
BREXIT TRAGEDY - FARAGE CHE LASCIA LA GUIDA DELLO UKIP E’ SOLO LA PUNTA DELL’ICEBERG: LA POLITICA BRITANNICA E’ COMPLETAMENTE SOTTOSOPRA - I CONSERVATORI SONO ALLO SBANDO DOPO LA DISFATTA DI CAMERON, I LABURISTI CON CORBYN STANNO MESSI ANCORA PEGGIO E ORA ANCHE L’UKIP DEVE TROVARSI UN LEADER
1.NUOVA SCOSSA A LONDRA: FARAGE SE NE VA
F.Cav. per il “Corriere della Sera”
Via i volti vecchi. Ma i nuovi dove sono? La Brexit fa strage di leader. E l' ultimo a lasciare è Nigel Farage. «Ho raggiunto il mio obiettivo di portare il Regno Unito fuori dall' Europa, voglio tornare alla vita normale». Pensionamento anticipato del cinquantaduenne vincitore del referendum ma niente dimissioni dall' Europarlamento. È la terza volta che molla la guida dello Ukip.
NIGEL FARAGE JEAN CLAUDE JUNCKER
Le prime due erano state ritirate tattiche. Questa volta, dice, non c' è spazio per i ripensamenti. Fatto sta che l' annuncio di ieri mattina non era per niente programmato. Forse Nigel Farage lo aveva anticipato al ristretto e privato circolo del «Brexit party» nel pomeriggio di domenica dove si era presentato, con mocassini dipinti di bandiera inglese, al cospetto di Rupert Murdoch, padrone di Sky, editore del Times e del Sun . Le ragioni del passo indietro sono ufficialmente nobili.
Meglio andarsene con l' aureola del trionfatore, piuttosto che vivacchiare. Però non è sufficiente a spiegarne la scelta. Che può avere motivazioni non confessabili.
Lo Ukip è un partito di protesta che è nato per dare fastidio ai conservatori e ha distrutto i laburisti raccogliendone masse di simpatizzanti delusi. Demagogia, estremismo, la bandiera anti immigrati, eurofobia e punte di razzismo, hanno suggestionato e attirato consensi a destra e a sinistra.
Nigel Farage, ex broker della City (anni Novanta) con business a Milano quando operava per conto della sua società di investimenti, è stato un abile manovratore. Ha costruito una macchina politica che alle ultime elezioni ha preso 3 milioni di voti ma solo un parlamentare per via della legge elettorale maggioritaria.
Ora che il divorzio dall' Unione ha ricevuto il via libera, gli slogan servono poco, servono progetti di governo. E il compito allora diventa arduo. «Serve un primo ministro della Brexit». È l' ultima sua parola. A chi passa la mano non si sa. Lo Ukip, sotto sotto, non è così diverso dagli altri partiti.
Ha intessuto strette relazioni con i movimenti di protesta di mezza Europa (diversi i suoi viaggi segreti milanesi, per conoscere da vicino Gianroberto Casaleggio, lo ha ammesso lo stesso Farage in un articolo del gennaio 2015 per The Spectator ) e ha allargato i confini della sua popolarità.
Ma dentro allo Ukip i rapporti non erano e non sono poi così idilliaci fra chi vorrebbe usare il bastone e chi rivendica la moderazione. Nigel Farage è rimasto sempre sulla linea di confine. Scivolando ora da una parte ora dall' altra. Mettendosi in rotta di collisione con l' unico parlamentare Ukip a Westminster, Douglas Carswell, ex conservatore, che ha accolto le dimissioni del leader con le faccine del sorriso, cinguettate sulle reti sociali.
L' addio non sarà indolore. A meno che non si tratti dell' ennesimo arrivederci. Vedremo.
2.LONDRA ANNO ZERO
Fabio Cavalera per il “Corriere della Sera”
Chi perde se ne va. E chi vince pure. La spiegazione è paradossalmente semplice.
Quelli che hanno voluto il referendum e ne sono usciti con le ossa rotte non possono restare in sella per una questione di dignità. Che credibilità hanno? Quelli che invece hanno cavalcato il referendum e portato a casa la Brexit, sotterrati da tradimenti e invidie, non sanno proprio che pesci pigliare e lasciano il campo.
