arbasino

ALBERTO E STEFANO: LO STRUGGENTE RICORDO DELLO STORICO DELL’ARTE GIOVANNI AGOSTI – “STEFANO IMPECCABILE E MUSONE, STEFANO CON LA R, STEFANO MANGIATO CON GLI OCCHI IN ASCENSORE DA JACQUELINE KENNEDY, STEFANO CHE DISEGNA GLI OMINI INTRECCIATI SULLA COPERTINA DI ‘’SESSANTA POSIZIONI’’: UNA PROIEZIONE DI ALBERTO? O, MEGLIO, UNA DELLE GRANDI STORIE D’AMORE DELL’ALTRO SECOLO? LA NOTTE TOTALE È COMINCIATA QUANDO STEFANO NON C’È STATO PIÙ’’

GIOVANNI AGOSTI

Giovanni Agosti per il manifesto

 

caravaggio 9

Come dovesse finire la partita Alberto Arbasino l’aveva ben chiaro: voleva un funerale in Santa Maria del Popolo, a Roma, a pochi passi da casa sua, con una messa celebrata all’altare della cappella Cerasi, lì in fondo, a sinistra del presbiterio, lì dove sulle pareti stanno la Crocifissione di San Pietro e soprattutto la Conversione di Saulo del Caravaggio, lì dove era stato celebrato il funerale di Carlo Emilio Gadda.

 

arbasino gadda

Aveva chiari anche in testa i pezzi musicali che voleva si ascoltassero durante il rito ed era convinto che sarebbe stato il «morto del rione»: un’espressione che non conoscevo e che mi faceva ridere, mentre spiegava minutamente i dettagli della cerimonia. Non eravamo al Bolognese, dove mi invitava di solito (e dove, per esempio, era scattata la scintilla che aveva portato al ritrovamento del «Dosso di Bombay»), ma a una più semplice trattoria, passato piazzale Flaminio, il cui oste lui chiamava il Socrate romano o qualcosa del genere.

moravia arbasino

 

Voleva insomma morire da lombardo a Roma, come l’autore della Cognizione del dolore o come l’autore odiato-amato (ma poi soprattutto amato e perdonato) di Senso e di Ossessione.

 

Ora niente di tutto questo è possibile, in mezzo a una peste diversa dall’altra attraverso cui siamo passati quando eravamo giovani e che sembrava colpire, almeno nel mondo occidentale, soprattutto quelli come noi; in più Alberto aveva vissuto la guerra, aveva visto suo padre arrestato dai fascisti: una vicenda che aveva cercato di dimenticare, sigillata dentro di sé.

 

Arbasino e Suni Agnelli in parlamento d

Provo a scegliere qualcuno degli episodi di una lunghissima amicizia che mi sono venuti a visitare questa notte, interrotta solo dai fischi delle autoambulanze. Comincerò dalla fine, cercando di procedere – è una deformazione professionale – in ordine cronologico e andrò avanti fino a che lo spazio concesso dal numero delle battute me lo permette; il resto, come diceva Desideria, sarà, semmai, per un’altra volta.

PIRANESI ROVINE ROMA

 

La chiesa di Krautheimer

L’ultima occasione d’incontro mi è ben chiara, anche se non sapevo che sarebbe stata tale: al principio del 2018, a casa sua a Milano, in via Molino delle Armi. Era già una stagione in cui la conversazione di Alberto, un tempo fluida e imprevedibile e inarrestabile, si era trasformata in una litania di «grazie, grazie» e «auguri, auguri». C’era in quelle espressioni una sorta di riconoscenza, che gli scappava malgré soi con chiunque.

piranesi zps2bca03c4

 

Ma superata la barriera, ormai da qualche tempo rituale, di quelle espressioni, c’era ancora posto per la commozione davanti a un tramonto che incendiava la basilica di San Lorenzo. Ci ricordavamo tutti e due che Richard Krautheimer, il massimo conoscitore della Roma medioevale e barocca, la considerava la chiesa più bella dell’Occidente: e Alberto la vedeva ormai tutti i giorni dalle finestre della sua stanza, dal suo balcone.

 

poussin - rinaldo-and-armida

In casa erano già stati fatti i lavori per ricavare dal salotto, con le incisioni di Füssli e di Piranesi, uno spazio per una persona che potesse accudirlo; Stefano infatti era gravemente malato e molto provato da una situazione da anni difficile, tanto da avere deciso di fare abbandonare Roma ad Alberto e di tenerlo con sé a Milano. Tranne la presenza dei famigliari dell’uno e dell’altro, erano entrambi molto soli; quasi nessuno li andava a trovare, pochi si facevano vivi al telefono. Stefano mediava con il mondo e infatti la notte totale è cominciata quando lui non c’è stato più.

