roscani l unita 33

UN SECOLO DI “UNITA’” – IL GIORNALISTA ROBERTO ROSCANI RACCONTA IN UN LIBRO LA STORIA DEL QUOTIDIANO ORGANO DEL PCI FONDATO 100 ANNI FA - LA PEDAGOGIA A TRATTI PLUMBEA DI TOGLIATTI (DIRETTORE OMBRA), IL DELITTO PASOLINI, L’ADDIO DI CALVINO AL PARTITO COMUNISTA – “L’UNITÀ ERA UN IMPASTO COMPLICATO TRA UNA SCUOLA DI FORMAZIONE ALLA POLITICA E ALLA CULTURA E UNA BANDIERA FATTA DI PAROLE. C’E’ CHI PENSA CHE FOSSE UN GIORNALE GRIGIO. IO RICORDO INVECE UN GRUPPO DI GIORNALISTI CHE “ROMPEVA LE SCATOLE”….”

Da adnkronos.com - Estratt

ROBERTO ROSCANI 1

 

Una storia lunga cento anni. Un quotidiano che ha accompagnato l'evoluzione della società italiana descrivendone i cambiamenti, i passaggi politici più complessi e i fatti di cronaca che hanno colpito l'opinione pubblica. Eventi tragici come il delitto Pasolini, oppure l'addio di Calvino al partito Comunista.

 

(...) Vicende che il giornalista Roberto Roscani racconta nel volume 'L'Unità. Una storia, tante storie', pubblicato da Fandango Libri. Giovane militante del partito Comunista, Roscani entra a far parte della redazione romana del quotidiano nei primi anni Settanta rimanendovi fino al 2.000, quando il giornale chiude improvvisamente.

 

"Prima ancora di scriverci - racconta Roscani nell'introduzione del suo libro - l'Unità l'ho letta. Ma per prima cosa l'ho diffusa. Non venduta. Non dovete immaginare gli strilloni col giornale che ancora qualche anno fa si vedevano ai semafori. Diffondere voleva dire andare nelle case, suonando ai campanelli di domenica mattina, farsi dire cento no e qualche sì. A Ponte Milvio, il mio quartiere e la mia sezione del Pci, ne facevamo arrivare ogni domenica cento, duecento copie all'edicola in piazza".

ROBERTO ROSCANI COVER

 

 

Dalla diffusione, Rusconi è poi passato a scrivere per il quotidiano che, di fatto, è diventato la sua 'casa' per tanti anni. "Poi all'Unità ci sono finito dentro ed è diventata casa mia per decenni, fino a quando, in un'estate dell'Anno Santo, con Roma invasa di pellegrini e Papaboys, a fine luglio del 2000, non ha chiuso i battenti", afferma Roscani. Così, capitolo dopo capitolo, l'autore mette in scena le vicende redazionali rappresentando, al tempo stesso, la vita culturale e politica del Paese raccontata dal giornale. Facendo leva sui suoi ricordi e sull'esperienza maturata sul campo, il giornalista ritrae anche i colleghi, direttori e non solo, che con il loro impegno hanno contribuito a trasformare L'Unità in un punto di riferimento per generazioni di militanti e di avversari politici.

 

 

C’ERA UNA VOLTA L’UNITÀ: I CENTO ANNI DEL GIORNALE CHE FU DEL PCI

Testo di Roberto Roscani pubblicato da La Repubblica

 

 

BERLINGUER UNITA

Via dei Taurini 19, Roma. L’indirizzo era questo. Nel cuore di San Lorenzo, a due passi dall’università (allora ce n’era una sola, la Sapienza). Un palazzo fine anni Cinquanta, modernista. L’insegna luminosa scendeva lungo un angolo dell’edificio: “l’Unità”, c’era scritto. È stata casa mia dal 1974 a quando ce ne siamo andati vent’anni dopo, verso un’altra casa a via Tomacelli in un palazzo di cui resta solo la facciata e dentro al quale ora c’è un mega store. Che cos’era l’Unità? Un giornale, ma non solo. Che cosa eravamo noi che ci lavoravamo dentro? Dei giornalisti, ma non solo.

 

Per chi la leggeva, l’Unità era un impasto complicato tra una scuola di formazione alla politica e alla cultura e una bandiera fatta di parole. Per tantissimi, andare con l’Unità in tasca, con la testata ben visibile, era il modo per ribadire una identità, quelle foto di manifestanti col giornale tenuto aperto con due mani ci raccontano questo.

