OBAMA SI ATTACCA ALLE MINORANZE: NERI, ISPANICI, GAY E ABORTISTI - ORA BISOGNA VEDERE SE LE TANTE, PICCOLE MINORANZE SARANNO PIÙ FORTI DELLA “GRANDE MINORANZA BIANCA” REPUBBLICANA - I PRIMI AD AVERCELA CON IL PRESIDENTE SONO I SINDACATI DELLA SCUOLA PUBBLICA, CHE PRENDONO LA PROIEZIONE DI UN FILM SUI FALLIMENTI DELL’ISTITUZIONE SCOLASTICA COME PRETESTO PER ATTACCARE BARACK…

1 - ABORTISTI, GAY, LATINOS È LA CONVENTION DELLE MINORANZE...
Christian Rocca per il "Sole 24 Ore"

«Yes, we plan». I delegati della Convention democratica sono stati accolti da decine e decine di militanti in t-shirt rosa di Planned Parenthood, la più importante delle associazioni americane che fornisce servizi di «salute riproduttiva» (formula politicamente corretta per evitare di dire che aiuta le donne ad abortire). La maglietta rosa dei filo-abortisti gioca sullo slogan 2008 di Barack Obama, «yes we can», per ricordare che sì, loro «pianificano la condizione di genitore» (altra metafora in neolingua orwelliana).

Il programma ufficiale del Partito democratico, approvato ieri mattina, conferma che gli obamiani, al contrario degli avversari conservatori, sostengono in modo inequivoco la sentenza della Corte Suprema "Roe contro Wade" del 1973 che garantisce alle donne il diritto di abortire in modo «legale e sicuro» (ai tempi di Clinton nel programma si diceva che l'aborto oltre a essere «legale e sicuro» doveva essere anche «raro», qui no).

La Platform approvata ieri è contraria a ogni limitazione del diritto di scelta della donna, compresa la pratica dell'aborto tardivo, o partial birth abortion, vietato in quasi tutto il mondo (e dal 2003 anche in America con voto bipartisan e conferma della Corte Suprema). Un incontro con due deputati democratici anti abortisti ha provato a spiegare come si possa conciliare essere pro life in un partito radicalmente pro choice. Ma non c'è via d'uscita: aborto e diritti delle donne sono il centro emotivo del Partito democratico.

Se i repubblicani sono accusati di essere il partito della grande minoranza bianca, il partito di Obama è un rumoroso arcipelago di piccole minoranze e di gruppi di interesse, specialmente in questa fase di appannamento dell'immagine del presidente.

L'unità del partito, ha scritto ieri il New York Times, si fonda sul timore che i repubblicani possano riconquistare la Casa Bianca e adottare un programma che smantelli il welfare state costruito negli anni Sessanta più che, come era accaduto quattro anni fa, sulla fiducia nelle capacità di Obama o in una sua visione coerente della società.

La sinistra del partito considera Obama troppo incline al compromesso e piegato agli interessi di Wall Street, ma i moderati temono che abbia indispettito la business community e allontanato gli elettori indipendenti. Il presidente, chiedendo aiuto a Clinton, proverà a riscrivere la sceneggiatura di queste elezioni, ma intanto si è affidato ai caucus, all'usato sicuro delle tante comunità che costituiscono la spina dorsale del partito.

Neri e ispanici; donne, gay e abortisti; sindacati e indignati contro Wall Street; sono questi i pilastri del Partito democratico, ma anche vantaggi competitivi sui repubblicani. «Se sei un martello pensi che ogni cosa sia un chiodo - ha sintetizzato con un paragone ardito ma efficace la stratega repubblicana Mary Matalin, moglie dell'architetto delle vittorie clintoniane James Carville - se sei un liberal pensi che tutto giri intorno alla razza, all'identità sessuale e alla classe».

2 - E UN FILM SCATENA LA FURIA DEI SINDACALISTI...
Massimo Gaggi per il "Corriere della Sera"

Una ragazza madre cerca disperatamente di evitare che sua figlia cresca in una scuola che va a pezzi. Aiutata da una insegnante, cerca di mobilitare altri genitori e gli stessi professori per cambiare le cose. Tutto inutile, tentativi falliti. Soprattutto per resistenze sindacali. Nella sala Epicentre dove viene proiettata un'anteprima di «Won't Back Down» (non vogliamo tornare indietro), film-denuncia che uscirà nei cinema Usa il 28 settembre, la gente si commuove.

