dago in the sky

DAGO IN THE SKY, THE END! – STASERA SU SKY ARTE L’ULTIMA PUNTATA DEDICATA ALL’ICONOCLASTIA, “L’IMMAGINE PROIBITA” (LA STORIA DELL’UMANITÀ È SEMPRE LASTRICATA DAL DESIDERIO DI “ROMPERE L’IMMAGINE”, ANCHE OGGI, VEDI IL METOO) – TERMINA DOPO 4 STAGIONI E 30 PUNTATE, UN PROGRAMMA CHE HA MANDATO IN SOFFITTA LA TV ANALOGICA DEL ‘900 - VIDEO

DAGO IN THE SKY - L'IMMAGINE PROIBITA - PROMO

 

L’IMMAGINE PROIBITA – Sky Arte, stasera alle 21,15

Ospiti: Maria Bettetini, Giordano Bruno Guerri, Luigi Mascheroni

 

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Noi pensiamo quello che vediamo. I nostri maestri sono gli occhi. Ecco perché il trionfo dell’immagine è il “pensiero” che mette più paura. Non solo quando figure, disegni e illustrazioni erano il principale mezzo di comunicazione in un’epoca in cui l’analfabetismo dominava e si insegnava la tradizione cristiana come sinonimo di verità attraverso la raffigurazione. Anche al giorno d’oggi, l'immagine è una nostra forma simbolica che è puro pensiero.

 

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E visto che Il destino dell'uomo è alla fine quello di riconoscersi nell'immagine, contro tale culto/idolatria, si oppose l’iconoclastia, dal greco “rompo l’immagine”, un movimento che divise il mondo in due. Basta ricordare un dato fondamentale: sola la cultura occidentale ha una storia dell’arte. Le altre culture, dall’ebraismo all’islamismo, sono invece aniconiche, cioè fanno a meno dell’immagine: è calligrafia, usa in forma artistica la scrittura o i simboli astratti, facendo a meno delle raffigurazioni: non usano mai rappresentare Allah e Maometto come una figura umana.

Dago in The Sky

 

Perché le immagini sono rappresentazioni e in quanto tali possono essere ingannevoli, pericolose, distorte, false. Dio, poi, che è tutto, non può essere ridotto a una figura, una immagine, e inizialmente anche i cristiani evitavano di farlo.

 

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Lasciamo perdere la religione, anche l’arte giunse a detestare ogni rappresentazione figurativa per raggiungere una sua purezza spirituale. Nell’età della fotografia, scompaiono le esigenze della rappresentazione, della fedeltà e della somiglianza dell'immagine all'oggetto, mettendo in moto una spinta iconoclasta.

 

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Gli artisti intendono rappresentare l’esito di uno sforzo intellettuale verso la purezza, non una figura. Durante il periodo delle Avanguardie artistiche, il pittore Wassily Kandinsky, nel suo libro “Lo spirituale nell’arte”, arrivò a sostenere che: “Il contatto dell’angolo acuto di un triangolo col cerchio non ha un effetto minore di quello dell’Indice di Dio con quello di Adamo in Michelangelo”. Anche la scuola dell’Astrattismo e del Razionalismo fecero guerra alla rappresentazione figurativa. Così Mondrian disegna i suoi “alberi”: inizia da uno figurativo e semplifica sempre di più sino ad ottenerne uno con solo linee e quadrati colorati.

 

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L’iconoclastia è il fenomeno caratterizza anche le grandi ideologie totalitarie del XX secolo. Secondo quella pratica che nell'Antica Roma era conosciuta come ‘’damnatio memoriae’’, la Rivoluzione d'Ottobre del 1917 portò alla distruzione di molti monumenti raffiguranti i precedenti zar; vennero abbattute anche moltissime chiese e cattedrali, le quali venivano considerate simbolo dell'Impero e della Chiesa ortodossa, giudicata ricca e corrotta dal popolo ribelle.

 

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La Russia sovietica dichiarò guerra anche alle avanguardie, imprigionò i libri ‘’scorretti’’ negli ‘’scaffali speciali’’ delle biblioteche e la grande pittura del primo Novecento nei solai del Museo Russo di Leningrado. Creò una nuova scuola, il ‘’realismo socialista’’, e ordinò ai suoi artisti di rappresentare l’’’uomo nuovo’’ in tutte le sue manifestazioni: il lavoro, lo sport, la famiglia, la guerra rivoluzionaria e patriottica.

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Ma è il politicamente corretto, vero e proprio morbo del nostro tempo post-moderno (“questo profilattico contro la cultura” scherzava a suo modo Baudrillard), che oggi ci riporta all’iconoclastia. E tutto dipende dal fatto che le immagini sono decisive nel definire la nostra identità sociale, e non solo quella religiosa. Con questa logica, tutti rischiano di essere bollati: ‘L’Olimpia’ di Manet per la scena di sottomissione della domestica nera, Ingres per i bordelli, Balthus censurato per pedofilia.

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Siamo giunti al punto di coprire la “Venere capitolina” per non far precipitare nella concupiscenza i nostri ospiti iraniani.

Era dai tempi dei braghettoni messi da Daniele Da Volterra ai nudi di Michelangelo alla Sistina che non si vedeva una simile ridicolaggine che è, però, un grande omaggio all’arte. Sì, omaggio. Perché se si deve coprire l’arte, significa che l’arte fa ancora paura, quindi trasmette emozioni, quindi è viva. Gli iraniani ci dicono che l’arte europea conta ancora qualcosa.

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