 

L UNITA

Per chi ci lavorava, l’Unità era un impasto altrettanto complesso: comunisti, certo, giornalisti anche. Nel giornale che ho vissuto io, dai primi Settanta, quelli del massimo consenso al Pci, in una Italia che cambiava rapidamente (e con un giornale che moltiplicava le vendite) a quelli più difficili segnati dalla scomparsa di Berlinguer e dalla crisi radicale dei modelli del “socialismo reale” della faticosa trasformazione del partito, parte del cammino di questa trasformazione dell’Unità si era già compiuta.

 

Noi percorremmo il resto di quella strada tra l’affermazione di un ruolo più decisamente giornalistico della nostra professione e i rischi di declino dell’immagine del quotidiano. Tra alti e bassi, tra crisi e mutamenti che hanno formato una generazione intera di giornalisti, gli stessi che, come in una diaspora, hanno poi portato i semi di questa esperienza anche in molti altri giornali.

 

(…)

ROBERTO ROSCANI

 

 

Qualcuno può pensare che l’Unità – dentro la sua corazza di “organo del Partito Comunista Italiano”, così c’era scritto sotto la testata – fosse un giornale grigio. Io ricordo invece un gruppo di giornalisti che discuteva su tutto, che “rompeva le scatole”. Si dice che il direttore di un giornale sia un monarca assoluto. Quelli che ho conosciuto io non hanno mai chiuso una discussione con un’alzata di spalle o facendosi forza del loro ruolo. E forse questa è stata insieme una ricchezza e un problema di quel giornale.

 

Ricordo giornate febbrili, talvolta tragiche. Ricordo un coinvolgimento che non era solo professionale davanti alle grandi svolte della nostra storia. L’emozione e l’ansia per il rapimento Moro (personale e collettiva), il dolore per l’agonia e la morte di Berlinguer che si trasformava però in idee.

 

Quei giorni furono davvero fuori dall’ordinario: ci furono una gran quantità di edizioni straordinarie e la capacità di trasformare un sentimento che accomunava un intero Paese (e dentro questo, con maggiore intensità, quello che si chiamava allora il “popolo comunista”) in pagine di giornale, coi loro titoli sempre più brevi fino a diventare di una sola parola: “TUTTI”, diceva uno, “ADDIO” quello con cui fu salutato a piazza San Giovanni un leader così diverso dagli altri come era stato Berlinguer. Il merito va dato soprattutto a un vecchio giornalista che si chiama Carlo Ricchini, lo stesso che qualche mese prima aveva “inventato” quel titolo a caratteri tutti maiuscoli e scritto in rosso: “ECCOCI”, e con quel giornale in mano Berlinguer era stato fotografato mentre sfilavano decine di migliaia di operai per le vie di Roma.

omicidio pasolini l unita

 

Altro che egemonia

Dentro questo giornale sono cresciuto. Si lavorava moltissimo. Ho vissuto l’epoca delle vecchie tipografie fatte di linotype, di articoli composti da moltissime di righe di piombo e di grandi banchi con telai per impaginare il giornale. E poi quella dei computer. Ho visto cambiare la cultura della sinistra, aprirsi a esperienze nuove, a voci talvolta lontane con cui dialogare. Oggi si fa tanto parlare di egemonia culturale (nella chiave vendicativa con cui lo fa la nostra destra) come una questione di appropriazione indebita. Noi, invece , allora sperimentavamo l’apertura ad una complessità di pensiero tra culture che avevano voglia di parlarsi.

 

È un ritratto troppo ottimistico? Non credo, anche se di passi falsi, di incidenti è costellata la strada dell’Unità. Avendo scelto di raccontane almeno una parte, però, mi pare di poter dire che quel giornale è stato un segmento importante della cultura e della storia di questo Paese e delle sue trasformazioni. E che, anche editorialmente, siamo riusciti a mettere in campo innovazioni (i libri, i film, il giornale con un dorso culturale) che hanno fatto scuola.

 

unita berlinguer

Per raccontare quel giornale ho usato spesso il noi. Non è un caso. Credo sia questa la caratteristica che più segna l’Unità. A lungo all’interno abbiamo discusso se considerarci un gruppo di lavoro o un “collettivo”. Oggi la definizione più corretta è quella di una comunità: complicata, con tante idee diverse, talvolta litigiosa, ma tenuta insieme da una passione comune che era politica ma anche professionale. E persino quel nome, l’Unità, voluto cent’anni fa da Antonio Gramsci, con l’idea di fare un giornale di opposizione al fascismo che potesse essere di tutti e non solo di un partito, era – come avrebbe detto Marshall McLuhan – contemporaneamente il mezzo che conteneva al suo interno questo messaggio.

