1- PUÒ UN CROCIFISSO, SE ATTENDIBILMENTE ATTRIBUITO A MICHELANGELO, ESSERE VENDUTO A 3.500.000 EURO? NO, NON PUÒ, ALMENO DIECI VOLTE DI PIÙ, ANCHE SE È VINCOLATO 2- BASTAVA FARE UNA RAPIDA INDAGINE E COINVOLGERE GLI STUDIOSI GIUSTI CHE ORMAI PURTROPPO, PER MICHELANGELO COME PER TANTE ALTRE COSE, NON SONO PIÙ ITALIANI 3- SIAMO POI PROPRIO SICURI CHE SIA LA PRIMA VOLTA CHE I SIGNORI DELL’ARTE ITALICA RIESCONO A RIFILARE AL MINISTERO DEI BENI CULTURALI OPERE ALTISONANTI MA CON ATTRIBUZIONI MAI ACCLARATE E VENDUTE PER SOMME TROPPO BASSE SE FOSSERO VERE, SPROPOSITATE SE FOSSERO FALSE? IL MINISTRO ORNAGHI POTREBBE FARE UNA RICERCA NEGLI ARCHIVI, SENZA ANDARE NEMMENO TROPPO INDIETRO NEL TEMPO...

1- DAGOREPORT

Può un crocifisso, se attendibilmente attribuito a Michelangelo, essere venduto a 3.500.000 euro? No, non può, almeno dieci volte di più, anche se è vincolato e con divieto di esportazione.

Bastava fare una rapida indagine e coinvolgere gli studiosi giusti che ormai purtroppo, per Michelangelo come per tante altre cose, non sono più italiani. Fare, insomma, quello che avrebbe fatto qualunque acquirente 'privato' o casa d'aste.

Può un crocifisso, se non è attendibilmente attribuito a michelangelo, costare 3.500.000 euro No, non può, vale minimo dieci volte di meno.

L'opera poi non era affatto sconosciuta, gira da sempre con quel tentativo di attribuzione, è pubblicatissima, tutti gli studiosi seri la conoscono e viene generalmente riferita a scuola fiorentina di fine '400, nell'ambito di Verrocchio.

Si configura come minimo, a carico del Ministero, l'incauto acquisto.

Siamo poi proprio sicuri che sia la prima volta che i Signori dell'Arte italica riescono a rifilare al Ministero opere altisonanti ma con attribuzioni mai acclarate e vendute per somme troppo basse se fossero vere, spropositate se fossero false? Al ministero potrebbero fare una ricerca negli archivi, senza andare nemmeno troppo indietro nel tempo.


2- CECCHI INCHIODATO - IL CROCIFISSO-PATACCA PAGATO A PESO D'ORO: LA CORTE DEI CONTI MANDA IL SOTTOSEGRETARIO A PROCESSO
Tomaso Montanari e Malcom Pagani per Il Fatto


Secondo Roberto Cecchi, cattoarchitetto dalle trame celesti, mancato ministro e infine sottosegretario senza deleghe ai Beni culturali del governo Monti, il presunto cristo ligneo di Michelangelo, fatto acquistare su sua pressante insistenza allo Stato per la cifra di 3.250.000 euro nel 2008, è una scultura che "può essere facilmente trasportata, senza dare tutti quei problemi di conservazione che altre opere pongono".

La Corte dei conti gli ha dato ragione, trasferendo i quaranta centimetri del crocifisso dai depositi del Polo museale fiorentino alle aule di tribunale e rinviando a giudizio Cecchi ed altre quattro persone per "danno erariale".

Secondo molti studiosi il Cristo altro non era che un prodotto seriale del valore di poche migliaia di euro. Cecchi si battè per farlo comprare al Mibac (la proposta venne accettata a sole 24 ore dall'offerta) e oggi si ritrova nei guai per un'opera che rischia di rivelarsi una crosta pagata circa 150 volte il suo reale valore.

Ancora una volta il professor Roberto Cecchi è oggetto di attenzioni e approfondimenti non esattamente accademici. E la sua posizione nell'esecutivo tecnico, foriera di imbarazzi non cattedratici. Dopo gli scivoloni di Bondi e Galan, altre ombre, non solo economiche sull'istituzione.

