IL POTERE STRAPPATO A MORSI - L’EGITTO FRA GLI SCONTRI NON FA SCONTI: CHIEDE LE DIMISSIONI DEL PRESIDENTE - SE IL DESTINO TORNA IN MANO AI GENERALI

1 - EGITTO, ULTIMATUM DELL'OPPOSIZIONE: "MORSI SE NE VADA ENTRO LE 17 DI DOMANI" SETTE MORTI E 600 FERITI NEGLI SCONTRI

Da "La Stampa.it"

I ribelli chiedono elezioni anticipate. Il presidente apre al dialogo, ma "sono legittimato dal voto. Vogliono ottenere con la piazza quello che non sono riusciti ad avere nelle urne".
L'opposizione ha lanciato un ultimatum al presidente egiziano Mohamed Morsi: deve lasciare il potere entro domani, alle 17, altrimenti sarà «disobbedienza civile».

È quanto si legge in un comunicato dei Tamarod (ribelli). «Diamo tempo a Mohamed Morsi fino alle 17 di martedì 2 luglio per lasciare il potere e permettere alle istituzioni statali di preparare le elezioni presidenziali anticipate», si legge nel comunicato. In caso di rifiuto, «martedì alle 17 sarà l'inizio di una campagna di disobbedienza civile».

Intanto i morti negli scontri sono saliti a 7. Ieri sera al Cairo una persona è rimasta uccisa da colpi di arma da fuoco durante i violenti scontri davanti alla sede dei Fratelli Musulmani, dove è asserragliato il presidente egiziano. La vittima è un ragazzo di 26 anni, è stato colpito alla testa.

Gli scontri sono scoppiati nel tardo pomeriggio. Il quartiere generale dei Fratelli Musulmani è andato in fiamme mentre decine di persone lo assalivano lanciando pietre e bombe molotov; i sostenitori della Fratellanza hanno reagito sparando pallettoni e si è sentito anche il fuoco di armi automatiche.

Almeno tre vittime sono state invece uccise ad Assiut, nell'Alto Egitto: i tre partecipavano a una manifestazione anti-Morsi che è stata attaccata da ignoti; uno degli uccisi è stato colpito alla testa da uomini armati su una motocicletta. A Beni Suef, a sud del Cairo, un manifestante di 25 anni è morto in ospedale per le ferite riportate in un attacco do sconosciuti contro manifestanti anti-governativi. E vittime ci sono state anche a Fayoum.

Molti degli incidenti sono avvenuti all'esterno delle sedi del partito Libertà e Giustizia, il braccio politico della Fratellanza Musulmana. Secondo il ministero della Sanità, nelle violenze 613 persone sono rimaste ferite; e gruppi di attivisti hanno denunciato che almeno 43 donne, tra cui una giornalista straniera, hanno subito aggressioni sessuali organizzate durante le manifestazioni di piazza Tahrir.

Un influente imam sunnita, che vive in Qatar ma domenica era al Cairo, Sheikh Youssef Qaradawi, pur ammettendo errori da parte del presidente, ha esortato gli egiziani perché abbiano più pazienza con Morsi. «Avete dato trent'anni a Mubarak, non potete concedere un anno a Morsi? Un anno è sufficiente per risolvere i problemi di 60 anni? È impossibile. Dobbiamo dare a quest'uomo una possibilità e aiutarlo, tutti devono collaborare».

«Il dialogo è l'unico modo attraverso il quale possiamo arrivare alla comprensione», ha fatto sapere il portavoce di Morsi, Ehab Fahmi, assicurando che la presidenza è «aperta a un dialogo nazionale reale e serio». Ma quanto a dimettersi non se ne parla: Morsi sostiene che egli ha la legittimazione popolare e che l'opposizione sta semplicemente cercando di ottenere con la piazza quello che non è riuscita ad avere nelle urne.


2 - SE IL DESTINO TORNA IN MANO AI GENERALI
Bernardo Valli per "La Repubblica"

Due legittimità, una rivoluzionaria e una rappresentativa, si sono affrontate con manifestazioni di massa ieri in tutto l'Egitto. In molti hanno temuto che il più grande paese arabo stesse per slittare verso una guerra civile.

Sulle sponde del Nilo hanno sfilato le folle dei grandi, imprevedibili avvenimenti, in bilico tra cronaca e storia. Sono scesi per le strade le forze, non soltanto laiche, all'origine della primavera araba che ha travolto nel 2011 il trentennale regime di Hosni Mubarak. Ma a Heliopolis, a difesa della residenza presidenziale, c'erano gli altri, gli avversari.

C'erano legioni di Fratelli musulmani armati di bastoni e sbarre di ferro, decise a difendere se necessario la loro vittoria. Quella acquisita, scippata, alla minoranza dei pionieri laici di piazza Tahrir, rovesciando nelle urne i voti della maggioranza religiosa della società sotto la loro influenza. Così hanno conquistato il potere ufficiale e hanno eletto come capo dello Stato uno di loro, per la prima volta un estraneo alle forze armate, nella storia dell'Egitto repubblicano.

