IL CINEMA DEI GIUSTI - ANCHE SE ODIATE I FILM SULLA REALTÀ VIRTUALI, SPESSO CACIARONI E POCO SOPPORTABILI, QUESTO “READY PLAYER ONE”, MISCHIONE DI FANTASCIENZA E REALTÀ VIRTUALE SOTTO LA REGIA DI STEVEN SPIELBERG, NON SOLO HA MOMENTI DI GRANDE DIVERTIMENTO MA CERCA DI RAGIONARE SU COSA SIA UNA REALTÀ VIRTUALE E COSA SIA UNA REALTÀ - VIDEO

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Marco Giusti per Dagospia

 

READY PLAYER ONE READY PLAYER ONE

Realtà virtuale in salsa Spielberg. Piena di citazioni anni ’80 da nerd antichi, dall’Overlook Hotel di Shining, compresa di camera 237, al ritorno di Mechagodzilla e di Iron Man. E, ancora, The Breakfast Club di John Hughes, la DeLorean DMC-12 di Ritorno dal futuro, i T-Rex di Jurassick Park, Joan Jett, Gundan, Chucky la bambola assassina.

 

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Anche se odiate i film sulla realtà virtuali, spesso caciaroni e poco sopportabili, questo Ready Player One, mischione di fantascienza e realtà virtuale sotto la regia di uno Steven Spielberg reduce dal super-realistico The Post, scritto da Zack Penn e da Ernest Cline e tratto dall’omonimo romanzo di Cline, non solo ha momenti di grande divertimento, più o meno come un Lego-Batman, soprattutto quando riconosci i riferimenti anni ’80 o quando entri dentro l’Overlook Hotel, ma cerca di ragionare su cosa pensiamo oggi sia una realtà virtuale e cosa sia una realtà.

 

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Visto, proprio come nel film, che la realtà virtuale è una sorta di wunderkammer o di cameretta da bambini piena zeppa di ogni film, videogioco e pupazzo del passato, stipati senza una logica temporale, mentre la realtà-realtà è una sorta di discarica favela alla Roma-fa-schifo o alla Bassifondi di Gor'kij, da dove non può che nascere una rivoluzione. Rivoluzione contro un potere di oligarchi, capitanati qui da Ben Mendolsohn, che vuole il controllo della mente dei ragazzini, chiusa bene dentro il videogioco Oasis.

 

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Un gioco che i ragazzi di tutto il mondo giocano e che vivono non come raltà virtuale, ma come realtà. Al punto che è lì che si giocherà la rivoluzione, dal momento che l’inventore del gioco, il supernerd James Halliday, interpretato da Mark Rylance, comprendendo il potere negativo della dipendenza dal gioco, ha nascosto un percorso complicatissimo che porterà a tre chiavi e solo grazie a queste tre chiavi si arriverà a un Easter Egg con il quale il vincitore diventerà padrone assoluto di Oasis e quindi il padrone assoluto della realtà non solo virtuale. Ovvio che gli eroi del film sono i ragazzi e i loro avatar, Tye Sheridan come Wade/Parzifal, Olivia Cooke come Samatha/Art3mis, Lena Waithe come H/Aech, Wim Morisaki e Philip Zhao, e che saranno loro a contendersi il Santo Graal, cioè l’Easter Egg che potrà ribalterà il potere dalle mani di pochi a quelle dei ragazzi e porterà alla luce la Verità.

 

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Come già in Black Panther e in Wonder Woman, anche in Ready Player One il passato, inteso come storia e immaginario, e il presente, inteso come puro intrattenimento e campo di gioco, funzionano da base per una rivoluzione che vedrà scendere sul campo di battaglia i puri di cuori, anche se non si capisce sempre bene chi sia il nemico.

 

Ma è curioso notare quanto l’immaginario del passato, leggibile qui nella realtà virtuale. si stia sempre di più comprimendo, come le macchine schiacciate della favela-discarica di Wade/Parzifal, in una sorta di poltiglia di un sempre-presente che sembra farci perdere ogni traccia di una profondità della memoria.

 

Malgrado ogni sforzo da 3D, è proprio l’immagine unidimensionale della memoria dei ragazzini protagonisti, e magari anche quella dei più vecchi, a farci uscire un grido di allarme per la scomparsa, non diciamo delle neiges d’antan, ma di quello scarto tra presente e passato citazionista che ci dava il post-moderno già all’epoca di Sergio Leone riletto da Baudrillard. Spielberg comprime tutto e ce lo mostra come una memoria senza profondità. E’ questo il presente del nostro immaginario?

 

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Dove è Sterling Hayden che piange in 1941 davanti alla mamma di Dumbo? Dove è Bertolucci che cita Johnny Guitar in C’era una volta il West e in 900? Possiamo capire che Spielberg voglia sentirsi giovane e fare film sul presente, non adorabili vecchiumi scalfariani come The Post, ma alla fine sembra anche un po’ ridicolo con tutta questa estetica da videogiochi da ragazzini e, magari, il primo a essere schiacciato dall’operazione e dalla massa di cianfrusaglia sembra proprio lui.

 

Anche se, a tratti, il vecchio King Kong, il grosso Mechagodzilla, perfino Chucky vengono fuori dallo schermo con un intatto piacere. E dalla macchina cinema vengono fuori gli occhi della cattiva Hannah John-Kamen. Ma quanto è più moderno il ragionamento sul proprio passato di Black Panther e sulle origini della violenza? Il problema è che per Spielberg il Santo Graal, l’Easter Egg, è sempre stato il gioco in sé, mai la storia e la memoria. In sala dal 27 marzo.

 

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