Dicono che ieri sera il ministro Ornaghi fosse furibondo per l'ennesimo non commendevole faro acceso sul suo collaboratore. Che attendesse un gesto di buona volontà o una mossa di Cecchi che - giura chi lo conosce - non verrà né oggi né domani. Niente dimissioni per Cecchi (neanche se consigliato in tal senso) perché fanno sapere dal ministero: ("somiglierebbero a un'ammissione di colpa"). La parola per Cecchi è eretica e le stanze del collegio romano non somigliano per nulla a quelle inflessibili della Germania.

Dopo l'apertura di un fascicolo in Procura a Roma sulle curiose modalità di cessione del restauro del Colosseo a Diego Della Valle, la scoperta di una serie di lettere firmate nel 2006 (quando era direttore generale dei beni architettonici e paesaggistici) volte a far ottenere al suo editore Armando Verdiglione denaro dal Mibac per il restauro di Villa San Carlo Borromeo e una sofferta archiviazione con proscioglimento per abuso d'ufficio su un vincolo fatto togliere a un mobile settecentesco, Cecchi è ancora in piedi.

Trasversalmente appoggiato dal Pd e dal Terzo Polo, ben visto dal Quirinale (ottimi rapporti con Carandini) Cecchi in queste ore riflette. In attesa che la Corte dei Conti proceda, essere eucaristici sul Cristo ligneo di Michelangelo è affare complicato. Il sottosegretario Cecchi non si limitò infatti a firmare le carte. Pretese, ottenne e interpretò la parte del prim'attore.

Fu lui a imprimere la svolta decisiva ad una pratica che avrebbe potuto essere archiviata e ancora lui a fissare il prezzo, decidendo di sottrarre oltre tre milioni di euro ad un bilancio già ridotto all'osso. Cecchi difese con vigore l'acquisto, firmando un aggressivo memoriale di risposta all'interrogazione che un anno più tardi portò in Parlamento una polemica a tinte grottesche che già divampava sui giornali di tutto il mondo.

La Corte dei Conti si è concentrata sulla valutazione che Cecchi dette alla perizia del venditore (la definì oggettiva) e sul catalogo di vendita del Cristo (incomprensibilmente sdoganato come attendibile e autorevole da un passivo Comitato tecnico scientifico ) . Senza che l'attuale sottosegretario pensasse a coprirsi le spalle con lo straccio di uno studio indipendente.

Nell'operazione, tra buchi e omissioni, i misteri del caso. Cecchi non riuscì a farsi dire da dove venisse davvero l'opera (finendo così per girare al pubblico del Tg1 l'ipotesi della "derivazione fiorentina": mentre il Cristo proveniva dagli Stati Uniti, dove era stato acquistato per diecimila euro).

Inoltre non si preoccupò di indagare sul perché l'Ente Cassa di Risparmio di Firenze avesse saggiamente rinunciato all'acquisto pochi mesi prima e permise che a certificare il prezzo fosse Cristina Acidini, la stessa funzionaria che aveva proposto l'acquisto, creando così un macroscopico caso di conflitto di interesse.

Soprattutto, non si chiese Cecchi, perché un vero Michelangelo rimanesse per anni a disposizione ed anzi fosse finito ai saldi, facendosi comprare per un sesto della (già stracciatissima) richiesta iniziale (18 milioni) posta all'allora ministro Rutelli che rifiutò sdegnato.

Oggi, in luogo di un artista, ad essere crocifisso è Cecchi e la sua idea di un ‘Michelangelo portatile' adatto all'industria delle mostre commerciali che promuovono soprattutto chi le organizza. Cecchi, Il supertecnico che intervistato dal Corsera qualche giorno fa ha dichiarato di considerare suo nemico mortale Italia Nostra, la principale associazione per la difesa del patrimonio e del paesaggio italiani, della macchina delle mostre blockbuster è spassionato sostenitore. Non è detto che tra qualche mese, da privato cittadino, non possa promuoverne a pieno titolo.

 

Cristo ligneo di Michelangelo Cristo ligneo di Michelangelo Cristo ligneo di Michelangelo IL CROCIFISSO DI MICHELANGELO jpegNapolitano osserva Cristo ligneo di Michelangelo ANTONIO PAOLUCCI ROBERTO CECCHI E IL CRISTO DI MICHELANGELOLORENZO ORNAGHI michelangelo buonarroti

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