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PAZZO D’OPERA - MATTIOLI: “NON È FACILE ASCOLTARE UN “OTELLO” COSÌ TEATRALE E COSÌ POCO RETORICO, TUTTO NERVI E NIENTE GRASSO. LA DIREZIONE DI MICHELE MARIOTTI È SENSAZIONALE. DESDEMONA, CHE DI SOLITO RISULTA UNA POVERA SCEMA, È LA VERA RIVELAZIONE: MARIA AGRESTA È ALLA SUA PROVA MIGLIORE. IL GRANDE MERITO DI JONAS KAUFMANN È QUELLO DI FARE IL “SUO” OTELLO, NEL SENSO CHE E' IN SINTONIA CON IL NOSTRO TEMPO”

Alberto Mattioli da Facebook

mattioli cover

 

Torno brevemente sull’”Otello” napoletano e anche in questo caso non per una recensione: una riflessione, semmai. Avevo letto delle contestazioni, alla “prima”, per la regia di Mario Martone (ovviamente amplificate dai social dove due buuu! diventano subito la Rivoluzione francese), ed ero un po’ preoccupato. 

 

Mi sono subito rasserenato: business as usual, del povero Verdi hanno capito nulla. I famosi migranti appaiono fugacemente nel primo atto, reduci dalla tempesta: è una citazione, e pure pertinente perché alla fine chi sono, oggi, i naufraghi salvati dai militari in mare? 

 

Per il resto, Martone è assolutamente fedele alla drammaturgia dell’opera e, in un caso almeno, molto più che negli “Otelli” cosiddetti “tradizionali” (fra parentesi, se c’è un’opera verdiana travisata dalla sedicente “tradizione”, è proprio questa). 

Jonas Kaufmann Maria Agresta

 

Mi riferisco al personaggio di Desdemona, che di solito risulta una povera scema che non capisce quel che le sta accadendo e contribuisce anzi a provocarlo con la sua petulante intercessione per Cassio, quando è più insistente di un deputato in cerca di un posto da sottosegretario. 

 

Qui invece Desdemona è una donna forte, una soldatessa (della Sanità, però) che non è solo la moglie di Otello, ma anche una sua collega. Una donna determinata, che non ha avuto paura di sposare un diverso (anche se in questa produzione Otello è bianco) e nemmeno di chiedergli conto di un provvedimento disciplinare che considera eccessivo. 

 

Jonas Kaufmann Maria Agresta

Per il resto, uno spettacolo ben studiato e ben recitato: i primi due atti sono del tutto “normali”, forse perfino leggermente deludenti; gli ultimi due, magnifici, con tutta l’attesa di Desdemona, il femminicidio e il suicidio che davvero hanno una forza e una verità disturbanti come devono essere, anche perché chi deve realizzarli in scena ci sa stare. 

 

Scene bellissime di deserti petroliferi mediorientali o nordafricani dai quali spuntano rovine classiche o fortini da Legione (non si è Margherita Palli per niente), costumi da Desert Storm, luci da manuale e l’uso ingegnoso di un siparietto metallico da container per “isolare” i personaggi con effetto da primo piano cinematografico: per esempio, in “Niun mi tema”.

 

Jonas Kaufmann Maria Agresta

La direzione di Michele Mariotti è sensazionale, anche lei in crescendo: il concertato del terz’atto è quel lancinante lamento collettivo che Verdi voleva, il Salice spalanca armonie già novecentesche, tutto il finale ha una tensione da thriller. 

 

Non è facile ascoltare un “Otello” così teatrale e così poco retorico, tutto nervi e niente grasso. L’orchestra ridotta a causa del distanziamento (nove primi!) va, anche lei, migliorando di scena in scena. Il Coro, rispetto all’ultima volta (in “Ermione”, e non fu un bel sentire) appare risanato e canta benissimo. Arruolare José Luis Basso è stata, prevedibilmente, un’eccellente iniziativa di Lissner.

 

Jonas Kaufmann

Solisti. Maria Agresta è alla sua prova migliore, almeno da quando la ascolto: bravissima come cantante, con splendidi pianissimi anche in acuto, e notevole pure come attrice. Ma ho già detto che è Desdemona la vera rivelazione di questo spettacolo. 

 

Igor Golovatenko è un baritono dal timbro strano, non bello, e dal colore chiaro, spesso molto più di quello di Otello. Però canta assai bene e soprattutto è un interprete vero (Mariotti deve aver lavorato molto) che non ha paura di usare le diseguaglianze della voce, spinte fino al parlato, a scopo espressivo. Uno Jago davvero singolare. I comprimari sono invece alterni, con l’eccezione dell’eccezionale Emilia, scusate il bisticcio, di Manuela Custer.

 

Mario Martone

Resta Jonas Kaufmann. Il discorso da fare sarebbe lunghissimo sia sulla vera natura vocale della parte di Otello, un altro tradimento perpetrato dalla “tradizione”, sia sulla tecnica di JK, che non è affatto quella italiana classica. Mi limito ai risultati. Oggi la voce di JK appare ingolata com’è sempre stata, sonora in basso, morbida e non enorme al centro dove ogni tanto viene coperta dai colleghi o dall’orchestra, sicura ma non squillante in acuto. 

 

Ovvio che sia nell’”Esultate” sia nella cabaletta (sì, chiamiamola con il suo nome) del duetto con Jago si resti con la voglia di qualcosa di più incisivo. Sono invece splendidi il duetto d’amore, cantato tutto piano (e senza stonare come nove Otelli su dieci) e i momenti, diciamo così, introspettivi, come “Dio mi potevi scagliar” e soprattutto “Niun mi tema”, lontano dal modello di Del Monaco, e questo è ovvio, ma anche sorprendentemente da quello di Domingo. 

Maria Agresta

 

Qui JK fa un eroe vinto, sconfitto, dando alla voce un colore cinereo e spento di grande effetto. L’attore, poi, è quello che conosciamo. Credo che il grande merito di JK sia quello di fare il “suo” Otello, certo uno dei tanti possibili, ma decisamente “moderno”, nel senso che è in sintonia con il nostro tempo. Questa capacità di rendere contraddittori e problematici personaggi che sono sempre stati vissuti come monolitici mi sembra rara. Ed è poi la ragione per la quale sono contento di aver ascoltato/visto questo Otello.

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