFFORZAMENTO IMMAGINATO DI UNICREDIT, PER ORA, È TUTTO IN ARIA: IL MURO DI GOLDEN POWER DELLA LEGA HA RESO MOLTO IMPROBABILE LA CONQUISTA DI BANCO BPM; BERLINO RITIENE “INACCETTABILE” LA SCALATA ‘’NON AMICHEVOLE” DI UNICREDIT ALLA SECONDA BANCA TEDESCA COMMERZBANK; LE MOSSE DI NAGEL E DONNET GLI DANNO FILO DA TORCERE; CREDIT AGRICOLE, CHE HA UN CONTRATTO IN SCADENZA PER LA GESTIONE DEL RISPARMIO CHE RACCOGLIE UNICREDIT, HA UN ACCORDO CON BPM, DI CUI E' PRIMO AZIONISTA. E IL CDA DI UNICREDIT NON È PIÙ QUELLA FALANGE UNITA DIETRO AL SUO AZZIMATO CONDOTTIERO. COME USCIRE DAL CUL-DE-SAC? AH, SAPERLO…

orcel giorgetti

DAGOREPORT – GIORGETTI SI CONFERMA UN SUPPLÌ CON LE UNGHIE: ALL’INCONTRO CON I RAPPRESENTANTI DI UNICREDIT PER LA MODIFICA DEL DECRETO GOLDEN POWER CHE BLINDA L'OPS SU BPM, BANCA CARA ALLA LEGA, CHI HA INCARICATO IL MINISTRO DI CAZZAGO? STEFANO DI STEFANO, DIRETTORE GENERALE DELLE PARTECIPAZIONI DEL MEF, MA ANCHE COMPONENTE DEL CDA DI MPS. INSOMMA, LA PERSONA GIUSTA AL POSTO GIUSTO... – CALTA C’È: LA GIRAVOLTA DEL CEO DI MPS, LUIGI LOVAGLIO, SULL'OPERAZIONE MEDIOBANCA-BANCA GENERALI…