TRASPARENZA COL CULO DEGLI ALTRI - PERCHÉ LETTA, ALFANO E MOLTI MINISTRI NON HANNO RESO PUBBLICO LO STATO PATRIMONIALE DEI CONIUGI? CHE ABBIANO INTESTATO QUALCOSINA A LORO?

Susanna Turco per "l'Espresso"

L'effetto è analogo a quello sortito dall'arrivare finalmente alla grande grigliata di ferragosto, e trovare sulla brace solo salsicce rinsecchite: per carità, da mangiare c'è, ma insomma. Così, la grande "operazione trasparenza", varata da Monti ma realizzata sotto il governo Letta, per quel che riguarda la pubblicazione on line dei redditi, almeno a livello di governo, lascia un po' a desiderare.

Dopo tante raccomandazioni, comprese lettere e slogan come "dobbiamo essere una casa di vetro", infatti, la metà dei ministri ha preferito fermarsi a metà: pubblicare i propri dati personali e, invece, occultare quelli di mogli (o mariti), fratelli, genitori e figli, trincerandosi dietro a uno scudo che in burocratese si chiama "Dichiarazione di negato consenso alla pubblicazione dei dati".

In pratica, obbligati a pubblicare i propri redditi dal decreto varato a marzo da Monti in limine mortis del suo governo, 11 ministri su 21 hanno optato per la versione light della norma. Si sono limitati infatti, a dar conto dei propri stipendi, proprietà, titoli, partecipazioni in società, quote azionarie.

Ma hanno evitato accuratamente di mettere in rete, invece, gli introiti e i possedimenti che riguardano il coniuge, e tutti i parenti fino al secondo grado: la norma, in effetti, stabilisce che dovrebbero essere pubblici anche proventi e proprietà di questi ultimi, ma solo "ove gli stessi vi consentano". E il consenso, per i parenti di undici ministri su ventuno, è stato negato. Come risulta dai dati raccolti da Openpolis per l'Espresso, peraltro, a farlo sono state figure centrali: il premier Enrico Letta, il vice Angelino Alfano, il ministro del Lavoro Giovannini, il titolare della Giustizia Annamaria Cancellieri, fra gli altri.

L'effetto, a farsi un giro tra i siti istituzionali che ospitano i redditi, è un po' paradossale. Enrico Letta, precisissimo, mette in rete tutte le dichiarazioni del caso, da cui si desume che guadagna 125 mila euro e non possiede case, auto, barche, quote azionarie, imprese, insomma alcunché; ma poi, l'ultimo rigo della dichiarazione rimanda al link del famoso scudo.

"Il sottoscritto on.le Enrico Letta, nella qualità di presidente del consiglio dei ministri, dichiara che la moglie Gianna Fregonara, i genitori Giorgio Letta e Anna Banchi, il fratello Vincenzo Letta, non hanno dato il consenso alla pubblicazione della dichiarazione patrimoniale e della dichiarazione dei redditi". Toccherà dunque solo supporre che, per esempio, la casa a Testaccio in cui vive, così come l'auto con la quale si è recato da Napolitano per accettare il mandato di premier, siano proprietà della moglie, giornalista del Corriere della Sera.

Stessa scena per Angelino Alfano. "Il sottoscritto on.le Avv. Angelino Alfano dichiara che la moglie Tiziana Miceli, i genitori Angelo Alfano e Calogera Sciumé, il fratello Alessandro Alfano, non hanno dato consenso alla pubblicazione"; circostanza peraltro curiosa, perché poi della signora Alfano, avvocato civile ad Agrigento, si sa da anni che guadagna più del marito (229 mila euro contro i 168 di lui, nel 2010), e che possiede fra l'altro un appartamento di 11 vani nel centro di Palermo e vari terreni a Sant'Angelo Muxaro: e tutto questo si sa perché in passato è stato proprio Alfano ad allegare volontariamente da parlamentare la dichiarazione dei redditi della moglie alla propria.

Scudo anche per il ministro dell'Integrazione Cecile Kyenge, la quale dichiara che "il marito Domenico Grispino, le sorelle Kapya Kyenge e Kabulo Nathalie Kyenge non danno il proprio consenso alla pubblicazione della rispettiva situazione patrimoniale". Così per il Ministro degli Affari Regionali Domenico Delrio, riguardo a sua moglie Anna Maria Grassi, ai cinque figli, tutti maggiorenni, e la sorella.

Così per il titolare degli Affari Europei, Enzo Moavero, su sua moglie Vittoria Alfieri, i tre i figli e la sorella. Per il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi, per quel che riguarda sua moglie e i suoi figli. E per Annamaria Cancellieri che, nel pur lunghissimo e dettagliato elenco degli appartamenti di sua proprietà, ha saltato pure il passaggio burocratico della dichiarazione di negazione del consenso da parte del marito. Per il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni, che alla fine, dopo qualche articolo contro di lui, ha messo online la dichiarazione dei redditi congiunta (sua e della moglie) ma non quella degli altri parenti.

Per questa via, l'operazione trasparenza, diventa omissiva in modo trasparente. Rivoluzionaria, per un verso, perché poi tutti i ministri hanno messo online le loro proprietà e redditi, e prima del governo Monti non era mai successo. Ma anche incompleta, in maniera evidente. Certamente dietro i negati consensi vi saranno ragioni di riservatezza (non a caso la norma è stata criticata dal Garante della privacy), presumibilmente non vi è nulla da nascondere, di certo l'omissione è attuata secondo legge. Eppure, dal punto di vista politico, l'occasione è mancata.

Racconta chi ha partecipato alla travagliata gestazione del decreto trasparenza - durata ben sei mesi - che per arrivare a varare la norma vi sono state "resistenze fortissime", e che si sono "mossi livelli di potere pari a quelli che hanno aleggiato intorno alla pronuncia della Cassazione su Berlusconi": e questo può spiegare il perché vi sia un passaggio così contraddittorio come quello che obbliga alla pubblicazione online dei proventi dei parenti fino al secondo grado (il ministro Zanonato, che ha applicato la norma al millimetro, ha dovuto mettere online una decina di dichiarazioni dei redditi), ma nello stesso tempo concede la possibilità di sottrarvisi.

Tanto più che, se il fine della norma - costruita in conseguenza della legge anticorruzione - è monitorare che i titolari di incarichi pubblici non traggano impropri vantaggi dalla loro attività, è evidente che poter sottrarre perfino mogli o mariti dall'obbligo di trasparenza vanifica in buona parte l'intento.

Ma - considerate pure le ragioni della privacy, e il diritto del coniuge di un politico a non far conoscere i propri proventi - la cosa più stupefacente in tempi di ossessione della trasparenza è che di una siffatta maglia larga i ministri approfittino davvero. Occultando le mogli.

 

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