Londra anno zero. L' élite di Westminster è rottamata (usiamolo il tanto vituperato verbo) e paga il risultato del 23 giugno. In fin dei conti era ciò che desideravano gli elettori. L' Europa, per loro, era solo il pretesto di mandare al diavolo sia chi è maggioranza sia chi è all' opposizione, obbligandoli a mostrare la loro debole sostanza. Obiettivo centrato. Il re è nudo.
La fotografia è una landa desolata di macerie: il governo ha i piedi fuori da Downing Street, i conservatori cercano un nuovo leader, i laburisti sono collassati se non moribondi, lo Ukip ingoia l' addio di Nigel Farage e deve riscrivere la sua agenda populista, estremista, demagogica ma, riconosciamolo, efficace.
La consultazione è stata un fantastico esercizio di democrazia però se David Cameron avesse saputo all' inizio del 2013, quando decise di cavalcare l' onda euroscettica per superficiale calcolo di potere, probabilmente avrebbe preso altre strade. Passerà alla Storia per il primo ministro che, senza saperlo, ha scoperchiato il vaso di Pandora da cui è fuoriuscito di tutto.
Westminster, dismesse le vestigia di grandezza e di fair play politico, è un covo di trame e di gossip in cui ogni colpo è consentito. I conservatori se le tirano addosso gli uni contro gli altri. I laburisti arrivano quasi alle mani. E l' unico rappresentante dello Ukip (nonostante tre milioni di voti nel 2015), l' ex tory Douglas Carswell, ha già il problema di respingere i veleni che gli piovono addosso dagli Ukip della prima ora.
La classe dirigente politica è in braghe di tela. Le maschere sono cadute. Gli amici di Boris Johnson scaricano fango sugli amici di Michael Gove, il ministro della Giustizia che gli ha voltato le spalle. La sorella di Boris accusa Michael di essere «uno psicopatico». E Michael replica assoldando il papà di Boris nelle schiere dei suoi fan. Sciabolate feroci.
Poi, entrambi cercano un appiglio per bloccare la scalata di Theresa May e di Andrea Leadsom, usando come clava contro le due signore il pettegolezzo dei giornali che la prima è malata di diabete (può essere primo ministro chi ha problemi del genere?) e che la seconda ha nell' armadio lo scheletro di alcune dichiarazioni dei redditi sospette.
Naturalmente le due signore si scambiano «cortesie» da pub rivendicando l' eredità di Margaret Thatcher. «Non perdiamo la testa» strilla la copertina del settimanale conservatore di riferimento, The Spectator . Via Cameron, via Johnson, via Gove (forse).
Crollano le certezze, emergono le vanità di un mondo tory che si deve curare in fretta. Ma attorno a chi?
Non esiste una figura forte nel fronte Brexit, neppure nel fronte opposto. Chi si candida a Downing Street non è un fuoriclasse di idee e progetti. La favorita è Theresa May, lo diranno i 150 mila iscritti entro il 9 settembre. Se non altro il processo è cominciato.
Penosa è l' agonia laburista. Il gruppo a Westminster ha sfiduciato Jeremy Corbyn che a dispetto dei santi non medita affatto di andarsene. Le vecchie correnti, amici e nemici di Blair, sono superate.
look della regina con tony blair
Il variegato universo di movimenti che ha spinto Corbyn è esploso. C' è attorno al numero uno il cerchio magico dei duri e puri. Che lo tiene su, imponendogli le scuse pubbliche (adesso) per avere definito «nostri amici» gli Hezbollah e per avere equiparato Israele all' Isis. Poi satelliti impazziti. Per il centrosinistra britannico la Brexit è una catastrofe.
E non è finita qui. In questo quadro si sta per abbattere la relazione Chilcot, domani, che racconterà fatti e misfatti del conflitto in Iraq, della scelta compiuta da Tony Blair nel 2003, delle sue promesse a Bush. C' è chi sussurra che fra i laburisti qualcuno avanzerà la proposta di accusare l' ex leader di crimini di guerra. Ultimo botto in una Westminster che è a pezzi. La ricostruzione sarà lunga.