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"SAPESTE QUANTO HO DOVUTO STUDIARE PER POTER DIRE BENE TUTTE QUESTE VOLGARITÀ" - MARIO CARDINALI, 84ENNE DIRETTORE DEL VERNACOLIERE DAL 1982: "MAI ACCETTATO PUBBLICITÀ. UN MANAGER DELLA MONDADORI MISE SUL TAVOLO IL LIBRETTO DI ASSEGNI DICENDOMI DI DECIDERE LA SOMMA. RISPOSI: "LA MIA LIBERTÀ NON È IN VENDITA". OGGI VENDIAMO DIECI, DODICIMILA COPIE. NEGLI ANNI NOVANTA SIAMO ARRIVATI A SESSANTAMILA. SE COMPRASSE LA RIVISTA ANCHE SOLO UNO SU DIECI DI QUELLI CHE RIDONO DAVANTI ALLE LOCANDINE..."

Gianluca Monastra per “il Venerdì di Repubblica

 

Mario Cardinali del vernacoliere

L'hanno definito l'ultimo baluardo della satira e a Mario Cardinali, che quell'avamposto di carta e sberleffi lo difende da una vita, scappa una sorta di sorriso quando glielo ricordano: «Se è così, siamo messi proprio male».

 

Cardinali aveva quarantacinque anni il giorno in cui firmò da direttore la prima copia del Vernacoliere, una rivista «antifascista e anticlericale», rivendica con orgoglio, nata da un altro giornale livornese di controinformazione fondato negli anni Sessanta.

 

Mario Cardinali del vernacoliere

Era il 1982, un altro mondo e un'altra Italia con un ex partigiano al Quirinale, l'ombra del terrorismo in agguato, la gente in strada a festeggiare il trionfo azzurro al Mundial. E Cardinali già seduto dentro la sua redazione vista mare di Livorno, a provocare ogni tipo di potere con locandine e vignette dissacranti.

 

Mario Cardinali del vernacoliere

Da lì non si è mai mosso, destino di tanti livornesi stregati da questa città piena di sole e vento, un po' Marsiglia e un po' L'Avana, così difficile da abbandonare. Dunque, una vita a praticare (e a difendere in tribunale) quello che lui chiama «il nobile esercizio dell'intelligenza».

 

il vernacoliere ph ray banhoff

La satira, appunto: come sta oggi?

«E come deve stare... Negli ultimi tempi è stata depotenziata dal dilagare di battute. Un diluvio, sui social e in tv, senza rendersi conto che dietro la satira ci vuole passione civile, sennò non resta nulla. Ormai sono tutti pronti alle battutine, a cominciare dai politici, contenti di impossessarsi dello strumento dell'avversario. Un trucco vecchio quanto il mondo».

 

mario cardinali ph ray banhoff

A proposito di politici: c'era una volta un pisano che cercava voti a Siena. Dica la verità, Enrico Letta alle elezioni suppletive del collegio senese che tratta col fiorentino Matteo Renzi: un assist perfetto per il Vernacoliere.

«Non so mica, sa. Cosa vuole che interessi a un disoccupato di un signore che si sposta da un posto all'altro. C'è poco da ridere. Al massimo, Letta può arrivare a Siena e dire: avevamo una banca».

 

mario cardinali

Così disilluso?

«Inevitabile, la politica ha lasciato spazio ai politicanti. La persona è sparita dal centro della discussione e i partiti hanno messo da parte l'ideologia. Ma in questo modo cancelli i sogni e restiamo polli di allevamento, senza nessuna speranza di cambiare».

 

mario cardinali

Con Letta però avete un precedente. Se lo ricorda?

«Quando era presidente del consiglio gli dedicammo una locandina. Letta: Arfano mi tratta da pisano».

 

E lui?

«La rilanciò su Twitter definendolo un colpo basso».

 

locandine il vernacoliere 8

Eccola qui: l'eterna rivalità tra toscani.

«Be', i pisani son diversi da noi: io ho tanti amici laggiù e a Pisa mi ci sono pure laureato. Però, se non ci fossero, andrebbero inventati Comunque, il livornese è differente non soltanto da loro, ma da tutti i toscani».

 

mario cardinali con le locandine del vernacoliere

In che senso?

«Gli altri toscani sono nati per comandare o essere comandati, padroni o servitori, guelfi o ghibellini. Guardi i politici, a cominciare da Renzi. Hanno il tipico marchio della Toscana medievale, ripicche e inimicizie, frasi come "Enrico stai sereno", visto che stavamo parlando di Letta».

 

locandine il vernacoliere 9

I livornesi invece?

«Tutta un'altra cosa. Siamo un cacciucco di razze, il risultato degli editti di Ferdinando de' Medici. Nel Cinquecento aveva bisogno di popolare la città e offrì libertà a chiunque avesse voluto raggiungerla. Arrivarono delinquenti, gente di coltello. E tanti ebrei dalla Spagna».

 

Un popolo con la libertà nel Dna.

«Ci teniamo tanto, sì. Per questo al Vernacoliere non accettiamo pubblicità».

 

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Come si difende l'autonomia di una rivista come la vostra?

«Anni fa, arrivò in redazione un manager della Mondadori. Volevano il nostro marchio per un'agenda tipo Smemoranda. Rifiutai subito e lui mise sul tavolo il libretto di assegni con sopra la sua splendida Montblanc. "Decida la somma", disse. Allora risposi: "Non ci siamo capiti, la mia libertà non è in vendita"».

 

Le erano tornate in mente tutte le volte che avevate preso di mira Berlusconi?

«Macché, sarebbe stato uguale se con la penna in mano ci fosse stato Bertinotti».

 

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Una bella rinuncia. Anche perché i tempi oggi sono duri, resi quasi disperati dal Covid. Mesi fa avete lanciato un appello ai lettori per evitare la chiusura. Come è andata a finire?

«Bene, un gran successo. In poche settimane abbiamo superato l'obiettivo dei quattromila abbonamenti e ora siamo a seimila. In tanti ci hanno persino spedito buste con soldi, anche cinquecento euro. Da questa risposta ho capito l'importanza del Vernacoliere, la sua capacità di esistere e resistere. A volte penso che se comprasse la rivista anche solo uno su dieci di quelli che ridono davanti alle nostre locandine, saremmo ricchi».

 

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Oggi quante copie vendete?

«Dieci, dodicimila. Pensare che negli anni Novanta siamo arrivati a sessantamila… Dura andare avanti, sì. Abbiamo provato online, ma funziona poco. Però io insisto, ci mancherebbe. È un'avventura bellissima: abbiamo cresciuto una palestra di talenti, e ancora oggi siamo una agorà senza padroni. Ho ottantaquattro anni e mezzo e ogni giorno mi sveglio pensando che ho tante cose da imparare. Non mi annoio, ecco. Adesso, ad esempio, lavoro al quarto libro di locandine del Vernacoliere e rileggo Minima moralia di Adorno».

 

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Una risposta all'accusa di abuso di termini volgari?

«Negli anni ho ricevuto tanti inviti nelle università e qualcuno ha detto che le nostre locandine sono per i livornesi i sonetti del Belli dei romani. Dietro alle provocazioni e alle parolacce, alla mancanza di rispetto, c'è una lingua di opposizione al Palazzo. E tanta preparazione. Sapesse quanto ho dovuto studiare per poter dire bene tutte queste volgarità».

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