UN RICORSO DI CORSA - GLI AVVOCATI DELLO STATO DEPOSITANO A TEMPO DI RECORD (2 SETTIMANE!) L’ATTO CHE APRE IL CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE TRA NAPOLITANO E INGROIA: “LE INTERCETTAZIONI DEL QUIRINALE SONO CONTRO LA COSTITUZIONE: NON POSSO ESSERE IN ALCUN MODO VALUTATE, USATE, TRASCRITTE. IL PRESIDENTE HA UN’IMMUNITÀ SOSTANZIALE E PERMANENTE” - MA L’INTERCETTATO ERA MANCINO NON IL COLLE - PALERMO DEVE PAGARSI UN AVVOCATO PER DIFENDERSI DAVANTI ALLA CONSULTA…

1- "QUEI PM SONO SCORRETTI È CONTRO LA COSTITUZIONE INTERCETTARE IL QUIRINALE" - TRATTATIVA STATO-MAFIA, IL RICORSO DEL COLLE
Liana Milella per "la Repubblica"

Ha proprio sbagliato la procura di Palermo su Napolitano e le ormai famose telefonate con l'ex ministro Mancino registrate nell'ambito dell'inchiesta su Stato e mafia. Il suo comportamento ha prodotto «un grave vulnus alle prerogative del presidente della Repubblica, senza tenere di esse alcun conto e alterando in concreto e in modo definitivo la consistenza dell'assetto dei poteri previsti dalla Costituzione ».

L'Avvocatura generale dello Stato non fa sconti ai magistrati di Palermo. Nelle 17 pagine che, per conto del primo inquilino del Colle, argomentano il ricorso alla Consulta e richiedono la distruzione immediata delle conversazioni, è detto espressamente che «sussistono precisi elementi oggettivi di prova del non corretto uso del potere giurisdizionale».

I tre avvocati che firmano il ricorso - il capo dell'ufficio Ignazio Francesco Caramazza, il suo vice Antonio Palatiello e Gabriella Palmieri - elencano meticolosamente gli errori: «Aver quantomeno registrato le intercettazioni in cui casualmente e indirettamente era coinvolto il presidente, averle messe agli atti del processo valutandone addirittura l'irrilevanza, ipotizzare di poter svolgere un'udienza stralcio per ottenerne l'acquisizione o la distruzione». Tutti questi comportamenti, che ignorano la piena immunità del capo dello Stato, configurano «il vulnus» all'istituzione e alla Costituzione.

È stata fissata per il 19 settembre alla Consulta la camera di consiglio in cui gli alti giudici decideranno se il ricorso del Quirinale tramite l'Avvocatura è ammissibile. L'esisto appare scontato, soprattutto alla luce delle argomentazioni giuridiche del ricorso medesimo. Ruotano tutte intorno all'articolo 90 della Costituzione e all'articolo 7 della legge attuativa
dell'89.

Scrivono gli avvocati dello Stato: «Le conversazioni cui partecipa il presidente, ancorché indirette e occasionali, sono da considerarsi assolutamente vietate e non possono essere in alcun modo valutate, utilizzate, trascritte, e di esse il pubblico ministero deve immediatamente chiedere al giudice la distruzione». Seguire la via opposta, come ha fatto Palermo, provoca «una lesione delle prerogative costituzionali del presidente della Repubblica, quantomeno sotto il profilo della loro menomazione ».

Una «lesione» in crescita esponenziale visto che i pm di Palermo «hanno valutato la rilevanza delle intercettazioni ai fini di una loro eventuale utilizzazione » e le hanno lasciate nel fascicolo del dibattimento proprio in vista dei confronti con i testi. Per l'Avvocatura tutto l'opposto di quello che si sarebbe potuto fare.

Il capo della procura di Palermo Francesco Messineo, in due diverse interviste aRepubblica, si è battuto per la tesi opposta. Intercettazioni indirette e casuali, lette in trascrizione e valutate come irrilevanti, ma sarà il giudice a deciderne la distruzione. Qui l'Avvocatura eccepisce e spiega che cosa è dovuto al capo dello Stato, in quanto gli è già riconosciuto dalla stessa Costituzione. L'articolo 90 della Carta gli fornisce uno scudo totale, «un'immunità sostanziale e permanente », perché «il presidente non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione».

La legge attuativa dell'89 dice altrettanto, il divieto d'intercettazioni è totale. L'immunità garantita al presidente è piena, essa è giuridica, ma anche politica. Se così non fosse, verrebbe messa in crisi e gravemente compromessa «la funzione, attribuita al presidente dalla Carta, di massima rappresentanza a livello internazionale».

