PIZZINO DEL CIRIACOSAURO AL PD: “SE BERLUSCONI CADE, RENZI NON VA DA NESSUNA PARTE. IL FURORE CON CUI SI CERCA DI ESPELLERE IL CAV È MOLTO RISCHIOSO”

Tommaso Labate per il "Corriere della Sera"

A monte, perché con Ciriaco De Mita è come se fosse il marchio di fabbrica dell'«analisi», c'è «il ragionamento». E il «ragionamento» è questo: «Leggere la storia d'Italia attraverso la contrapposizione tra destra e sinistra è sbagliato. Da noi non ci sono state né la tradizione socialdemocratica né quella liberale. Al contrario, fino agli anni Ottanta abbiamo avuto da un lato i socialcomunisti e dall'altro i democristiani».

Ma visto che l'irrisolta «alternanza tra le due grandi forze popolari» ha finito per produrre «più vizi che virtù», ecco che il dilemma che l'ex presidente del Consiglio prova a risolvere - proprio mentre s'avanza, inarrestabile, il conto alla rovescia verso il voto sulla decadenza di Silvio Berlusconi - rimanda a due parole («Populismo e giustizialismo»).

E a una domanda: «È stata la politica che ha demandato alla magistratura la risoluzione della crisi o sono stati i magistrati a prendersi questo ruolo che era della politica? Il giustizialismo è colpa della politica o dei magistrati?». La risposta, se arriva dall'uomo che ha segnato un'epoca della Dc e della Prima repubblica, è quasi sorprendente: «È stata colpa della politica, non dei magistrati».

Per quanto possa ancora credere alle potenzialità di una forza popolare che nasca al centro, De Mita non è andato né a Caorle alla festa di Scelta Civica, né a Chianciano a quella dell'Udc. «Nella loro scelta di fare iniziative separate, leggo la consapevolezza di un disagio che c'è. Ma permane la difficoltà di entrambe a capirlo.

L'Udc, nella sua ultima fase, aveva compreso che il bipolarismo quantitativo avrebbe portato solo danni. Però, questa intuizione, l'ha più declinata con l'obiettivo di sopravvivere che non con la capacità di risolverlo, il conflitto». E comunque, insiste, «non si uscirà dalla crisi senza l'intelligenza di capire che il popolo va coinvolto».

Uno che negli ultimi vent'anni l'ha coinvolto, il popolo, è stato Silvio Berlusconi. O no? «All'inizio degli anni 90», risponde, «quando si fece largo questa cultura diffusa sull'importanza della comunicazione in politica, del discorso semplificato e non complicato, del leader, del bipolarismo del "non faremo prigionieri", io sinceramente pensavo che non andasse lontano. Però, allora come ora, c'era la crisi. Ma com'è andata a finire? Col fatto che, oggi, siamo nelle condizioni civili, economiche, sociali e politiche peggiori dal Dopoguerra». Domanda: e oggi che il Cavaliere sembra all'epilogo?

L'ex presidente del Consiglio, dal gomitolo del «ragionamento», sceglie un filo. Senza esitazione. E risponde: «Se ci illudiamo che con l'espulsione di Berlusconi tornino le virtù antiche delle forze popolari e la migliore tradizione democratica, allora ci sbagliamo. Berlusconi ha dato una lettura errata. Ma l'incredibile furore con cui si cerca di espellerlo è molto, molto, rischioso».

Dall'altro lato della barricata c'è un centrosinistra che mostra di avere un'alternativa pronta. Che risponde al nome di Matteo Renzi. Ma De Mita non la pensa così. Al contrario, pare preoccupato. «Se Berlusconi crolla, l'altro», e cioè il sindaco di Firenze, «non va da nessuna parte. Io penso che Renzi sia un grande comunicatore come Berlusconi, questo sì. Ma la sua forza sembra essere quella del torrente. È forte nel breve periodo ma alla lunga non dura. Non ha la lentezza costante del fiume. Che invece va, dura...».

Perché alla fine, sostiene l'ex segretario della Dc, è tutta questione di «processi politici». E «un processo politico non è un processo aziendale. L'intuizione e la novità servono. Ma non vanno da nessuna parte senza uno sguardo sul futuro che parta da una lettura del presente». Nel presente, però, ci sono Beppe Grillo e il Movimento Cinquestelle. «Aristotele, che ne capiva di politica, diceva che era come la medicina.

La prima curava la comunità, la seconda la persona. Nel caso di cui lei mi chiede», e cioè il successo elettorale del M5S, «io rispetto il disagio diffuso e non penso che a questo disagio si debba rispondere con l'indifferenza. Anzi. Ma qui siamo alla presenza di un medico che, rispetto al disagio del malato, lo aiuta solo a lamentarsi. Di più, il malato si lamenta di in forte mal di testa e il medico gli risponde che ha un tumore».

Ma la medicina per un Paese malato sono le larghe intese? De Mita parte dal governo Monti: «Fu una necessità, non la soluzione. E la prima avvisaglia del fatto che non lo fosse arrivò quando i partiti che lo sostenevano dimostrarono in realtà di non crederci, alle larghe intese». Un po' come sta accadendo al governo Letta? «Letta è un democristiano, un uomo di governo vero. Anche il suo problema, adesso, è l'essere l'espressione di partiti che però non credono nel suo esecutivo. E questo è il segno di una crisi che, invece che andare verso la soluzione, si aggrava».

 

 

EMILIO COLOMBO CIRIACO DE MITA CIRIACO DE MITA PIERFERDINANDO CASINI CIRIACO E ANTONIA DE MITA Silvio berlu LETTA E RENZI

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