La fine del mondo di Ernesto De Martino

 

Stefano il «prisonnier» degli anni Sessanta, Stefano impeccabile e musone, Stefano con la r, Stefano mangiato con gli occhi in ascensore da Jacqueline Kennedy, Stefano che disegna gli omini intrecciati – quasi dei Keith Haring ante litteram – sulla copertina di Sessanta posizioni: una proiezione di Alberto? O, meglio, una delle grandi storie d’amore dell’altro secolo?

 

Vado all’indietro di un paio d’anni, direi il 2016: Alberto a casa mia, tra il disordine dei volumi, che occupano tutti gli spazi possibili, indica La fine del mondo di Ernesto De Martino, l’esito interrotto di una ricerca sulle apocalissi culturali, che metteva insieme Proust e i movimenti di liberazione del terzo mondo, e dice: «Che grande libro».

 

arbasino inge feltrinelli

Mai e poi mai avrei pensato che De Martino potesse stare tra i riferimenti di Alberto. La sua era una cultura solidissima, cementata di nozioni e di erudizione, di genealogie e di conflitti. Ricordava, senza difficoltà alcuna, le coalizioni contro Napoleone o gli intrighi alla corte del Re Sole. Ma l’esibizione di tutte quelle parentele non era fine a sé stessa, come dicevano i suoi detrattori (perché Arbasino ne ha avuti moltissimi, ora apparentemente dissolti come neve al sole).

 

arbasino pasolini benedetta al premio strega

In altre parole, lui aveva ben chiaro che le opzioni della storiografia italiana, mettiamo quella del Cinquecento, non si riducono alla contrapposizione binaria, e manualistica, tra Machiavelli e Guicciardini. Stava, con il suo cuore e la sua testa di lombardo, dalla parte, laterale, di Paolo Giovio. O, spostando la questione in un altro contesto e per renderla appena più facile a cogliersi, da quella di Saint-Simon.

 

Quando gli dicevo di Dionisotti e di quanto quella lezione, tra storia e politica, fosse stata e fosse importante per me, lì mi sfuggiva. Un «non lo conosco abbastanza», «non l’ho mai letto»: e passava via con una boutade, magari un accenno al fatto che la figlia del sommo italianista aveva recitato in Intimacy di Chéreau, il film tratto da un racconto di Kureishi. E via per un altro giro tra gli ottovolanti del gusto.

gadda

 

Non è difficile recuperare nella memoria l’ultima notevole uscita pubblica di Arbasino a Milano: erano i giorni d’avvio dell’Esposizione universale, quindi l’inizio di maggio del 2015, e Anna Crespi aveva organizzato, apparentemente senza una ragione, una serata per Alberto agli Amici della Scala, anzi gliel’aveva chiesta lui.

 

arbasino

C’erano tutti i suoi amici; io e Carlo Feltrinelli riuscivamo ancora, in quel contesto e tra quelle anagrafi, a fare la parte dei giovani: e Alberto ci è venuto incontro pronunciando dei numeri, apparentemente senza senso, ma poi ha preferito altre compagnie. Orsi entrambi, Carlo e io, siamo venuti via quasi subito e sul marciapiede di via dei Giardini ci siamo interrogati, come da ragazzi, sul significato di quelle cifre: quasi contenessero un segreto.

 

Ma quella festa, ce lo siamo detti subito dopo, era un po’ come quella d’addio in Veronika Voss, il penultimo, lampeggiante, film di Fassbinder (che Alberto aveva incontrato, al principio degli anni Settanta, alla Deutsche Asche, a Monaco, avendo immediatamente compreso che si trattava di un genio). E quindi Memories are made of this.

 

Una galleria di congedi

arbasino

Un po’ prima, quando Alberto faceva ancora un po’ di vita sociale a Milano ed erano usciti da poco, da Adelphi, i suoi Ritratti italiani: in sostanza una galleria di congedi. Una colazione a casa di Rosellina Archinto; io arrivo un po’ prima di lui e Rosellina e Inge mi parlano della fotografia di Alberto comparsa, a tutta pagina, sulla copertina del supplemento del Corriere della Sera: un’immagine per loro incomprensibile, per il disordine fisico, dai capelli alla vestaglia, alle rughe esibite, con cui si era presentato davanti all’obiettivo, e, allora, in coro, un: «perché tu, che sei un uomo, non gli dici qualcosa?». Proprio io, la persona meno adatta in quel ramo del reale: Alberto, con quell’immagine, dichiarava che per lui la recita era finita; era in camerino e si stava struccando.