Quest'ultimo, Mohammed Morsi, ha celebrato ieri l'anniversario della sua elezione nel peggiore dei modi. L'opposizione, animata dalla convinzione di essere la depositaria della legittimità rivoluzionaria, ha mobilitato centinaia di migliaia di manifestanti, e ha chiesto le dimissioni di Morsi. Una richiesta basata su un documento firmato da 22 milioni di egiziani, un numero superiore ai voti (13,23 milioni) ottenuti un anno fa da Morsi.

I Fratelli musulmani, forti della legittimità rappresentativa, hanno invece giurato che il presidente arriverà fino alla fine del suo mandato. Tra i due contendenti, le forze armate, garanti di un ordine messo a dura prova, hanno oscillato, incerte e sibilline. Forse in dubbio se imporre la loro legittimità: quella militare.

L'esercito è la sola forza finora stabile. riceve consistenti aiuti dagli Stati Uniti, non solo in dollari ma anche sul piano tecnico militare, in quanto garante degli equilibri mediorientali. E' una componente essenziale del rapporto Egitto-Israele, codificato negli accordi di Camp David. Inoltre gli americani hanno riconosciuto i Fratelli musulmani come interlocutori inevitabili.

Non poteva essere altrimenti poiché la confraternita rappresenta una forza popolare indispensabile per gettare le basi di una democrazia. E l'esercito, dopo il disastroso periodo post Mubarak durante il quale ha gestito direttamente il potere, ha finito con l'appoggiare Morsi. Cosi si sono avvicinate le due entità su cui si appoggiano gli americani: i militari e i Fratelli musulmani, un tempo in aperta tenzone.

Non sono tuttavia in pochi nei circoli delle Forze Armate a considerare Morsi un usurpatore che ha occupato un ruolo riservato dal 1952 (dalla fine della Monarchia) ai generali. Un usurpatore senza particolari qualità. Tutto resta dunque in sospeso, due anni e mezzo dopo l'inizio della primavera araba, travagliata e incompiuta.

Ad accendere il confronto, in questa fase è stata proprio l'evidente inesperienza di Morsi nel gestire il potere. Né sono stati migliori i Fratelli musulmani in generale. Morsi si è subito rivelato incerto, sfuggente. Non solo incapace di accrescere la propria base popolare, cercando di recuperare le correnti politiche moderate, ma anche non in grado di conservare il suo elettorato iniziale, sensibile ai richiami dei Fratelli Musulmani, e alla loro ampia ed efficace azione sociale.

Dai primi passi, il professore di ingegneria ha dimostrato di non avere il minimo carisma, né di possedere le qualità necessarie a un leader chiamato a governare un paese di ottantacinque milioni di persone.

La paura dei laici di dover subire un rigore islamico si è rivelata infondata. Il presidente musulmano si è distinto per la passività, come paralizzato dal fatto di trovarsi davanti a problemi concreti armato soltanto di convinzioni religiose.

La fine del regime del raìs, la denuncia e il processo a Mubarak, con le pesanti accuse di corruzione, avevano lasciato sperare in tempi migliori. C'era inoltre la convinzione che la solerzia dei Fratelli Musulmani nel promuovere scuole, dispensari e una rete di assistenza sociale modesta ma preziosa in un paese che ne era del tutto privo, si sarebbe trasformata in un'efficienza a livello governativo.

La delusione è stata forte. Lo zelo religioso non si è trasformato in dinamismo economico. La situazione del paese si è deteriorata e si è avuta l'impressione che i nuovi dirigenti fossero incapaci di varare programmi. Negli ultimi giorni la mancanza di benzina, dovuta - pare - alla cattiva distribuzione, ha paralizzato molte attività e creato caos nei centri urbani, in particolare al Cairo.

L'opposizione si è dunque estesa. Piazza Tahrir si è di nuovo riempita, come ai tempi eroici e il prestigio dei Fratelli musulmani si è deteriorato. Si è rafforzato il fronte laico, sempre timoroso di vedere un giorno Morsi imboccare la via dell'integralismo islamico (finora evitato) al fine di colmare il vuoto in cui naviga il suo governo. Ma hanno ripreso coraggio anche gruppi di interesse legati al vecchio regime.

Nello stesso apparato statale per l'irritazione provocata dall'arrivo dei Fratelli musulmani, dinamici soltanto nell'occupare funzioni pubbliche, sono nate resistenze insidiose. In particolare nella polizia e nella magistratura. Neppure l'eteroclita opposizione ha tuttavia un programma. Chiede l'allontanamento di Morsi ma non propone politiche di ricambio. Il movimento Tamarrod (Ribellione) conta personaggi di rilievo, come Mohammed el-Baradei, ma non un vero leader.

 

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