ALLA SBARRA LA STORIA D’ITALIA - IL PROCESSO DEI PROCESSI, QUELLO SULLE TRATTATIVE FRA STATO E MAFIA (PRATICAMENTE ONNIPRESENTI NELLA STORIA DEL BELPAESE) - FRA GLI ALTRI COINVOLTI: LEOLUCA BAGARELLA, L’EX MINISTRO CALOGERO MANNINO, IL BOSS BERNARDO PROVENZANO, TOTÒ RIINA E, SPECIAL GUEST, MARCELLO DELL’UTRI - QUEST’ULTIMO È INDAGATO PER I PRESUNTI RICATTI DELLA MAFIA AL BANANA NEL ’94: NIENTE ATTENTATI IN CAMBIO DI PROTEZIONE - DELL’UTRI AVREBBE FATTO DA TRAMITE…

Riccardo Arena per "la Stampa"

Nell'atto finale dell'inchiesta, la Procura di Palermo sostiene che la trattativa cominciò nel 1992, ma non dice quando finì. Come se quegli accordi magmatici e inconfessabili tra uomini della mafia e pezzi dello Stato si fossero protratti indefinitamente, fino ai giorni nostri.

L'intesa che non doveva esserci, che nessuno vuole ammettere e che invece ci sarebbe stata, a partire dal periodo delle stragi del '92-'93, secondo l'accusa fu posta in essere materialmente da cinque mafiosi, sei uomini dello Stato e da un personaggio del mondo imprenditoriale, Marcello Dell'Utri. Che avrebbe agito, lui che è palermitano, facendo da mediatore con l'appena nominato presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, nel '94 destinatario di un ricatto portato avanti con la minaccia di nuovi attentati e omicidi.

Manca la risposta a una domanda fondamentale (fino a quando andò avanti?), ma adesso sulla trattativa c'è un punto fermo, con dodici indagati, che sarebbero quindici se fossero ancora vivi l'ex capo della polizia, Vincenzo Parisi, l'ex vicedirettore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Francesco Di Maggio (entrambi morirono nel 1996) e l'ex stalliere di Arcore, Vittorio Mangano, morto nel 2000.

Indagati pure, ma le loro posizioni sono state stralciate, l'ex guardasigilli Giovanni Conso e l'ex direttore del Dap, Adalberto Capriotti. Rispondono di false informazioni al pm e per legge potranno essere giudicati solo a conclusione del procedimento principale: Conso ha 90 anni, Capriotti 89.

Oltre a Dell'Utri, l'avviso di conclusione delle indagini riguarda il superkiller Leoluca Bagarella, l'attuale pentito Giovanni Brusca, il medico-boss Antonino Cinà, l'ex colonnello del Ros Giuseppe De Donno, l'ex ministro Calogero Mannino, l'ex generale del Ros Mario Mori, il superboss Bernardo Provenzano, Totò Riina e l'ex generale (pure lui in pensione) Antonio Subranni.

Nella lista pure due persone non accusate di avere partecipato alla trattativa: sono l'ex ministro Nicola Mancino, che risponde di falsa testimonianza al processo Mori, e Massimo Ciancimino, accusato di concorso in associazione mafiosa e di calunnia aggravata nei confronti dell'ex capo della polizia, Gianni De Gennaro.

Le accuse principali sono di violenza o minaccia a corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato. L'avviso non è stato firmato né dal procuratore capo, Francesco Messineo, né dal sostituto Paolo Guido. Messineo non è formalmente titolare del procedimento; Guido, che invece lo è, aveva invece espresso un dissenso netto e aperto rispetto alla linea portata avanti dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia e dai sostituti Nino Di Matteo, Lia Sava e Francesco Del Bene.

Secondo l'accusa, uomini dello Stato e uomini di Cosa nostra avrebbero agito «in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro» e con Parisi e Di Maggio. Da una parte c'era la minaccia mafiosa, mossa contro il Governo, dell'«organizzazione ed esecuzione di stragi, omicidi e altri gravi delitti (alcuni dei quali commessi e realizzati) ai danni di esponenti politici e delle Istituzioni».

Il tramite sarebbe stato don Vito Ciancimino: ai boss interessava avere una legislazione favorevole, un trattamento carcerario di comodo, processi da chiudere con sentenze di assoluzione. Subranni, Mori e De Donno, dopo avere avviato i contatti con don Vito, avrebbero favorito «lo sviluppo della trattativa fra lo Stato e la mafia, attraverso reciproche parziali rinunce». Significa in sostanza che i boss avrebbero evitato «la prosecuzione della strategia stragista» e i rappresentanti delle Istituzioni «l'esercizio dei poteri repressivi dello Stato». Con questi cedimenti sarebbero stati rafforzati i propositi ricattatori. Altra merce di scambio la prosecuzione della latitanza di Provenzano.

Mannino sarebbe intervenuto per salvare se stesso, dopo l'omicidio di Salvo Lima, «esercitando indebite pressioni» a favore dei mafiosi. Bagarella e Brusca, «per il tramite di Vittorio Mangano e di Dell'Utri», avrebbero invece pressato su Berlusconi. Anche al candidato premier, poi andato al potere, nel marzo '94, per evitare che ci fossero nuovi attentati, del tipo di quelli di Roma, Firenze e Milano del '93, furono chiesti interventi sulle leggi, i processi e il trattamento carcerario.

Dell'Utri avrebbe sostituito Lima e Ciancimino nelle relazioni con la mafia, avrebbe agevolato «il progredire della trattativa» e «la ricezione di tale minaccia da Berlusconi, dopo il suo insediamento come capo del Governo». Ma nel processo in cui risponde di concorso in associazione mafiosa, Dell'Utri è stato assolto: e la sentenza, per questa parte, è già definitiva.

 

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