BETTER CALL BOB – COSA FARÀ BOB ODENKIRK DOPO LA FINE DI “BETTER CALL SAUL”, IL PREMIATISSIMO PREQUEL/SPINOFF DI BREAKING BAD? – “NON RIUSCIRÒ MAI A LIBERARMI DI LUI E MI STA BENISSIMO. SE DEVO ESSERE DEFINITO DA UN SOLO RUOLO NON È AFFATTO MALE” - “LA RECITAZIONE MI SPAVENTAVA, ABBIAMO VISTO TANTI ATTORI FINIRE IN MODO STRANO. NON È SOLO PERCHÉ SONO PIENI DI SOLDI, MA PERCHÉ ESSERE UN'ALTRA PERSONA PER 6-8 ORE AL GIORNO TUTTI I GIORNI PER ANNI È UNO SFORZO PARTICOLARE...”

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Valentina Ariete per “la Stampa”

 

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«Saul non è solo un avvocato doppiogiochista. È anche una persona dolce, un ragazzo cattolico di Chicago con un grande senso di colpa. Vuole davvero entrare in connessione con le persone. Mi ha offerto un ventaglio di emozioni vastissimo da interpretare. Se devo essere definito da un solo ruolo diciamo che Saul non è affatto male. Non riuscirò mai a liberarmi di lui e mi sta benissimo. È una parte monumentale». 

 

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Ha ragione Bob Odenkirk quando parla così del protagonista di Better Call Saul, spin-off di Breaking Bad appena concluso con un finale perfetto. In sei stagioni la serie creata da Vince Gilligan e Peter Gould ha trasformato completamente non soltanto il personaggio dell'avvocato senza peli sulla lingua Saul Goodman, ma anche il suo interprete, che da attore comico si è scoperto anche grandissimo interprete drammatico. 

 

Lo riconosce lo stesso Odenkirk che parla così del suo percorso: «Ho sempre amato fare stand-up e recitare. La recitazione però mi spaventava: perché ti costringe a diventare più consapevole di te stesso. Metti sempre un po' di te nei tuoi personaggi e questo mi terrorizzava».

 

 Perché? 

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«Non so se è un'abilità o una cosa inquietante, ma sono in grado di perdermi totalmente nelle mie fantasie. Questo mi ha aiutato molto con Saul, l'alter ego di Jimmy McGill. Ho però cercato anche di sviluppare una tecnica, perché non si può contare sempre sull'istinto. Ho imparato da Bryan Cransotn, Michael McKean, Rhea Seehorn, attori che hanno studiato recitazione per tutta la loro vita: guardandoli mi sono formato. 

 

Questo è un bellissimo lavoro, ma può anche incasinarti: abbiamo visto tanti attori finire in modo strano. Non è solo perché all'improvviso sono pieni di soldi, è proprio il lavoro a essere strano. Essere un'altra persona per 6-8 ore al giorno tutti i giorni per anni è uno sforzo particolare».

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 A proposito di sforzi: alla Mostra di Venezia è stato presentato Worlds Apart di Cecilia Miniucchi, girato a distanza durante il lockdown. Com' è stato? 

«Ho detto sì perché volevo spaventarmi: mi piace correre rischi. Abbiamo girato all'inizio del lockdown, in un momento terribile. I miei figli erano nelle loro stanze, a seguire le lezioni. Facevamo finta che tutto sarebbe andato bene, ma non ne avevamo idea. La telefonata di Cecilia era inaspettata. 

 

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Ha pensato a tutto: abbiamo girato con gli iPhone, lei ci ha diretto tramite FaceTime. È stato come fare un puzzle. Non avevamo ancora girato la sesta stagione di Better Call Saul e mi sono chiesto se avrei mai potuto recitare di nuovo. Quindi mi sono buttato. Poi sono un grande fan di Danny Huston: quando mi ha detto che ci sarebbe stato anche lui nel film ho accettato subito». 

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Girare durante il lockdown ha reso tutto più difficile o ha aiutato la creatività? 

«Eravamo in una situazione molto simile a quella dei personaggi. E l'abbiamo usato: io stesso ho lasciato la tv accesa per settimane per ascoltare le notizie. Alla fine non sapevo più perché le stavo ascoltando. Aspettavo novità incoraggianti, l'annuncio di un vaccino. E i personaggi nel film fanno lo stesso. Cecilia voleva fare una commedia romantica, ma nel mezzo si è messa la pandemia. Ho potuto lavorare con le mie vere emozioni». 

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Saul come avrebbe affrontato il lockdown? 

«Sarebbe impazzito! Avrebbe fatto causa al virus. È un personaggio che vive di interazione sociale: non vuole restare solo, soprattutto con i suoi pensieri. Sarebbe impazzito, come è successo a molti di noi». 

 

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Dice che ha paura di esporsi troppo ma ha scritto un libro di memorie, Comedy, Comedy, Comedy, Drama. Perché?

 «Amo le biografie delle persone di spettacolo. Mi fanno ridere: ne ho lette due sui Van Halen e non mi piacciono nemmeno! Mi appassiona leggere dei progetti che non vanno in porto, delle cose che succedono dietro le quinte. Adoro il rischio che la gente di spettacolo vive ogni giorno. Ho provato a raccontare il mio viaggio nello show business. Per me leggere le esperienze di altri che cercano di creare qualcosa è fonte di grande ispirazione. Per esempio adoro i video di David Lynch su YouTube: non sono come i suoi film, ma amo il fatto che li voglia fare ogni giorno».

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