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Andrea Bonanni per La Repubblica

Alla fine, messo con le spalle al muro, Enrico Letta ha firmato l'appello degli Undici membri del G20 che condannano Assad per aver fatto uso di armi chimiche contro la popolazione civile, criticano «la paralisi» dell'Onu, esigono «una forte risposta internazionale », e «sostengono gli sforzi degli Stati Uniti e di altri Paesi per rinforzare il divieto», senza citare espressamente l'ipotesi di una ritorsione armata.

A quanto pare, la pressione americana sugli alleati a margine del G20 di San Pietroburgo è stata fortissima. La piccola carota, a fronte del bastone usato per sospingere i più riottosi, offerta da Obama e soprattutto da Hollande, è l'impegno ad aspettare il rapporto degli ispettori Onu prima di attaccare. Un rapporto che però, avverte il ministro degli esteri francese, potrebbe «lasciare delusi», perché si limiterà a confermare l'uso dei gas ma non dirà da chi sono stati lanciati.

Il presidente del Consiglio italiano esprime «delusione» per le divisioni sulla Siria, e riconosce di aver sottoscritto l'appello per non ripetere «i disastri di dieci anni fa», quando americani ed europei si divisero sulla guerra in Iraq. Ma quanto debole sia la sua convinzione lo dimostra il fatto che, come lui stesso ha riferito in conferenza stampa, quando parla con Putin cita l'appello del Papa ad evitare il ricorso alla forza: «Ho citato con grande forza la lettera del Papa: parole che condannano, che chiedono soluzioni evidenti».

E comunque ribadisce che il nostro Paese non interverrà senza un chiaro mandato delle Nazioni Unite.
Insomma l'Italia si barcamena. Ma non è la sola. Quando volano gli stracci, come è successo al G20 di San Pietroburgo, sono sempre i più deboli e i più insicuri a rimetterci di più. E infatti l'Europa esce a pezzi dal vertice dei grandi Paesi industrializzati.

Gli europei erano arrivati a San Pietroburgo già divisi in due, con la Francia favorevole ad una ritorsione e gli altri sostanzialmente contrari. Ma ora escono dal vertice addirittura divisi in tre: da una parte Parigi, che è pronta a far decollare i Mirage, in mezzo Londra, Roma e Madrid che esprimono «sostegno» agli Stati Uniti e alla Francia, e sul fronte opposto la Germania di Angela Merkel che con l'Olanda non ha firmato l'appello degli Undici.

Toccherà oggi ai ministri degli esteri della Ue, riuniti a Vilnius per un consiglio informale, cercare di mettere insieme i cocci del disastro siriano.
Angela Merkel, per personalità, per peso specifico del Paese che rappresenta e, non ultimo, per considerazioni elettorali, non si è piegata alle pressioni americane.

Ma il risultato è che, a San Pietroburgo, la Germania si è trovata isolata rispetto agli altri europei ed ha dovuto giustificare il proprio rifiuto con la preoccupazione di non pregiudicare una posizione comune dell'Ue. Oggi, a Vilnius, sarà il ministro degli esteri tedesco, Guido Westerwelle, a dover cercare di attenuare le posizioni degli europei e cucire una qualche forma di consenso.

Emma Bonino, che nei giorni scorsi si era espressa con forza a proposito del pericolo che un attacco americano comporterebbe per la stabilità dell'intera regione mediorientale, rischia di trovarsi spiazzata dalla mossa di Letta a San Pietroburgo. Anche la ministra degli esteri è ben consapevole della necessità di «non allargare l'Atlantico», come ha detto il primo ministro, evitando qualsiasi contrapposizione frontale con gli Stati Uniti.

Tuttavia la titolare della Farnesina sa bene che, sul fondo, la posizione dell'Italia resta chiara: nessun intervento da parte nostra senza un mandato Onu. E dunque verosimilmente oggi si batterà per difendere questa posizione in seno ai Ventotto.

Fortunatamente, visto che si tratta di un Consiglio informale, le conclusioni non saranno affidate ad un documento scritto ma solo ad una dichiarazione della presidente: l'alto rappresentante per la politica estera dell'Ue, Catherine Ashton. E una dichiarazione verbale offre maggiori margini per le acrobazie dialettiche necessarie a rimettere insieme i cocci europei.

La Ashton dovrà così esprimere comprensione per la posizione americana, condanna per il regime di Assad, invito ad aspettare comunque il rapporto degli ispettori Onu, cautela sulle ipotesi di ritorsione armata e forte sostegno per una «soluzione politica» che diventa ogni giorno più lontana. Con una simile scaletta, sarà difficile essere credibili. Ma questa è una qualità che, ormai, nessuno si aspetta dall'Europa. Tanto meno gli europei.

 

 

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