giuseppe Sgarbi Giuseppe e Rina Sgarbiimage Sergio Frigo per “Il Gazzettino” Giuseppe Sgarbi image
Se non fosse stata già una votazione difficile, quella di ieri mattina per la selezione dei finalisti del Campiello a Padova, ci si è messo Vittorio Sgarbi in serata ad animarla, con una dura polemica contro il Premio per l’esclusione del libro del padre, esordiente a 93 anni con "Lungo l’argine del tempo" (Skira).
Era bastata una sola votazione per individuare i primi tre finalisti (Michele Mari, con 8 voti, Mauro Corona e Giorgio Fontana, con 6), e una seconda per scegliere la quarta, Fausta Garavini; ma poi ce n’erano volute ben altre 4 per selezionare l’ultimo, Giorgio Falco, che solo dopo un serratissimo confronto fra i giurati era riuscito a prevalere su Sgarbi senior (con Luciana Capretti a fare da terzo incomodo).
Un esito che ha visto sconfitta e piuttosto contrariata la presidente della giuria Monica Guerritore, che puntava moltissimo proprio su "Tevere", della Capretti, e su "Rinuncio", di Davide Brullo, di cui si è spinta a leggere un brano sul momento in cui Papa Ratzinger decide di dimettersi.
Mari va in finale con "Roderick Duddle" (Einaudi, ben 496 pagine), vicenda avventurosa di un ragazzino solo al mondo ma possessore di un medaglione di enorme valore che scatena la cupidigia di molti, che «richiama Dickens e Stevenson filtrati attraverso la lettura di Manganelli», come ha commentato il giurato Salvatore Silvano Negro.
Mauro Corona conquista dopo tanti tentativi la finale del Campiello con "La voce degli uomini freddi" (Mondadori), una favola gotica sulla tragedia del Vajont, ma più in generale sulla cupidigia che spinge alcuni uomini ad appropriarsi di risorse naturali che, come l’acqua, dovrebbero essere di tutti. «Sono senza parole - ha commentato lo scrittore - un ertano alla finale del Campiello, questo è il riscatto di una vita intera. L’emozione è grande, a settembre ci sarà da divertirsi».
"Morte di un uomo felice" di Giorgio Fontana (Sellerio) è invece un racconto sul terrorismo e insieme una serrata riflessione sulle motivazioni e le inquietudini di un giovane magistrato alle prese con l’inchiesta sull’assassinio di un politico ma anche con una indagine personale sulla figura del padre, martire della Resistenza. «Che questo libro sia stato scritto da un narratore nato nel 1981, lo stesso anno in cui il suo protagonista viene assassinato, è per me fonte di consolazione», ha scritto Benedetta Tobagi.
Fausta Garavini arriva in finale sulla scorta della ricostruzione, in "Le vite di Monsù Desiderio" (Bompiani), «della storia di un artista disperato attraverso un sapiente intreccio di documentazione e arte narrativa» (Nicoletta Maraschio), ma anche di un luogo (Napoli) e di un momento storico, il ’600 del Barocco, gravidi di umori e stimoli.
Come si è detto, la scelta del 5. finalista è stata combattutissima: Giorgio Falco l’ha spuntata con "La gemella H" (ancora Einaudi) che si immerge nel male del nazismo attraversando la quotidianità affettuosa di una famiglia tedesca trasferita sulla riviera romagnola, per rimuovere nel benessere l’ingombrante passato del capofamiglia. A contendergli il posto è stato il sorprendente esordio narrativo di Giuseppe Sgarbi che se non altro «per la leggerezza con cui è sopravvissuto a tanta famiglia» (Daverio) avrebbe meritato la finale.
È stata la stessa Guerritore a rivelare che Sgarbi è stato danneggiato dal fatto di essere stato indicato, nell’incontro preparatorio di venerdì, per il Premio Opera prima, che successivamente è stato assegnato invece a Stefano Valenti con "La fabbrica del panico" (Feltrinelli), storia familiare raccontata con «stile asciutto e tagliente - come ha scritto la giuria - che diventa corale di fronte alla malattia e alla morte per amianto». Finito fuori dalla rosa dei pre-selezionati, a Sgarbi non è riuscito il recupero nonostante il sostegno di Daverio, Nigro («il romanzo più giovane»), Paccagnini e Calimani.
Un esito che non è piaciuto per niente al figlio Vittorio, che in serata ha sparato ad alzo zero come suo solito: «Sono indignato - ha detto - ma non perchè hanno escluso mio padre, ma perchè hanno perso l’occasione di far parlare di un premio che di suo è morto, e di fare un omaggio a uno dei fondatori, Gian Antonio Cibotto: cosa c’era di meglio che premiare un esordiente ultranovantenne piuttosto che il solito trentenne (in realtà Valenti di anni ne ha 50, ndr)? E cosa di meglio che fare un omaggio a Cibotto, dando spazio a un suo amico, che parla come lui del Po e della vita che gli scorre intorno? Così rinnegano le loro origini, sono degli incapaci. E tutto per far passare due libri Einaudi, una prova della loro mafiosità».
Ce n’è per la giurata Patrizia Re Rebaudengo, a cui «piacciono solo cose schifose anche nell’arte» (omissis), ma ce n’è soprattutto per il premio, su cui Sgarbi promette un vero e proprio «bombardamento», già avviato ieri sera in tv . Non solo: «Ho anche chiesto a Mauro Corona - rivela - di ritirarsi per lasciare posto a mio padre. Vedremo». ELISABETTA SGARBI MAURO CORONA Vittorio Sgarbi monica guerritore nuda a 50 per Vanity Fair MAURO CORONA Vittorio Sgarbi e Massimo Bray