Ultimi Dagoreport

brunello cucinelli giorgia meloni giuseppe tornatore

A PROPOSITO DI…. TORNATORE – CRISI DEL CINEMA? MA QUALE CRISI! E DA REGISTA TAUMATURGO, NOBILITATO DA UN PREMIO OSCAR, CIAK!, È PASSATO A PETTINARE IL CASHMERE DELLE PECORE DEL SARTO-CESAREO CUCINELLI - MICA UN CAROSELLO DA QUATTRO SOLDI IL SUO “BRUNELLO IL VISIONARIO GARBATO”. NO, MEGA PRODUZIONE CON UN BUDGET DI 10 MILIONI, DISTRIBUITO NELLE SALE DA RAI CINEMA, ALLIETATO DAL MINISTERO DELLA CULTURA CON TAX CREDIT DI 4 MILIONCINI (ALLA FINE PAGA SEMPRE PURE PANTALONE) E DA UN PARTY A CINECITTA' BENEDETTO DALLA PRESENZA DI GIORGIA MELONI E MARIO DRAGHI - ET VOILÀ, ECCO A VOI SUI GRANDI SCHERMI IL “QUO VADIS” DELLA PUBBLICITÀ (OCCULTA) SPACCIATO PER FILM D’AUTORE - DAL CINEPANETTONE AL CINESPOTTONE, NASCE UN NUOVO GENERE, E LA CRISI DELLA SETTIMA ARTE NON C’È PIÙ. PER PEPPUCCIO TORNATORE, VECCHIO O NUOVO, È SEMPRE CINEMA PARADISO…

theodore kyriakou la repubblica mario orfeo gedi

FLASH! – PROCEDE A PASSO SPEDITO L’OPERA DEI DUE EMISSARI DEL GRUPPO ANTENNA SPEDITI IN ITALIA A SPULCIARE I BILANCI DEI GIORNALI E RADIO DEL GRUPPO GEDI (IL CLOSING È PREVISTO PER FINE GENNAIO 2026) - INTANTO, CON UN PO’ DI RITARDO, IL MAGNATE GRECO KYRIAKOU HA COMMISSIONATO A UN ISTITUTO DEMOSCOPICO DI CONDURRE UN’INDAGINE SUL BUSINESS DELLA PUBBLICITÀ TRICOLORE E SULLO SPAZIO POLITICO LASCIATO ANCORA PRIVO DI COPERTURA DAI MEDIA ITALIANI – SONO ALTE LE PREVISIONI CHE DANNO, COME SEGNO DI CONTINUITÀ EDITORIALE, MARIO ORFEO SALDO SUL POSTO DI COMANDO DI ‘’REPUBBLICA’’. DEL RESTO, ALTRA VIA NON C’È PER CONTENERE IL MONTANTE ‘’NERVOSISMO’’ DEI GIORNALISTI…

john elkann lingotto fiat juventus gianni agnelli

A PROPOSITO DI… YAKI – CHI OGGI ACCUSA JOHN ELKANN DI ALTO TRADIMENTO NEL METTERE ALL’ASTA GLI ULTIMI TESORI DI FAMIGLIA (“LA STAMPA” E LA JUVENTUS), SONO GLI STESSI STRUZZI CHE, CON LA TESTA SOTTO LA SABBIA, IGNORARONO CHE NEL FEBBRAIO DEL 2019, SETTE MESI DOPO LA SCOMPARSA DI MARCHIONNE, IL NUMERO UNO DI EXOR E STELLANTIS ABBANDONÒ LA STORICA E SIMBOLICA “PALAZZINA FIAT”, LE CUI MURA RACCONTANO LA STORIA DEL GRUPPO AUTOMOBILISTICO. E SOTTO SILENZIO (O QUASI) L’ANNO DOPO C’ERA STATO LO SVUOTAMENTO DEL LINGOTTO, EX FABBRICA EMBLEMA DELLA FIAT – LA PRECISAZIONE: FONTI VICINE ALLA SOCIETÀ BIANCONERA SMENTISCONO QUALSIVOGLIA TRATTATIVA CON SAUDITI...

giorgia meloni matteo salvini

DAGOREPORT – ESSÌ, STAVOLTA BISOGNA AMMETTERLO: SULLA LEGGE DI BILANCIO MATTEO SALVINI HA PIÙ DI QUALCHE SACROSANTA RAGIONE PER IMPEGNARSI A MORTE NEL SUO RUOLO DI IRRIDUCIBILE SFASCIACARROZZE DELLA MARCHESINA DEL COLLE OPPIO (“IL GOVERNO SONO IO E VOI NON SIETE UN CAZZO!’’) - DIETRO UNA FINANZIARIA MAI COSÌ MICRAGNOSA DI 18 MILIARDI, CHE HA AFFOSSATO CONDONI E PENSIONI CARI A SALVINI, L’OBIETTIVO DELLA DUCETTA È DI USCIRE CON UN ANNO IN ANTICIPO DALLA PROCEDURA DI INFRAZIONE PER DEFICIT ECCESSIVO ATTIVATA DALL'EUROPA NEL 2024. COSÌ SARÀ LIBERA E BELLA PER TRAVESTIRSI DA BEFANA PER LA FINANZIARIA 2026 CHE SARÀ RICCA DI DEFICIT, SPESE E "MENO TASSE PER TUTTI!", PROPRIO IN PERFETTA COINCIDENZA CON LE ELEZIONI POLITICHE 2027 – OVVIAMENTE LA “BEFANA MELONI” SI PRENDERÀ TUTTO IL MERITO DELLA CUCCAGNA, ALLA FACCIA DI LEGA E FORZA ITALIA…

