NIC, IL PRINCIPE DEL FORO – IL MITOLOGICO PIETRANGELI E QUEL “CENTRALE” CHE OGGI PORTA IL SUO NOME

Gianni Clerici per "la Repubblica"
Ho sempre invidiato i biografi. Non ho mai avuto il talento di occuparmi di una persona e trasformarla in personaggio senza cadere nel genere del racconto, ovviamente travisando la verità. Così, più volte, ho riluttato a iniziare una biografia di Nicola Pietrangeli che mi veniva chiesta, sinché non l'ha scritta Lea Pericoli (C'era una volta il Tennis, Rizzoli).

Una donna che, per ragioni che ancora ci sfuggono - ne abbiamo disquisito con Nicola - nessuno di noi due ha tentato di sposare, con sicuro danno per la nostra vita sentimentale. Riletta la biografia, ne ho parlato con Nicola, ricordando insieme il suo legame con Roma, e di Roma il Foro Italico, e del Foro la terra rossa. Nicola è certamente molto romano, come si può diventare per scelta, in una città che ci accoglie, dopo aver lasciato un altro paese per circostanze drammatiche.

Era nato a Tunisi, Nicola, da un papà molto sportivo, buon tennista e altoborghese, Giulio, e da Mamma Anna, di grande famiglia, i De Yourgaince, fuggiti miracolosamente dalla Russia ai tempi in cui i ricchi venivano uccisi. Quando, alla fine di un'altra guerra criminale, i Pietrangeli ritornarono a Roma, Nicola, a cinque anni, iniziò a esser chiamato dai suoi amichetti Er Francia. Ed è stato per una scelta che sia rimasto italiano, e non tunisino, e non francese, come un suo grande amico e grande tennista, Pierre Darmon, che scelse Parigi.

Ma lasciatemi dire del nostro primo incontro, sui campi del vecchio Club Parioli, a Viale Tiziano. Con l'incoscienza dei miei diciotto anni credevo che sarei diventato un campione, e mi trovai di fronte, in quel torneo, un bel ragazzino paffuto, del quale a sorprendermi fu soprattutto l'età, sedici anni. Iniziato il match con una qualche sufficienza, mi ritrovai presto in svantaggio, e, metà incredulo e metà disperato, misi in campo tutto il mio orgoglio, tutte le mie doti di attaccante, di fronte al bambino il cui passante di rovescio era indecifrabile, così come sarebbe rimasto tutta la vita, e per ben altri avversari.

Grazie ai tre anni di differenza finii per vincere, ma la raccolta del mensile Il Tennis Italiano reca ancora una mia nota che dice: «Contro un tipo dotato di un simile rovescio temo non mi riuscirà mai più di farcela». Per fortuna non dovevo mai più incontrarlo, nel corso della mia fallimentare carriera sportiva terminata per una grave malattia, proprio quando mi sarei trovato a dirigere lui - cosa impossibile - e il mio ex partner di doppio - altro fenomeno - Orlando Sirola, nella semifinale di Davis in cui, per la prima volta, battemmo gli Usa.

Ma, grazie al mio arruolamento tra i giornalisti, fui il solo testimone, tra quei provinciali degli Italiani, a presenziare ai suoi due successi agli Internazionali e ai due Roland Garros, che permisero di definirlo il Numero Uno mondiale sul rosso.
Agli Internazionali Nicola esordì nel 1952, a diciannove anni, smarrendosi in primo turno. Ma, di anno in anno, progredì sinché, nel 1957, riuscì a trafiggere in semi il grande attaccante americano Budge Patty, e in finale a domare un altro grande italiano specialista del rosso, Beppe Merlo.

L'anno seguente Nic fu battuto in finale dal mostruoso australiano Mervyn Rose, capace addirittura di doppiare il successo al Roland Garros. La sua seconda, e più straordinaria vittoria, negli Internazionali, venne curiosamente lontana da Roma, in quella Torino per una volta eletta Capitale, nel 1961, quando dominò addirittura gli australiani Emerson e Laver (23 Slam in due!) lasciando loro un solo set.

Ma immaginate che fece Nic dopo il trionfo? Una partita di calcetto insieme a noi, amici e spettatori. Simile dettaglio sottolinea il suo carattere all'apparenza giocoso sino ad essere fanciullesco, in realtà disinvolto sino alla saggezza, capace di grande umanità e determinazione non inferiore a quella tennistica, come la volta in cui si oppose a mezza Italia, che voleva impedire la nostra trasferta in Davis, quasi gli avversari cileni schierassero in singolare il dittatore Pinochet.

Anche di Coppa Davis Nicola ha un record, cosi come i suoi 50 match del Foro. È record mondiale di Davis, il suo, un primato di 78 vittorie a 32 in singolo, e di 42 a 12 in doppio. Ciò a cui Nic tiene forse di più è la denominazione del Campo Centrale, altrimenti detto Stadio della Pallacorda, che gli venne assegnata sette anni or sono. E, in realtà, l'unico monumento, o via, o edificio, che rechi il nome di qualcuno che ancora sia vivente, un privilegio che Pietrangeli ritiene superiore all'elezione nella Hall of Fame del tennis. Tanto da dichiarare che, se un giorno morisse, se mai decidesse per il fuoco, vorrebbe che le sue ceneri fossero sparse nel mezzo del Centrale, il campo di Sua proprietà.

 

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