RENZI SINDACO DI ROMA - IL CAPO DEL GOVERNO DA' 570 MILIONI MA OBBLIGA IL MARZIANO A SPEDIRE I CONTI AL VIMINALE (ALFANO), AL TESORO (PADOAN) E AL PARLAMENTO (GRASSO-BOLDRINI) - PER MARINO E' PEGGIO DI UN COMMISSARIAMENTO E ORA E' OBBLIGATO A VENDERE ACEA A CALTAGIRONE

Francesco De Dominicis per "Libero"

Alla fine i soldi a Roma sono arrivati: il premier Matteo Renzi si è arreso e ha tappato il buco nel bilancio della Capitale. Nelle casse del Campidoglio arriveranno 570 milioni di euro, cifra necessaria a mettere in equilibrio i conti del 2013. Aiuto condito dal sostanziale commissariamento oltre che dall'obbligo di far scattare privatizzazione delle società controllate, blocco delle assunzioni nelle aziende, liberalizzazione dei servizi pubblici e vendita del patrimonio immobiliare.

Un piano di rientro ferreo che dichiara guerra agli sprechi con la spending review in salsa romana. Sulla carta pare una rivoluzione. E il cambio di passo, d'altra parte, era davvero indispensabile. I conti della città presentavano, a fine 2013, un disavanzo di 816 milioni di euro; cifra più alta rispetto al buco di 605 milioni indicati a ottobre scorso. Il che vuol dire che solo negli ultimi due mesi sarebbe emerso un rosso di oltre 200 milioni. Il 2013 è stato disastroso: sono aumentate le spese di 300 milioni e sono calate le entrate per 160 milioni. Un disastro.

L'intervento, dunque, è stato un passo obbligato. Giovedì il governo aveva rinunciato a convertire in legge un altro decreto che conteneva misure per salvare i conti della città. Si trattava, peraltro, del secondo provvedimento d'urgenza per Roma, visto che un altro testo - praticamente analogo - era stato censurato a novembre dalla presidenza della Repubblica.

Sta di fatto che senza quei soldi, la Capitale sarebbe andata in bancarotta: niente stipendi pagati ai 62mila dipendenti e stop ai servizi (asili, trasporti, raccolta rifiuti, illuminazione). Un caos che è stato evitato con l'approvazione, da parte del consiglio dei ministri di ieri, del terzo decreto «salva Roma», nel quale sono contenute anche ulteriori misure per la finanza locale e interventi d'emergenza per altri comuni con i conti traballanti, tra cui Firenze, Napoli e Venzia.

Concentriamoci su Roma. Ecco come funziona il paracadute di Renzi per il sindaco, Ignazio Marino. Nel dettaglio, si anticipano alla gestione ordinaria del Campidoglio 570 milioni, altrimenti dovuti in più rate. Questo importo non verrà considerato tra le entrate finali e quindi non sarà rilevante ai fini del Patto di stabilità interno. Nelle casse capitoline arrivano risorse che consentiranno l'equilibrio di «parte corrente» del bilancio per il 2013 e il 2014.

A fronte della pezza, Renzi impone però una serie di paletti alla Capitale. Col decreto, infatti, parte l'obbligo per il Campidoglio di preparare un piano di rientro dal debito, che deve essere trasmesso al Viminale, al Tesoro e al Parlamento. Una misura che sottopone i conti di Roma al controllo preventivo del governo: alla fine della giostra è peggio di un commissariamento per Marino. Che varrà meno poteri e si trova costretto a rispondere a Renzi. Il quale, così, torna in qualche modo a fare il sindaco, ma della Capitale, grazie a un'autopromozione. Contenuta nel primo decreto omnibus di questo governo in cui, tra altro, è stata piazzata la prorga fino al 31 marzo per 24mila addetti alle pulizie nelle scuole.

Torniamo ai conti di Roma. Vengono fatti salvi anche i 20 milioni in tre anni, somma non compresa nei 570, come sostegno finanziario per superare l'emergenza della gestione dei rifiuti, con stanziamenti di 6, 6,5 e 7,5 milioni nel triennio 2013-2015. Non è tutto. Il provvedimento stabilisce pure i criteri per il raggiungimento di un piano di risanamento e cioè recepisce quanto già approvato in sede parlamentare in un emendamento a firma Giorgio Santini (Pd). Per rientrare del debito il comune dovrà ricorrere a liberalizzazione e dismissioni.

Il discorso qui va chiarito: una parte del Pd - d'accordo con gli alleati del governo - spinge per vendere ai privati le aziende controllate dal Campidoglio. Una, in particolare, pare destinata a uscire subito dalla scuderia della Capitale: Acea. Sulla multiutility da tempo sono puntati i riflettori dell'imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone. Il costruttore oggi ha il 16,3% del capitale Acea, mentre il comune possiede il 51%. Il rapporto di forza, in caso di privatizzazione, potrebbe essere ribaltato. Caltagirone può contare, tra altro, sull'appoggio di alcuni esponenti di Scelta civica, da sempre favorevoli all'operazione.

I precedenti interventi «salva Roma» escludevano le privatizzazioni. Il decreto approvato ieri, invece, stabilisce l'obbligo di «procedere alla dismissione o alla liquidazione delle società partecipate che non risultino avere come fine sociale attività di servizio pubblico e valorizzare e dismettere quote del patrimonio immobiliare del comune». È prevista pure una cura da cavallo sugli acquisti nelle aziende, il censimento dei lavoratori («ricognizione», mossa che serve a calcolare gli esuberi) e poi l'affidamento ai privati dei servizi di raccolta rifiuti e pulizia delle strade, oggi in mano all'Ama.

E poi dovranno essere varati modelli «innovativi» per il trasporto pubblico locale. Pure in questo caso, potrebbe scattare la privatizzazione. Marino, però, avrà uno spazio di azione ristretto. Il chirurgo democrat, come accennato, dovrà trasmettere preventivamente «ai ministeri dell'Interno e dell'Economia» e «alle Camere il piano di rientro al fine di consentire la verifica della sua attuazione». In pratica, il sindaco è sotto tutela. E visti i primi mesi alla guida della città, forse non è una scelta sbagliata.

 

RENZI FA CAMPAGNA ELETTORALE PER MARINO IGNAZIO MARINO E MATTEO RENZI IGNAZIO MARINO E MATTEO RENZI AI FORI ROMANI RENZI MARINO francesco gaetano caltagirone con il figlio francesco junior Azzurra Caltagirone

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