Scrive l'Avvocatura: «Fino a quando è in carica, egli non può subire alcuna limitazione nelle sue comunicazioni, altrimenti risulterebbe lesa la sua sfera di immunità». E ancora: «Se c'è un divieto di intercettazione diretta, è naturale che debba esisterne uno altrettanto assoluto qualora le conversazioni siano indirette o casuali ». Nessun vuoto normativo per l'Avvocatura, ma la necessità, quando si sfiora il presidente, «di rispettare le sue prerogative costituzionali evitando forme invasive di acquisizione della prova che non si conciliano con la sua assoluta libertà di comunicazione».

Che fare a questo punto? Per l'avvocatura vale in pieno il lodo Salvi - portare al giudice un pacchetto chiuso con le intercettazioni e poi distruggerle - e quindi l'uso dell'articolo 271 del codice di procedura penale che impone di non utilizzare ascolti «fuori dai casi consentiti dalla legge» in generale e per alcuni figure professionali come i sacerdoti nella confessione o gli avvocati al telefono con i loro clienti. Anche qui Messineo non è d'accordo, ma l'Avvocatura all'opposto non ha dubbi.


2- INGROIA: CI STIAMO CERCANDO UN AVVOCATO - I PM DI PALERMO DEVONO TROVARSI UNA DIFESA "PRIVATA" NEL PROCESSO VOLUTO DAL QUIRINALE DAVANTI ALLA CONSULTA
Giuseppe Lo Bianco per "il Fatto Quotidiano"

Nello studio del talk-show di Rai3 Cominciamo bene ieri mattina è finita tra battute e sorrisi, ma il problema posto dal procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia è tremendamente serio: "Stiamo cercando un avvocato che ci rappresenti davanti la Consulta nel giudizio di attribuzione - ha detto il pm che ha coordinato l'inchiesta sulla trattativa mafia-Stato - l'Avvocatura dello Stato difenderà il Quirinale, cui la legge attribuisce una precedenza".

Il conflitto sollevato dal Quirinale, dunque, svolta adesso in un paradosso: la pubblica accusa è in cerca di una difesa privata. Nello studio tv i conduttori hanno provato a coinvolgere scherzosamente i due parlamentari-avvocati pugliesi presenti, Antonio Leone del Pdl e Felice Belisario, di Idv, con Ingroia a reggere ironicamente il gioco, ma il tempo ormai stringe e nei corridoi della procura i pm hanno già affrontato il problema e sceglieranno i nomi del professionista (o dei professionisti) nei prossimi giorni.

Il conflitto di attribuzione tra poteri, infatti, verrà vagliato dalla Corte costituzionale nella camera di consiglio fissata per il 19 settembre. Si tratterà di un primo esame del ricorso presentato dal Colle, depositato lunedì scorso: la Consulta, infatti, dovrà valutarne l'ammissibilità. Se il conflitto sarà dichiarato in quella sede ammissibile, la Corte fisserà una seconda udienza, nella quale esaminerà il conflitto nel merito.

Restano aperte infine le polemiche legate alla trattativa mafia-Stato, e lo stesso Ingroia in un articolo di ieri pubblicato dall' Unità ha spostato il tema sul piano storico: dopo avere citato il sostegno mediato da Lucky Luciano che la mafia fornì allo sbarco angloamericano in Sicilia nel '43 (tuttora ostinatamente negato dai maggiori storici della sinistra siciliana, da Francesco Renda a Salvatore Lupo, con l'eccezione di Giuseppe Casarrubea), definito da Ingroia "la madre di tutte le trattative", il procuratore aggiunto ha proseguito l'excursus storico citando la stagione della convivenza democristiana ("partito filo atlantico") con Cosa Nostra "che si esaurì solo quando, dopo la caduta del Muro di Berlino venne meno la giustificazione politico-internazionale di quella convivenza, degenerata in stabile alleanza".

Per arrivare al 1992 chiedendosi: "Se è vero che vi fu una trattativa in quel biennio, è pensabile che avesse come obiettivo il 41-bis o la posta in gioco fu ben più ampia? La nuova trattativa non riguardava invece il nuovo patto di convivenza politico-mafioso?".
Ingroia conclude: "E allora è troppo impertinente che un magistrato dica ad alta voce di fronte a questa posta in gioco che invece di invocare presunte invasioni di campo da parte della magistratura si dovrebbe collaborare, ciascuno per la propria parte di responsabilità, politica, informazione, cultura e società civile per ricostruire cosa accadde davvero in quegli anni"?

 

NAPOLITANO INGROIAGiorgio NapolitanoAntonio Ingroia LA SEDE DELLA PROCURA DI PALERMO FRANCESCO MESSINEO CAPO DELLA PROCURA DI PALERMOANTONINO INGROIA E FRANCESCO MESSINEO LORIS D'AMBROSIONICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANO jpeg

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