Giuseppina Manin per il “Corriere della Sera”
Per sei giorni lavorano senza tregua per mettere in ordine il mondo degli altri. Il settimo, invece di riposarsi, vanno a giocare a calcio. Meglio, a calciotto, variante amatoriale per otto giocatori, nel caso otto giocatrici. Ragazze di tutte le età, badanti, tate, donne di servizio. Latino-americane soprattutto, ma pure marocchine, moldave, capoverdiane. Immigrate, spesso con figli a carico, spesso senza compagni ad aiutarle.
Donne di fatica e di speranza. Forti e allegre, use a ritrovarsi la domenica su un campetto romano per il loro momento di libertà e divertimento. Sfidandosi nel torneo simile a loro fin dal nome: «Las Leonas». Che è pure il titolo del docu-film di Chiara Bondì e Isabel Achával, prodotto dalla Sacher di Nanni Moretti, il 3 settembre alle Giornate degli Autori di Venezia e dal 15 nelle sale.
Protagoniste loro stesse: Bea, Elvira, Ana, Melisa, Joan, Vania, Siham. Più Moretti, in un cameo a sorpresa. «Nanni è un amico, ha seguito il progetto dall'inizio, ha deciso di produrlo. In più ha voluto offrire le coppe per la premiazione finale» racconta Chiara Bondì, regista e sceneggiatrice.
Imperdibile la scena con Nanni che vaga tra gli scaffali, sollecitato a scegliere le coppe extralarge altrimenti le vincitrici ci resterebbero male. E che siano placcate in argento. Insomma, mormora lui preoccupato, «'na bella spesetta». Soldi spesi benissimo vista la felicità delle calciatrici del Paraguay quando Nanni consegna loro quei trofei.
«Ma a vincere davvero sono tutte - avverte Chiara -. Nessun campionato è così speciale come questo dove le sei squadre in gara sono composte da giocatrici mosse dalla stessa passione, voglia di libertà e riscatto».
Alle spalle tante storie difficili, di povertà, emarginazione, sfruttamento. Come Bea, peruviana, che fin da piccola sognava di diventare Maradona; come Elvira, che ha imparato a tirare la palla in Ecuador nel giardino dove la madre lavorava come domestica e adesso si allena facendo 200 chilometri in bici alla settimana per fare i mestieri qua e là. E Ana, moldava, che dopo aver fatto la donna delle pulizie è riuscita a prendersi un diploma come assistente per bambini in difficoltà.
E le peruviane Melisa e Joan, una che accudisce un signore ultranovantenne, la seconda che divide la stanza con altre tre dandosi i turni per dormire. Vania giocava a calcio a Capoverde e forse avrebbe potuto fare carriera, ma è felice di esser finita nel Paraguay dove gioca anche Siham, marocchina, che sgobba sognando un futuro migliore per la figlia.
«Leonesse nella vita e nel calcio. La cosa più difficile è stata convincerle a fidarsi di noi - assicura Isabel Achával, documentarista di formazione internazionale -. Via via si è creato un legame di simpatia e anche di affetto, il momento più bello è stato quando ci hanno detto: adesso abbiamo capito, volevate dare ascolto alle nostre voci. La festa finale, dove tutte ballano, può sembrare di gusto morettiano, ma è la loro realtà, fatta di ballo, colori, musica».
Della Mostra di Venezia non sanno neanche l'esistenza. «Ma alla prima al Sacher, l'8 settembre, ci saranno tutte - promettono le registe -. E quando si vedranno per la prima volta sullo schermo, l'emozione sarà grande. Per loro e per noi».
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