Ma fuori ci sono i picchetti e le manifestazioni di protesta dei sindacalisti della scuola. Irritati dal film in sé, ma soprattutto dal luogo scelto per la proiezione: una sala davanti all'arena della convention democratica di Charlotte, nel bel mezzo del «villaggio della politica» costruito dal partito di Barack Obama.

E non si può dire che la Casa Bianca non c'entri nulla. Le confederazioni nazionali avevano già contestato la scelta di tenere le assise democratiche in uno Stato, il North Carolina, dove è vietata la contrattazione collettiva del pubblico impiego. L'Afl-Cio, che 4 anni fa, a Denver, era presente in forze e aveva dato 8 milioni di dollari, qui non c'è e non ha versato un solo dollaro (ma continuerà a sostenere Obama, finita la convention). Quanto al film, due dei più stretti collaboratori del presidente (Valerie Jarrett e David Plouffe) hanno valutato la cosa senza porre veti e lasciando la decisione finale sulla proiezione al direttore politico della manifestazione, Patrick Gaspard, che ha dato via libera.

Un insulto per un sindacato, quello degli insegnanti, che da oltre mezzo secolo è la «fanteria» delle campagne elettorali democratiche, alle quali partecipa con decine di migliaia di volontari. Forti di questo ruolo, però, le «union» si sono fin qui sentite in diritto di opporsi ai tentativi del governo di riformare il sistema pubblico dando più spazio alle «charter school» a gestione privata, e introducendo più meritocrazia con un sistema di valutazione dei risultati, le politiche retributive e la possibilità di licenziare gli insegnanti peggiori.

Obama fin qui si è barcamenato, elogiando gli sforzi degli insegnanti, ma chiedendo anche più meritocrazia. E quando la sua campagna ha preparato un documentario («The Road We've Traveled») lo ha affidato a Davis Guggenheim, il regista di «Waiting for Superman», un documentario sui fallimenti della scuola pubblica, demonizzato l'anno scorso dai sindacati Usa.

«Questo film è anche peggio» accusa Randi Weingarten, la presidente della potente American Federation of Teachers, che incontro a un seminario di Google alla convention. «I problemi descritti dal film, intendiamoci, sono reali. Ma il ruolo del cattivo nel film di Daniel Barnz tocca al sindacato e questo è ingiusto: io conosco solo insegnanti che sono anche loro vittima del cattivo funzionamento della scuola. Ci vivono dentro e fanno il possibile. Non sono dei privilegiati, è gente che fa un lavoro difficile».

Poco più in là Kathleen Sebelius, ministro della Sanità e degli Affari sociali del governo Obama, mi dà una risposta più aperta e non critica il film: «Il problema, esiste, ci sono riforme che non siamo riusciti a far decollare, dobbiamo impegnarci tutti di più». La Weingarten se ne va scuotendo la testa, preoccupata: «‘‘Won't Back Down'' non è un documentario che vedono in pochi. È una produzione di Hollywood con al centro un'attrice (Maggie Gyllenhaal, del «World Trade Center» di Oliver Stone) nota per il suo impegno politico a sinistra.

 

BARACK OBAMA BARACK OBAMA A BOCCA APERTA BARACK OBAMA Barak ObamaObamaBILL CLINTON E BARACK OBAMA SU UN CAMPO DI GOLF BILL CLINTON E BARACK OBAMABARACK OBAMA BILL CLINTON

