Roberto Croci per “Weekend - la Repubblica”
Le canzoni scritte per questi tre film gli hanno fatto vincere altrettanti Oscar. Poi ci sono decine di album, altre colonne sonore memorabili (come quella di
Scarface e American Gigolò), collaborazioni prestigiose, da Donna Summer a David Bowie fino a Freddie Mercury. E l’ingresso nel 2004 nella Dance Music Hall of Fame. Ma a lui non basta. L’anno scorso con The Celebration of the 80’s ha portato in tour i suoi sessant’anni di carriera. Sì perché Giorgio Moroder, il compositore nato a Ortisei nel 1940 e ora di base a Los Angeles, il prossimo 26 aprile compie 80 anni ed è tornato a fare musica come dj.
Raggiungiamo Moroder nella sua casa vicino a Sunset Boulevard: «Una volta arrivati, salite al 21esimo piano!», tuona con voce giovanile. Bussiamo. Ci viene ad aprire Francisca, la moglie, che ci porta direttamente da Giorgio sul balcone dell’appartamento. Elegante, gentile, in forma splendida, capelli bianchi, baffi a manubrio iconografici, e sorriso stampato su un volto segnato dallo sguardo di chi sa di averla combinata grossa nella vita. Lui e Francisca stanno insieme da trent’anni: «Ero a un pranzo al ristorante Le Dome di Los Angeles.
L’ho vista e mi sono innamorato di lei immediatamente. Le ho chiesto di sedersi con me. Meno male che è stato un colpo di fulmine anche per lei, altrimenti sarebbe andata male: non sono mai stato bravo con le donne. Siamo sposati da trent’anni e abbiamo un figlio, Alessandro, artista. Forse buon sangue non mente visto che anch’io ho studiato pittura da ragazzo, poi sono passato alla musica».
Quando ha cominciato a suonare?
«A 15 anni, avevo capito che suonare la chitarra mi faceva avvicinare alle ragazze. La musica è un linguaggio universale, puoi strimpellare canzoni d’amore e dedicarle a chi ti piace senza farti scoprire. Amavo molto Paul Anka, Diana è stata la prima canzone che ho imparato».
Quando ha iniziato a fare sul serio?
«Ho iniziato nei caffè di Ortisei, e poi sono andato in Svizzera. Suonavo nei club con una piccola band, facevamo cover dei Beatles e rock’n’roll. A 26 anni ho deciso di partire per Berlino perché volevo comporre la mia musica e ho trovato lavoro come tecnico del suono».
Com’era la Berlino degli anni Sessanta?
«Era una città difficile, c’era il Muro ed era un problema muoversi liberamente. Gli ingegneri con cui lavoravo non apprezzavano la mia visione del futuro e mi proibivano di sperimentare. Mi annoiavo moltissimo e quindi nel tempo libero ho iniziato a comporre. Ho scritto il mio primo singolo, Ich sprenge alle Ketten , per Ricky Shayne, un ragazzo libanese di origini italiane famoso anche come attore. Con quel singolo ho venduto 100 mila copie, una cifra abbastanza importante per quegli anni. Poi nel ’69 è arrivato Looky Looky , il mio primo vero successo, un pezzo che mi piace ancora adesso, anche se io come cantante non mi sono mai piaciuto. Con quella canzone sono anche andato al Cantagiro del 1970. Poi mi sono trasferito a Monaco dove ho fondato il mio primo studio di registrazione, i MusicLand Studios».
Dove ha lavorato con musicisti leggendari...
«Si, ho prodotto i grandi artisti come David Bowie, Rolling Stones, Queen, Freddie Mercury, Elton John. In quel periodo molti musicisti abbandonavano l’Inghilterra per questioni di tasse, molti andavano in Francia, altri venivano in Germania. Grazie al compositore classico Eberhard Schoener, ho scoperto il sintetizzatore Moog e me ne sono innamorato. Nello stesso periodo ho conosciuto Donna Summer: mi colpì per la sua voce così calda. Insieme abbiamo registrato I Feel Love . E, come si dice da noi, "the rest is history"».
C’è qualcosa della sua carriera che ricorda con affetto?
«David Bowie, conosciuto attraverso Brian Eno. Fu lui a etichettare le mie composizioni come "la musica del futuro". Lui era un professionista eccezionale. Mentre tutti i musicisti non si presentavano mai prima delle tre del pomeriggio, Bowie alle 11 del mattino era in studio e un’ora dopo avevamo finito. Insieme abbiamo lavorato sul pezzo Cat People (Putting Out Fire) per la colonna sonora di Il bacio della pantera del 1982 e grazie alla nostra intesa siamo riusciti a finire il pezzo in meno di due ore. Mi ricordo che il regista Paul Schrader era senza parole, non poteva credere che all’ora di pranzo, invece di fare un’altra prova avevamo deciso di andare a mangiare!».