moravia mussolini

‘’CARO DUCE TI SCRIVO...’’, FIRMATO ALBERTO MORAVIA - “AMMIRO L'OPERA DEL REGIME IN TUTTI I VARI CAMPI IN CUI SI È ESPLICATA E IN PARTICOLARE IN QUELLO DELLA CULTURA. DEBBO SOGGIUNGERE CHE LA PERSONALITÀ INTELLETTUALE E MORALE DELLA ECCELLENZA VOSTRA, MI HA SEMPRE SINGOLARMENTE COLPITO PER IL FATTO DI AVERE NEL GIRO DI POCHI ANNI SAPUTO TRASFORMARE E IMPRONTARE DI SÉ LA VITA DEL POPOLO ITALIANO” (1938) - LE 998 PAGINE DEI “TACCUINI” DI LEONETTA CECCHI PIERACCINI SONO UNA PREZIOSISSIMA MEMORIA, PRIVA DI MORALISMO E DI SENTIMENTALISMO, PER FICCARE IL NASO NEL COSTUME DELL’ITALIA LETTERARIA E ARTISTICA FINITA SOTTO IL TALLONE DELLA DITTATURA FASCISTA - DAL DIARIO DI LEONETTA PIERACCINI, SPICCANO LA VITA E LE OPERE E LA SERVILE E UMILIANTE LETTERA A MUSSOLINI DEL “SEMI-EBREO” ALBERTO PINCHERLE, IN ARTE MORAVIA – ALTRA NOTA: “SIMPATIA DI MORAVIA PER HITLER. EGLI DICE CHE DEGLI UOMINI POLITICI DEL MOMENTO È QUELLO CHE PIÙ GLI PIACE PERCHÉ GLI PARE NON SIA MOSSO DA AMBIZIONE PERSONALE PER QUELLO CHE FA...”

leonardo maria del vecchio - gabriele benedetto - andrea riffeser monti - marco talarico - luigi giacomo mascellaro

DAGOREPORT - ELKANN NON FA IN TEMPO A USCIRE DALLA SCENA CHE, ZAC!, ENTRA DEL VECCHIO JR: DAVVERO, NON SI PUÒ MAI STARE TRANQUILLI IN QUESTO DISGRAZIATO PAESE - GIÀ L’ACQUISIZIONE DEL 30% DE ‘’IL GIORNALE’’ DA PARTE DEL VIVACISSIMO LEONARDINO DEL VECCHIO, ANTICIPATA IERI DA DAGOSPIA, HA SUSCITATO “OH” DI SORPRESA. BUM! BUM! STAMATTINA SONO SALTATI I BULBI OCULARI DELLA FINANZA E DELLA POLITICA ALL’ANNUNCIO DELL'EREDE DELL VECCHIO DI VOLER ACQUISIRE IL TERZO POLO ITALIANO DELL’INFORMAZIONE, IN MANO ALLA FAMIGLIA RIFFESER MONTI: “LA NAZIONE” (FIRENZE), “IL RESTO DEL CARLINO” (BOLOGNA) E “IL GIORNO” (MILANO) - IN POCHI ANNI DI ATTIVITÀ, LMDV DI DEL VECCHIO HA INVESTITO OLTRE 250 MILIONI IN PIÙ DI 40 OPERAZIONI, SOSTENUTE DA UN FINANZIAMENTO DI 350 MILIONI DA INDOSUEZ (GRUPPO CRÉDIT AGRICOLE) - LA LINEA POLITICA CHE FRULLA NELLA TESTA TRICOLOGICAMENTE FOLTA DELL'INDIAVOLATO LMDV, A QUANTO PARE, NON ESISTE - DEL RESTO, TRA I NUOVI IMPRENDITORI SI ASSISTE A UN RITORNO AD ALTO POTENZIALE ALLO "SPIRITO ANIMALE DEL CAPITALISMO", DOVE IL BUSINESS, ANCHE IL PIU' IRRAZIONALE, OCCUPA IL PRIMO POSTO E LA POLITICA E' SOLO UN DINOSAURO DI BUROCRAZIA…