 

Calasso arbasino

Un’altra freccia di stanotte, più antica (ma non certo la più antica), era la visita nel 1994 al Poussin del Grand Palais, a Parigi; io ero con Luciano Bellosi, che non amava il pittore normanno («andrei più volentieri a vedere una mostra di Laurent de La Hyre», mi aveva detto sull’aereo). Incontriamo Alberto tra le sale della mostra e ne guardiamo un pezzo insieme, stupiti dalla luce naturale che insolitamente si rovescia sui dipinti, al posto dei soliti fari e faretti.

 

cover petrolio pasolini

Alberto, come me, era invece un fanatico di Poussin: il Rinaldo e Armida del Dulwich College era appena finito sulla copertina dei suoi definitivi Fratelli d’Italia; c’era già stato, nella versione Einaudi 1976 di quel capolavoro, il Trionfo di Nettuno di Filadelfia. Luciano era stupito dalla sensibilità per la pittura che Alberto dimostrava in ogni tratto, dal suo senso della qualità.

Giorgio Morandi e Roberto Longhi

 

E sì che lui non era mai riuscito a capacitarsi della mia passione per i Fratelli d’Italia: insieme a Petrolio e da prima di Petrolio, il libro della mia vita, quello che mi ha dato un orizzonte, a cui sono ricorso nei momenti belli e brutti, i cui personaggi – perché lì ci sono i personaggi, immortali, proprio come quelli dei Promessi Sposi, anche se Alberto voleva e credeva che fossero solo funzioni – mi stanno di fronte in tante circostanze dell’antropologia quotidiana.

 

Di fronte ai Baccanali e ai Sacramenti Luciano aveva capito che erano entrambi allievi dello stesso maestro, Roberto Longhi, che aveva letto e riletto e corretto la tesi dell’uno e i racconti dell’altro. Ma adesso il tempo è scaduto; ci tocca la prima linea.

ARBASINO AL PIPERARBASINO PROVE CARMENALBERTO ARBASINOarbasinoarbasinoArbasino e DagoArbasino arbasino

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni maurizio belpietro francesco saverio garofani sergio mattarella

DAGOREPORT - IL “PIANO DEL QUIRINALE PER FERMARE MELONI” NON ESISTE: LO “SCOOP” DELLA “VERITÀ” È STATO CONFEZIONATO CON L’OBIETTIVO DI PRENDERE DI MIRA SERGIO MATTARELLA, COME MASSIMA RAPPRESENTANZA DI QUEL "DEEP STATE" CHE I CAMERATI DI PALAZZO CHIGI HANNO SUL GOZZO – LA STATISTA DELLA SGARBATELLA SOGNA L’EGEMONIA ISTITUZIONALE: BOCCIATO IL PREMIERATO, VUOLE CAMBIARE CON LA FORZA IL SISTEMA MODIFICANDO LA LEGGE ELETTORALE E INSERENDO IL NOME DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO SULLA SCHEDA (COSI' DA BYPASSARE DI FATTO I POTERI DI NOMINA DEL PREMIER CHE SPETTANO AL COLLE) - MA NON TUTTO FILA LISCIO: LEGA E FORZA ITALIA SI OPPONGONO PERCHE' NON VOGLIONO ESSERE CANNIBALIZZATI DA FDI E IN CAMPANIA E PUGLIA SI PROSPETTA UNA BATOSTA PER IL CENTRODESTA - DA QUESTO DERIVA QUEL NERVOSISMO, CON VITTIMISMO PARACULO ANNESSO, CHE HA SPINTO GIORGIA MELONI A CAVALCARE IL “COMPLOTTO DEL COLLE” – E SE FDI, PER BOCCA DI BIGNAMI E MALAN, NON AVESSE RINCULATO, DAL QUIRINALE SAREBBE PARTITO UN SILURO A TESTATA MULTIPLA...