La sua passione come dj invece come è nata?
«Ho iniziato per caso. Nel 2012 Louis Vuitton mi chiese di fare una piccola performance con un set di 15 minuti per un fashion show a Parigi. Dopo lo show Elton John voleva che lo aiutassi per il gala di amfAR — la fondazione di Elizabeth Taylor per la ricerca sull’Aids — durante il festival di Cannes. Mi piace girare il mondo e far ballare la gente. Mi diverte e mi impegna creativamente, al punto da suonare spessissimo da Giorgio’s, un club dedicato a me che si trova all’interno dello Standard Hotel di Hollywood. I dj di oggi sono come i direttori di orchestra, puoi comandare e controllare il ritmo di 30 mila persone. Non si tratta di ispirazione, bensì di traspirazione!».
Di recente ha anche composto una "colonna sonora" per i motori elettrici del futuro. Ha una passione per le auto?
«La velocità ha sempre ispirato la mia musica. Call me, il pezzo dei Blondie per la colonna sonora di American Gigolò , è nato proprio pensando a Richard Gere che guida sulla Pacific Coast Highway a Malibu, in California. Mi affascina il rapporto tra uomo e macchina. Le confido un segreto: la musica l’ascolto solo in auto, a casa non ho nemmeno lo stereo».
PIÙ A SINISTRA DEL ROCK. CON LE DONNE E I GAY IN PRIMA LINEA
Luca Valtorta per “Weekend - la Repubblica”
Per molti era il nemico. La disco music per i giovani "impegnati", attenti alla politica e alla "controcultura", era il simbolo del disimpegno, addirittura una strategia dell’America più retriva pensata per uccidere la scena musicale "alternativa" che nasceva da Bob Dylan e arrivava al punk che esplodeva proprio nello stesso periodo, il 1977.
Un film ne era il simbolo, negativo: La febbre del sabato sera con John Travolta, che molti rifiutarono per anni di vedere, salvo poi scoprire che era uno straordinario racconto sul proletariato giovanile. Non solo: la stessa disco music era molto più "di sinistra" di buona parte del rock di quel periodo, machista e sopra le righe, incentrato sulla figura carismatica della rockstar a cui era concesso qualsiasi eccesso. La disco music invece fu il primo genere musicale ad abbattere le barriere di genere: assolutamente pro-gay e con le donne in prima linea, a partire da quella Donna Summer scoperta proprio da Giorgio Moroder.
Nato a Ortisei, un paese di nemmeno 5.000 anime, per uno come lui non c’erano molte possibilità di diventare musicista. Ma Moroder ci crede: inizia andando nelle discoteche della vicina Germania, dormendo in macchina per risparmiare. Lo racconta nel brano Giorgio by Moroder , dei Daft Punk, i re dell’elettronica contemporanea che nel 2015 gli dona una seconda grande celebrità dopo i fasti degli anni 70. Lavora a Berlino e poi a Monaco, dove avviene l’incontro fatale: quello con Donna Summer. Voce straordinaria. Ma Donna era timida e veniva da una famiglia religiosa: tutto il contrario di quello che si potrebbe pensare vista la sensualità della voce e dei brani che ha cantato.
Per Moroder non fu facile convincerla. Quando le chiese di interpretare un orgasmo in Love To Love You Baby lei rifiutò. Lui ebbe un’idea: buttò tutti fuori dallo studio, compreso il marito di Donna. C’erano solo loro e Donna alla fine ci riuscì. Love To Love You Baby vendette più di tre milioni di copie facendo di lei una superstar e creando un modello musicale: il singolo "apripista" di lunga durata, addirittura 17 minuti, altra grande intuizione di Moroder, che viene replicata nel successo ancora più grande di I Feel Love .
Subito dopo, con il disco solista From Here To Eternity , entra nella storia della musica: è una pietra miliare dell’elettronica con la famosa frase sul retro del disco che recita "Only electronic keyboards were used on this recording". Poi i fasti della disco finiscono. Intanto Moroder si è messo a lavorare nel cinema realizzando colonne sonore iconiche come quella di Metropolis , The NeverEnding Story e Cat People , in cui collabora con David Bowie. Negli anni 90 è il silenzio, fino al ritorno grazie alla celebrazione dei Daft Punk nel 2015. Giorgio Moroder è l’artista italiano che più ha influenzato la musica. Non solo per il successo epocale delle canzoni. È stato l’unico ad aver creato un genere: la disco music.
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