Luca Pallanch per “La Verità”
John Lennon - foto Emilio Lari
Emilio Lari ha lasciato un segno indelebile nella fotografia e nel cinema. Le foto di centinaia di film che sono passate di fronte ai nostri occhi portano la sua firma. Ha immortalato star e starlette, stabilendo un ponte tra Cinecittà e Hollywood, con una tappa a Londra, dove ha realizzato la sua impresa più memorabile: catturare l'immagine dei Beatles agli inizi della loro trionfale ascesa. E tramandarla per sempre.
Come ha cominciato a fare il fotografo?
«Ho avuto un interesse particolare per la fotografia fin da bambino. Quando avevo cinque-sei anni, le truppe americane si erano piazzate con la tenda a Villa Borghese e i miei fratelli, siccome non c'era niente da mangiare, rubarono uno zaino sperando che ci fosse qualcosa di buono invece conteneva solamente delle maschere antigas e una scatola con una carta arrotolata bianca che, esposta al sole, diventava nera. Io vi appoggiavo la mano sopra e, quando la toglievo, rimaneva l'impronta: avevo cominciato a capire il negativo. E da lì è partito tutto».
Come ha coltivato questa passione?
«Mio padre mi comprò, a dieci-undici anni, una macchina fotografica, solo che io la vendetti di nascosto per andare a Ostia. Non avevo mai visto il mare! A casa se ne accorsero subito perché, con i soldi avanzati, mi ero comprato un pallone e una maglia della Roma.
Come mamma mi ha visto con il pallone ha capito che c'era qualcosa che non andava: "Dove ha preso i soldi?" e mi hanno menato tutti! Poi però mia sorella, che era la segretaria di Angelo Rizzoli, chiese a Pierluigi Praturlon, il fotografo de La dolce vita di Fellini, di prendermi con lui. Allora, a parte i giornali e le riviste, il vero business era stampare la fotobusta che veniva spedita a tutti gli esercenti per invogliarli a proiettare i film».
Quindi ha cominciato come stampatore?
«Sì, ero diventato talmente bravo che, in tre-quattro persone, stampavamo ottocento fotografie al giorno. Però dopo sei mesi mi tolsi il grembiule bianco e andai da Pierluigi: "Guarda che io voglio fare il fotografo, non voglio fare lo stampatore". "Allora vattene". Gli tirai il grembiule e me ne andai».
martin scorsese e robert de niro sul set di toro scatenato foto emilio lari
E Pierluigi?
«Non feci in tempo ad arrivare a casa che mi telefonò: "Domani devi andare in Calabria con un giornalista dell'Europeo". Partimmo per Rossano, dove era successa una storia incredibile: uno sceicco era stato mandato in esilio dopo un colpo di Stato e aveva messo incinta una donna sposata.
Poi era stato reintegrato nel Paese d'origine e alla sua morte aveva lasciato molti soldi al figlio, che faceva il pastore. Questi era andato a ritirarli, però la ricchezza gli aveva dato la testa ed era rimasto a vivere lì, lasciando moglie e due figli in Calabria. In paese avevano fatto una sottoscrizione per pagarle il viaggio, ma quando lei lo aveva raggiunto, lui si era accorto che era incinta di tre-quattro mesi e l'aveva cacciata.
Quando entrai nella stalla per fotografare la donna dello sceicco, nel passaggio dal sole cocente al buio quasi assoluto, sentii uno scricchiolio sulla testa, scattai e la colsi con il secchio per il latte, di alluminio pesante, intenta a colpirmi. Se mi avesse presa, mi avrebbe ammazzato!».
Come andò questo reportage?
«Benissimo. Naturalmente Pierluigi non mi disse niente, però il giornalista commentò: "Questo è forte...". A quel punto, siccome parlavano tutti dei Beatles, decisi di andare a Londra. Partii da Roma con una Fiat 600, tre giorni di viaggio, con una sosta a Parigi».
i beatles sul set di help fotografati da emilio lari
Com' è riuscito ad agganciarli?