francesco saverio garofani sergio mattarella giorgia meloni maurizio belpietro

DAGOREPORT - MA QUALE “COMPLOTTO DEL QUIRINALE CONTRO GIORGIA MELONI”! DIETRO ALLA DIFFUSIONE DELLE PAROLE DI FRANCESCO SAVERIO GAROFANI ALLA “VERITÀ” DI BELPIETRO C'E' UNA “GOLA PROFONDA” UN PO’ PASTICCIONA, CHE SI E' FATTA SGAMARE IN MEZZA GIORNATA - DAGOSPIA È IN GRADO DI AGGIUNGERE ALCUNI DETTAGLI SULLA CENA DI GIOVEDÌ 13 NOVEMBRE ALLA TERRAZZA BORROMINI. A TAVOLA C’ERANO SEDICI PERSONE: OLTRE ALL’ORGANIZZATORE, LUCA DI BARTOLOMEI E A FRANCESCO GAROFANI, C’ERANO MANAGER, CONSULENTI, UN AD DI UNA BANCA, DUE CRONISTI SPORTIVI E…UN GIORNALISTA CHE IN PASSATO HA LAVORATO IN UN QUOTIDIANO DI DESTRA, GIA' DIRETTO DA BELPIETRO. SARÀ UN CASO CHE LA MAIL A FIRMA “MARIO ROSSI”, DA CUI È NATO LO “SCANDALO”, SIA STATA INVIATA ANCHE AL MELONIANO "IL GIORNALE" (CHE PERO' L'HA IGNORATA)? - IL CONTESTO ERA CONVIVIALE, SI PARLAVA DI CALCIO E DEL PD, MA GAROFANI NON HA MAI PRONUNCIATO LA PAROLA “SCOSSONE”, CHE INFATTI NELLA MAIL ORIGINALE NON C’È - L’AUDIO? ANCHE SE CI FOSSE, BELPIETRO NON POTREBBE PUBBLICARLO PERCHÉ SAREBBE STATO CARPITO ILLEGALMENTE...

maurizio belpietro giorgia meloni la verita

DAGOREPORT - IL GIOCO DI PRESTIGIO DI MAURIZIO BELPIETRO: LO "SCOOP" SUL PRESUNTO “PIANO DEL QUIRINALE PER FERMARE LA MELONI” È BASATO SULLE PAROLE “PROVVIDENZIALE SCOSSONE”, CHE IL CONSIGLIERE DEL COLLE, FRANCESCO SAVERIO GAROFANI, AVREBBE PRONUNCIATO ALLA CENA DOPO L’EVENTO IN RICORDO DI AGOSTINO DI BARTOLOMEI. MA NELLA MAIL ANONIMA CHE SEGNALA LA VICENDA A "LA VERITA'" QUELLE DUE PAROLE NON SONO VIRGOLETTATE: SEMBRANO ESSERE UN RAGIONAMENTO DELL’AUTORE, IL MISTERIOSO "MARIO ROSSI" – “LINKIESTA”: “PER CAPIRE COSA PENSI MELONI BISOGNA LEGGERE ‘LA VERITÀ’, ESATTAMENTE COME PER CAPIRE COSA PENSI GIUSEPPE CONTE BISOGNA LEGGERE ‘IL FATTO’. QUANTI SI BEVONO OGGI LA FAVOLA DELLA SVOLTA ATLANTISTA ED EUROPEISTA DI MELONI, FAREBBERO BENE A LEGGERE ‘LA VERITÀ’, SMACCATAMENTE FILO-PUTINIANO, NO VAX E NO EURO. LA VERITÀ DEL GOVERNO MELONI STA LÌ”

tommaso cerno antonio giampaolo angelucci alessandro sallusti il giornale

FLASH! – COME PREVISTO, ANTONIO E GIAMPAOLO ANGELUCCI HANNO DECISO CHE, A PARTIRE DAL PRIMO DICEMBRE, AVVERRÀ IL CAMBIO DI DIREZIONE DE “IL GIORNALE” CON L’ARRIVO DI TOMMASO CERNO CHE, A SUA VOLTA, VERRÀ RIMPIAZZATO A “IL TEMPO” DA DANIELE CAPEZZONE – MALGRADO LA PROPOSTA DI ANDARE ALLA DIREZIONE EDITORIALE DE “IL GIORNALE”, AL POSTO DI VITTORIO FELTRI, CHE PASSEREBBE A QUELLA DI “LIBERO”, ALESSANDRO SALLUSTI NON L’HA PRESA BENE: IL BIOGRAFO DI GIORGIA MELONI LO CONSIDERA UNA DIMINUTIO PER IL SUO PRESTIGIO E MIREREBBE A DARE VITA A UN PROGETTO MEDIATICO CON NICOLA PORRO…