Ultimi Dagoreport

roberto vannacci matteo salvini giorgia meloni

DAGOREPORT - UNO SPETTRO SI AGGIRA MINACCIOSO PER L'ARMATA BRANCA-MELONI: ROBERTINO VANNACCI - L’EX GENERALE DELLA FOLGORE STA TERREMOTANDO NON SOLO LA LEGA (SE LA VANNACCIZZAZIONE CONTINUA, ZAIA ESCE DAL PARTITO) MA STA PREOCCUPANDO ANCHE FRATELLI D’ITALIA - IL RICHIAMO DEL GENERALISSIMO ALLA DECIMA MAS E ALLA PACCOTTIGLIA DEL VENTENNIO MUSSOLINIANO (“IO FASCISTA? NON MI OFFENDO”)  ABBAGLIA LO “ZOCCOLO FASCIO” DELLA FIAMMA, INGANNATO DA TRE ANNI DI POTERE MELONIANO IN CUI LE RADICI POST-MISSINE SONO STATE VIA VIA DEMOCRISTIANAMENTE “PETTINATE”, SE NON DEL TUTTO SOTTERRATE - IL PROGETTO CHE FRULLA NELLA MENTE DI VANNACCI HA COME TRAGUARDO LE POLITICHE DEL 2027, QUANDO IMPORRÀ A SALVINI I SUOI UOMINI IN TUTTE LE CIRCOSCRIZIONI. ALTRIMENTI, CARO MATTEO, SCENDO DAL CARROCCIO E DO VITA AL MIO PARTITO - INTANTO, SI È GIÀ APERTO UN ALTRO FRONTE DEL DUELLO TRA LEGA E FRATELLI D’ITALIA: LA PRESIDENZA DEL PIRELLONE…

berlusconi john elkann

FLASH! – “AHI, SERVA ITALIA, DI DOLORE OSTELLO...”: DA QUALE FANTASTICA IPOCRISIA SPUNTA LA FRASE “MESSA IN PROVA” PER LIQUIDARE IL PATTEGGIAMENTO DI JOHN ELKANN, CONDANNATO A 10 MESI DI LAVORO DAI SALESIANI? - QUANDO TOCCÒ AL REIETTO SILVIO BERLUSCONI DI PATTEGGIARE CON LA GIUSTIZIA, CONDANNATO A UN ANNO DI LAVORO PRESSO UN OSPIZIO DI COLOGNO MONZESE, A NESSUNO VENNE IN MENTE DI TIRARE FUORI LA FRASE “MESSA IN PROVA”, MA TUTTI TRANQUILLAMENTE SCRISSERO: “SERVIZI SOCIALI”…

bomba doha qatar trump netanyahu epstein ghislaine maxwell

DAGOREPORT - COME MAI DONALD TRUMP,  PRESIDENTE DELLA PIÙ GRANDE POTENZA PLANETARIA, NON È NELLE CONDIZIONI DI COMANDARE SUL PREMIER ISRAELIANO BENJAMIN NETANYAHU? - COME E' RIUSCITO "BIBI" A COSTRINGERE L’IDIOTA DELLA CASA BIANCA A NEGARE PUBBLICAMENTE DI ESSERE STATO PREAVVISATO DA GERUSALEMME DELL'ATTACCO CONTRO ALTI ESPONENTI DI HAMAS RIUNITI A DOHA? - DATO CHE IL QATAR OSPITA LA PIÙ GRANDE BASE AMERICANA DEL MEDIO ORIENTE, COME MAI LE BOMBE SGANCIATE VIA DRONI SUI VERTICI DI HAMAS RIUNITI A DOHA SONO RIUSCITE A PENETRARE IL SISTEMA ANTIMISSILISTICO IRON DOME ('CUPOLA DI FERRO') DI CUI È BEN DOTATA LA BASE AMERICANA? - TRUMP ERA STATO OVVIAMENTE AVVISATO DELL’ATTACCO MA, PUR CONTRARIO A UN BOMBARDAMENTO IN CASA DI UN ALLEATO, TUTTO QUELLO CHE HA POTUTO FARE È STATO DI SPIFFERARLO ALL’EMIRO DEL QATAR, TAMIN AL-THANI - SECONDO UNA TEORIA COMPLOTTISTICA, SOSTENUTA ANCHE DAL MOVIMENTO MAGA, NETANYAHU AVREBBE IN CASSAFORTE UN RICCO DOSSIER RICATTATORIO SUI SOLLAZZI SESSUALI DI TRUMP, FORNITO ALL’EPOCA DA UN AGENTE DEL MOSSAD ''SOTTO COPERTURA'' IN USA, TALE JEFFREY EPSTEIN...