«Una sera era a casa dell'attore Laurence Hardy, il quale mi chiese: "Che sei venuto a fare qua?". "Per imparare l'inglese e per fotografare i Beatles". "Io conosco il regista del loro film A Hard Day' s Night [Tutti per uno, ndr], Richard Lester" e mi diede il suo indirizzo. Era sabato e mi misi in cerca della casa del regista. Non parlando inglese, mi fermavo per strada, mostravo l'indirizzo e quando mi facevano il verso di girare dicevo: "Thank you", svoltavo e chiedevo di nuovo a un altro passante. Pioveva, non ti dico com' ero ridotto!».
Alla fine riuscì a trovare la casa di Lester?
«Con grande fatica. Suonai e venne proprio lui ad aprirmi. Cominciai a impapocchiare una storia: gli raccontai che ero venuto dall'Italia per conto de L'Europeo per fotografarlo mentre girava. Naturalmente lui non mi credette, lo capivo dal suo sguardo, ma, vedendo che ero tutto fracico e apprezzando la mia intraprendenza, mi diede un asciugamano e mi offrì un tè.
Poi mi disse: "Vieni domani perché giriamo in una stazione della metropolitana che si chiama Marylebone". Io lo ringraziai e uscii. "Marylebone?", una stazione con un nome francese?! Non ci credevo. Allora sai cosa ho fatto? Mi misi con la macchina davanti al cancello di casa sua e rimasi a dormire lì».
La mattina dopo?
«A un certo punto sentii battere sulla macchina con un bastone. Era lui: "Devo andare a lavorare". Non poteva uscire dal cancello. Lo seguii e arrivai davanti a Marylebone Station, che, tra l'altro, stava a duecento metri dalla pensione dove soggiornavo! Quando arrivai sul set, lui rideva come un matto per questa storia e tutta la troupe pensò che fossi un suo amico, quindi tollerò la mia presenza tutto il giorno.
marlon brando nel film candy e il suo pazzo mondo foto emilio lari
Rispettai l'idea originale di fotografare Lester che dirigeva i Beatles. Il giorno dopo andai in un'agenzia e quando il proprietario seppe che avevo fotografato i Beatles cambiò espressione. Sviluppammo le foto e la sera stessa il servizio fu venduto per ventimila sterline. Io prendevo centoventi pound al mese!
Lavoravo per Pierluigi, il quale venne da Roma per prendersi la sua parte e a me offrì una cena in un ristorante italiano a Soho, poi da sotto il tavolo mi allungò cinquanta pound. Ci rimasi male. Gli dissi: "Allora facciamo una cosa: io lavoro per conto mio, tu vendi le foto e ti tieni il trentacinque per cento". Così cominciai a fare il freelance e per dieci anni proseguì la collaborazione con Pierluigi in questi termini. Comunque come fotografo Praturlon era un mostro».
Poi ha lavorato sul successivo film dei Beatles...
George Harrison in Help foto Emilio Lari
«Mandai a Lester una serie delle fotografie scattate, lui le apprezzò e quando doveva girare Help!, mi fece rintracciare per invitarmi una settimana sul set. Quelle foto le ho vendute in tutto il mondo e ho pubblicato due libri».
Com' erano i quattro musicisti caratterialmente?
«John Lennon era serissimo, Paul McCartney era molto divertente, scherzava continuamente, mi cercava mettendosi in posa. George Harrison era anche lui serio e, secondo me, l'unico che suonava veramente bene, Ringo Starr, invece, era un miracolato perché non era un grande batterista. Opinione personale».
scorsese de niro - foto Emilio Lari
Ha continuato a lavorare in film internazionali, a cominciare da Candy di Christian Marquand, con un cast incredibile.
