DOPO 20 ANNI DI TELE-PATONZA, IL WEB PER LA RIBELLIONE

Eugenio Occorsio per "Affari & Finanza - la Repubblica"

«Mi ricordo che nel 1998, quando ero direttore del McLuhan Institute di Toronto, mi invitarono a un dibattito alla Festa dell'Unità a Bologna. Si presentava un libro di Vincenzo Vita, un senatore del Pd che negli anni successivi è diventato un forte sostenitore dell'innovazione tecnologica. Ma il libro, "L'inganno multimediale", come dice il titolo era tutt'altro che tenero verso Internet e le sue potenzialità.

Allora io ho spiegato con calma e pazienza che invece era una grande occasione anche di raccolta e guida del consenso: mi hanno ascoltato tutti con passione e alla fine mi hanno fatto bei complimenti, come se avessero fatto una scoperta e una svolta. Però è finita lì: e oggi Beppe Grillo ha preso più voti di loro». Derrick de Kerckhove, il guru della massmediologia, è ancora cittadino canadese benché adesso insegni alle università di Napoli e Barcellona, sociologia dei media digitali.

Anche se non vota in Italia il suo cuore batte a sinistra, e non riesce a darsi pace: «Ma come hanno fatto in tutti questi anni a non accorgersene? Eppure Internet è uno strumento giovane e democratico per eccellenza, richiama la partecipazione popolare, stimola la cittadinanza attiva, rivoluziona la gerarchizzazione delle notizie "di sistema", come si sarebbe detto una volta.

Il Pd e tutti gli altri partiti tradizionali, compreso il Pdl che almeno però è maestro nell'uso della televisione (anche perché ne possiede tante), hanno perso una straordinaria occasione regalando a Beppe Grillo il monopolio della rete. E chissà se e quando riusciranno a recuperare ».

Quando la rete è diventato il mass medium più importante?
«C'è una data precisa, e un luogo, gli Stati Uniti. Siamo nella fase preparatoria delle primarie del 2004, l'elezione della seconda vittoria di Bush. È un momento drammatico, l'invasione dell'Iraq è appena cominciata, la guerra in Afghanistan infuria con decine di morti americani. Bene, il candidato repubblicano alla vicepresidenza, Dick Cheney, organizza una grande cena di fund-raising in un albergone di Washington: 500 posti a sedere, 1000 dollari a posto.

Il giorno dopo Howard Dean, il governatore del Vermont che corre per la nomination democratica (alla fine passerà i suoi voti a John Kerry) lancia una provocazione su Internet: il "panino democratico", compratevi un sandwich al tacchino e donatemi cinque dollari. Risultato, in un solo giorno viene eguagliato il "raccolto" di Cheney, e la somma cresce esponenzialmente nei giorni successivi. Non ci voleva credere nessuno. Da quel momento, il web divenne il re dei media. Quella campagna fu persa perché Bush era troppo forte e scaltro, ma Dean fu nominato presidente del Democratic National Committee fino a quattro anni dopo, quando Obama trionfò grazie (anche) alla rete».

Intanto in Italia era nato il fenomeno Cinque Stelle...

«Sì, e anche qui c'è un elemento di sorpresa. Perché proprio in Italia? Il vostro Paese è diventato il laboratorio d'Europa. In nessun'altra nazione si è imposto un candidato uscito dal web, né in Spagna né in Gran Bretagna, figuriamoci Hollande o la Merkel che invece rappresentano proprio i politici all'antica, quelli delle sezioni del partito e dei comizi di provincia. In Germania stava formandosi un partitino tutto-Internet ma ha preso una batosta. Eppure non mancherebbero i potenziali candidati, quelli della protesta più sfegatata tipo a Marina Le Pen in Francia».

Già, perché?

«Beh, una prima risposta non può essere altro che Grillo è bravo. Ma forse c'è dell'altro. Vede, l'Italia ha vissuto per tanti anni, anche perché il premier era il principale editore televisivo, lo strapotere della tv, in una misura sconosciuta in altri Paesi. Il sentimento politico discendeva dal tubo catodico in ogni casa, e restava affidato alla nostra riflessione individuale.

Poi è scattata grazie a Internet la ribellione verso tutto questo. Puoi prendere in giro una persona per 24 ore ma non tutti per sempre. Così è nata la passione per i gruppi, si è riscoperta la voglia di confrontarsi da pari a pari, e il "capo" è diventato uno di noi. Internet è partecipazione, libertà di giudizio, democrazia. In queste condizioni, quanto potrà "durare" Bersani? Quattro, cinque anni a dir tanto».

D'accordo, però perché Hollande sì e Bersani no?

«Qui sta la specificità italiana. E' così, probabilmente anche negli altri Paesi ci si arriverà. Però a questo punto va messo un punto fermo: Grillo se vuole andare avanti deve diventare un po' Bersani. Acquisire cioè la calma, la lucidità, la competenza, la disponibilità al dialogo del politico maturo. Anche via Internet, d'accordo, perché come diceva il mio maestro McLuhan la rete è cool, cioè brillante, divertente, roba da accendere gli animi.

Ma non può essere solo uno strumento di rabbia e contumelie senza controllo. Si deve passare alla fase costruttiva, e subito, valorizzando ancora una volta il fatto che a differenza della televisione c'è l'atout della partecipazione ma rendendosi disponibili anche ad ascoltare oltre che a mandare ordini o anatemi».

Lei è noto per non essere un talebano della rete. Quali sono i pericoli e le incognite residui?

«Non solo non sono un talebano ma neanche un religioso. Laicamente, sono d'accordo con quanto diceva Nicholas Negroponte vent'anni fa: grazie a Internet, si invertono i ruoli di Davide e Golia. Però bisogna sempre avere gli occhi aperti per capire chi c'è dietro i nuovi Golia, e la stessa Internet mette a disposizione anche in questo caso lo strumento: una verifica "fra pari", fatta tempestando tutte le possibili fonti di domande per accertare l'affidabilità di chi parla attraverso il web.

E' un controllo dal basso che, sempre che venga effettivamente messo in opera, funziona assolutamente. Per parlare sempre dello stesso fenomeno, suggerisco a tutti di controllare l'attendibilità di affermazioni come il chip sottopelle o la rescissione unilaterale dei debiti: l'importante è non ricadere nell'errore dei tempi della tv, cioè dare fede acriticamente a qualcuno».

 

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