«Mi telefonò un tipo con un vocione e l'accento texano, il quale mi disse che gli avevano fatto il mio nome.
Pensai fosse uno scherzo del mio amico Stefano Libotte, che era un imitatore perfetto. Mi invitò a incontrarlo al Grand Hotel ed effettivamente si presentò un texano, alto due metri, e riconobbi il vocione. Mi disse che stavano preparando un film con un elenco lunghissimo di nomi: Marlon Brando, James Coburn, Richard Burton, John Huston, Walter Matthau, Ringo Starr... Pensai: "Questo è Stefano che ha organizzato uno scherzo dei suoi: ma è mai possibile che facciano un film con dodici attori protagonisti?".
Mastroianni e Eduardo De Filippo - foto Emilio Lari
Lui mi chiese: "Ma quanto prendi a settimana?". Io, pensando fosse uno scherzo, sparai: "Duemila e cinquecento dollari". Nessuno me li aveva mai dati! "Devi essere il più bravo di tutta Italia". "Sì, so' il più bravo di tutti". "Bene. Oggi pomeriggio, alla Dear, cominciamo i provini delle ragazze".
Ci andai: c'erano Peppino Rotunno e alle luci Giuseppe Maccari, poi arrivarono una quarantina di ragazze, una più bella dell'altra, tra le quali spiccava Sydne Rome, che sarebbe diventata mia moglie. Era tutto vero! Cominciai a fare il simpatico e recuperai piano piano la situazione».
Poi ha lavorato su Il Padrino di Francis Ford Coppola.
«Avevo conosciuto Coppola a Los Angeles attraverso la fidanzata di John Milius che era la migliore amica di Sydne. Quando venne a Roma per Il padrino, siccome non gli permettevano di portare il fotografo dall'America, fece una lista di nomi che voleva, tra i quali c'ero pure io.
Il primo giorno di lavorazione Francis venne da me: "Dovresti fotografare bene la faccia di Al Pacino". C'erano una ventina di comparse, vestite tutti da pastori. Mi sono avvicinato: "Chi è Al Pacino?". Non sapevo chi fosse perché non era ancora conosciuto. A un certo punto mi si mise davanti un uomo piccolo che disse sottovoce: "Al Pacino sono io". "Senti, vattene, per favore, ho da fare".
Coppola vide la scena e accorse da me: "Guarda che è Al Pacino!". "È Al Pacino questo? Ma che glie famo fa' er protagonista a 'sto qua?!". Poi anche in questo caso ho recuperato! Ho fatto anche la parte italiana de Il padrino 2 e tutto Il padrino 3, tranne le prime due settimane».
Un'altra perla della sua filmografia è Toro scatenato di Martin Scorsese.
«Nel 1960 Pierluigi mi mandò a fotografare un incontro di boxe al Palazzetto dello Sport e mi diede una macchina americana con nove scatti, mai vista prima. Ho cercato di cogliere l'istante dell'impatto del pugno, quando arriva al volto e poi torna indietro. Sono venute fuori nove fotografie straordinarie: si vedeva il pugno fermo, la testa che arretrava e il sangue che schizzava.
Fecero il giro del mondo. Il direttore dell'ufficio pubblicità della United Artists Saul Cooper se ne ricordò a distanza di anni e mi chiamarono per scattare le foto di scena degli incontri del film di Scorsese.
Robert De Niro, che conoscevo dai tempi de Il padrino, si sorprese quando mi vide sul ring: "Come sei arrivato qua?". Poi feci un reportage sul processo di invecchiamento al quale si sottoponeva al trucco tutte le mattine su C'era una volta in America di Sergio Leone.
La sera andavamo a cena con gli amici e lui aveva ancora addosso il trucco da vecchio! Mi sono sempre divertito, ma ti confesso che il più grande divertimento è stato girare per il mondo con Massimo Boldi, Christian De Sica e gli altri comici dei film dei fratelli Vanzina. Succedeva di tutto!».